Elena Polidori, la Repubblica 28/3/2012, 28 marzo 2012
Le mani su 75 società e 4% dei titoli di Stato l´avanzata del Dragone nel nostro Paese – ROMA - «Dirò di investire in Italia», promette il presidente cinese Hu Jintao incontrando Mario Monti a Seul
Le mani su 75 società e 4% dei titoli di Stato l´avanzata del Dragone nel nostro Paese – ROMA - «Dirò di investire in Italia», promette il presidente cinese Hu Jintao incontrando Mario Monti a Seul. In realtà l´avanzata del Dragone nella Penisola è già in corso. Sono 75 le imprese italiane controllate o partecipate dai capitali cinesi. Hanno un fatturato di 1,65 miliardi di euro e occupano 3 mila dipendenti. Sono concentrate per il 49% in Lombardia, il resto in Veneto, Piemonte, Liguria e Emilia Romagna. Poco si sa invece degli investimenti cinesi in titoli pubblici italiani se non che da sempre, e ancor più durante l´era Berlusconi, ci sono stati contatti diretti del Tesoro con le autorità di Pechino per convincerle a comprare Bot, Cct, Ctz e tutto l´armamentario tecnico del nostro debito pubblico. Ancora nell´agosto scorso, nel pieno della crisi dei Paesi deboli di Eurolandia, l´allora ministro Giulio Tremonti, che pure in passato aveva criticato l´aggressività commerciale di Pechino, inviò in Cina l´ex direttore del Tesoro Vittorio Grilli, oggi viceministro dell´economia, proprio con questa mission. Un anno prima, nell´ottobre del 2010, per accogliere al meglio il premier Wen Jiabao, invitato in Italia per celebrare i 40 anni di rapporti diplomatici tra i due Paesi, Berlusconi fece perfino vestire d´oriente la via romana dei Forti Imperiali illuminandola con le tipiche lanterne rosse, simboli per i cinesi di buon augurio per il futuro. Al momento la Cina ha in portafoglio il 4% dei titoli italiani pari a poco più di 64,6 miliardi di euro, cioè una quota del 17% del complesso dei titoli dell´eurozona in mano a Pechino. Che, nei mesi di maggior tensione del debito sovrano, ha scelto di stare alla finestra. Al contrario, si intensificano le relazioni industriali. L´ultimo incontro tra 18 grandi gruppi cinesi e 60 aziende italiane risale ad appena una settimana fa, presente il viceministro del commercio, Jiang Yaoping. Dalle sue dichiarazioni emergono anche le linee strategiche lungo le quali il Paese intende muoversi: più interscambio e più collaborazione nei settori dell´alta tecnologia. Secondo Yaoping, l´Italia è oggi il quinto partner commerciale della Cina. Invitalia, l´Agenzia nazionale per l´attrazione degli investimenti che dipende dal ministero per lo Sviluppo, dispone di una mappa aggiornata dello shopping cinese nel Belpaese. E dunque: sono freschissime (gennaio) le intese per acquisire il 75% del gruppo Ferretti, famoso per i suoi yacht da parte della Shandon Heavy Industry Group-Weichai. Da tempo è stata acquisita la Benelli di Pesaro (motociclette). Nel settore dell´abbigliamento, la Sergio Tacchini parla cinese ormai dal 2007; nel mondo delle energie alternative, la Italsolar e Kerself. Il business più grosso riguarda la Cifa, colosso dei macchinari per il calcestruzzo e l´edilizia. Nella storia industriale recente spesso si è parlato della Cina anche come "cavaliere bianco", cioè come salvatore di aziende italiane in difficoltà. E´ anche capitato però che il cavaliere svanisse. Nel caso della Antonio Merloni, per esempio, sulla cordata cinese Nanchang Zerowatt Electronic Group alla fine l´ha spuntata la J&P. Per la De Tomaso (auto) la salvezza sembrava arrivare dal gruppo Hatyork, ma all´incontro chiave con il ministero nessuno si è presentato. Di possibili capitali cinesi si era parlato anche per Termini Imerese (il fondo Hong Kong Tai), poi non se n´è fatto nulla. Ora ci sarebbe un interesse di Pechino per Irisbus. Dai dati elaborati dall´Ice (Istituto per il commercio estero) nel 2011 l´Italia ha esportato verso Pechino beni per oltre 10 miliardi di euro con un incremento del 16,2% sull´anno prima. Le importazioni sono aumentate dell´1,8% passando da 28,7 miliardi a 29,3 miliardi.