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 2012  marzo 28 Mercoledì calendario

Napolitano: mi succederà una donna. Io spero, non Rosy Bindy – Ci siamo. Dopo le lacrime d’Elsa Fornero quando pronuncia la parola «sacrificio», dopo le lacrime di Roberto Benigni che si commuove leggendo le lettere dei martiri della Resistenza e (guarda caso) ci sono lì le telecamere di tutti i tiggì, arrivano anche «le lacrime di Napolitano», come le chiama Repubblica sera, il tabloid elettronico del giornale più liberal (e meno liberale) d’Italia

Napolitano: mi succederà una donna. Io spero, non Rosy Bindy – Ci siamo. Dopo le lacrime d’Elsa Fornero quando pronuncia la parola «sacrificio», dopo le lacrime di Roberto Benigni che si commuove leggendo le lettere dei martiri della Resistenza e (guarda caso) ci sono lì le telecamere di tutti i tiggì, arrivano anche «le lacrime di Napolitano», come le chiama Repubblica sera, il tabloid elettronico del giornale più liberal (e meno liberale) d’Italia. A differenza di Franti, lo scolaretto infame del libro Cuore che sorrideva maligno delle altrui disgrazie e rideva assistendo agli spettacoli più commoventi, il nostro presidente della repubblica, che da circa ottant’anni non è più bambino, non coltiva l’umorismo nero, quello che il lupo della steppa di Hermann Hesse chiamava «umorismo da impiccati». Giorgio Napolitano, spiega Francesco Merlo nell’editoriale filmato di Repubblica sera, piange perché «è diventato un uomo solo al comando» e perché «sente su di sé lo sguardo degl’italiani». Un tempo «dirigente politico freddo e distante», oggi il presidente della repubblica, addolcito dalla solitudine di chi siede timoroso e tremante sul trono italiano, secondo per importanza soltanto al presidente della Deutsche Bank, piange per senso di responsabilità (esattamente come le eroine dei romanzi rosa piangevano perché il moroso aviatore era partito per la grande guerra, poverino, o perché si chiamavano Sempronia e Tizio sposava Caia). * * * E se piangesse perché ha deciso di lasciare il Quirinale alla scadenza del mandato quando potrebbe restare in cima alla piramide (dicono i suoi fan, ottimisti come il medico di Fídel Castro, che ha promesso al gran fumatore di sigari cubani una longevità da profeta biblico) per ancora cinque o sei mandati minimo? Ma no, basta, si schernisce lui... ho fatto il mio tempo, largo ai giovani, ai settantenni, agli ottantenni. Eppure_ eppure era così bello benedire le folle (e sponsorizzare gli esecutivi) dall’alto dei cieli! * * * Ma come dare torto a chi lo vorrebbe in eterno sul trono della filiale italiana della Bce? Chi prenderà il suo posto? That is the question. Grossa question. Potrebbe sostituirlo non diciamo la Buonanima, ormai fuori gara, o così si spera, ma Pier Ferdinando Casini, oppure Massimo D’Alema, se non addirittura un Romano Prodi redivivo. C’è (come sempre) da temere il peggio. * * * Dice lui: che mi succeda una donna. Ma chi? Non Rosy Bindi, voglio sperare. E Iddio ci scampi da Michela Vittoria Brambilla e da Rita Borsellino! Ma quali altre donne potrebbero sperare di mettere su casa al Quirinale? Mara Carfagna? Anna Finocchiaro? Non Alessandra Mussolini, per favore. E spero che nessuno stia pensando a Nicole Minetti. * * * Da Seul, nella Corea del sud, a due passi dalla Giungla Nera di Tremal-Naik, dei tughs, dei marò rapiti, di Bollywood e dei guerriglieri maoisti, Nonno Mario si rivolge ai politici italiani con un’arroganza degna di Massimo D’Alema nei suoi giorni migliori: io decido e voi approvate, oppure tolgo il disturbo e per voi è il Kaly-Yuga, l’Apocalisse. «La fede [di Marx] nella propria concezione generale d’una società autonoma, ordinata, disciplinata, destinata a scaturire dall’inevitabile suicidio dell’attuale mondo irrazionale e caotico aveva quel carattere integrale, assoluto, che risolve ogni questione e scioglie ogni difficoltà, che porta un senso di liberazione analogo a quello che gli uomini scoprirono nella nuova fede protestante e, in seguito, nelle verità scientifiche, nei principi della Grande rivoluzione, nei sistemi metafisici tedeschi» (Isaiah Berlin, Karl Marx, Sansoni 1994). * * * «Se qualcosa ha valore, e quanto ne ha, se qualcosa è un valore, e in quale misura, lo si può stabilire soltanto in base a un punto d’osservazione o punto di vista già posto. La filosofia dei valori è una filosofia di “punti”, l’etica dei valori un’etica di “punti”. Punto d’osservazione, punto di vista, punto prospettico, punto di fuga sono termini ricorrenti del suo vocabolario. Non si tratta quindi né d’idee né i categorie, né di principi né di premesse. Sono propriamente “punti”. (...) Ogni valore è quindi un valore di posizione. [E] l’espressione “punto d’attacco” svela la potenziale aggressività immanente a ogni posizione di valori» (Carlo Schmitt, La tirannia dei valori, Adelphi 2008). * * * Allora, tanto dandomi tanto, si potrà dire anche «Oliviero al cimitero». E «Diliberto canchero certo»? * * * «Durante un dibattito di sociologia della letteratura a Royaumont, ho fatto presente a un paio di lukacsiani lì convenuti che la confutazione più semplice alle tesi di Lukács sta nel fatto che opere come quelle di Beckett o Kafka possiedono una forza tale da cogliere contenuti fondamentali della nostra epoca, dal punto di vista storico e sociale, molto più di quanto non faccia l’infelice Placido Don del signor olochov, nel quale non si parla che di simili questioni» (Th. W. Adorno, Essere ottimisti è da criminali, L’ancora del Mediterraneo 2012).