Francesco Borgonovo, Libero 28/3/2012, 28 marzo 2012
«Il “Romanzo” di Giordana è solo ideologia» – Franco Freda è uno dei personaggi chiave del film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage, in cui è interpretato da Giorgio Marchese
«Il “Romanzo” di Giordana è solo ideologia» – Franco Freda è uno dei personaggi chiave del film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage, in cui è interpretato da Giorgio Marchese. Gli abbiamo chiesto, tramite scambio di e-mail, di esprimere il suo pensiero sul film e su alcune dichiarazioni del regista. Andrà a vedere Romanzo di una strage? «Non vado al cinema. I romanzi preferisco viverli. Ho incontrato negli anni personaggi straordinari, nel bene e nel male, ho conosciuto il gioco del destino, che, anche spietato, ha sempre una sua grazia e grandezza e certo non è mai un moralista, sono inciampato in situazioni rocambolesche, da venturiero: quello è il mio romanzo. Ma ho l’impressione che nel film di Giordana non ce ne sia traccia». Ha letto sui giornali qualche articolo riguardo al film? È curioso di vedere come l’hanno rappresentata? «Nessuna curiosità. Mi sottraggo così all’insolenza, con l’indifferenza. Però ho notato i toni sguaiati da Wanna Marchi che sono stati usati per la propaganda del film. Se si volesse parlarne con onestà, occorrerebbe dire che Piazza Fontana è un mistero. Invece Giordana e i suoi hanno fatto di tutto pur di addomesticare il mistero, ridurlo, adattarlo. Non allo schermo, ma alle loro dimensioni. Occorrevano un Sofocle, un Euripide e davvero allora il mistero avrebbe trovato le sue parole». Che cosa pensa dell’idea di raccontare quei fatti in un film? «Che prima occorrerebbero i fatti. È dai foschi anni ’70 che abbiamo solo interpretazioni. Oh, tutte quante interessantissime: perché rivelano il temperamento e il valore di chi le ha concepite». Il regista o i suoi collaboratori hanno mai cercato di contattarla per farle domande o avere documentazione? «Mi hanno contattato, ma non per farmi domande. Hanno cercato di convincermi dei vantaggi commerciali che avrei avuto se li avessi autorizzati a esporre, in una scena del film, il volume del Mein Kampf da me curato due anni fa per le Edizioni di Ar. Vede: è la stessa questione delle interpretazioni. Loro sono dei posseduti dall’ideologia (o dalla fame?) del denaro, mentre io, nel ’69, nel mio scritto La disintegrazione del sistema, miravo a un comunismo platonico che abbattesse la proprietà privata. Per questa rivoluzione castrense, francescana, avevo pensato addirittura di arruolare anche i compagni». Nel film il suo personaggio è piuttosto sulfureo e su di esso si allunga più di un’ombra. In particolare, in un scena si racconta che (riprendo dal comunicato di Giordana) «poco prima della strage, Freda aveva acquistato 50 timer uguali a quello utilizzato alla Banca dell’Agricoltura». Di fronte a questa affermazione degli inquirenti, il suo personaggio risponde che servivano per un’altra causa. Corrisponde al vero? «Corrisponde alle mie dichiarazioni processuali. Ricordo con nostalgia il capitano Hamid, il destinatario dei cinquanta timer: gli ho intitolato una collezione delle Edizioni di Ar». Alla fine del film, e nelle note del regista, si legge: «Freda e Ventura, prima condannati e poi assolti per insufficienza di prove, sono stati infine riconosciuti colpevoli dalla Suprema Corte di Cassazione, ma non più “giudicabili”». È così? «Il guitto Giordana può ripetere ciò che vuole. Non è così: semplicemente, così pare a loro. Ma queste sono vendette ideologiche che non possono proprio essere prese in considerazione, altrimenti è la fine dell’etica giuridica e del suo principio cardinale: che nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso reato. La mia responsabilità penale per Piazza Fontana è stata esclusa: c’è una sentenza di assoluzione della Cassazione. E adesso si oppone una seconda sentenza della Cassazione? Ma che dignità può avere? La Cassazione avrebbe cassato se stessa? Che rispetto di sé!» Giordana si ispira dichiaratamente alla celebre frase di Pasolini «Io so. Ma non ho le prove». Precisando poi: «Oggi, passati più di quarant’anni, queste prove sono finalmente accessibili, a disposizione di chiunque voglia davvero sapere». Che ne pensa? «Penso che i miei avversari ideologici d’antan, dopo lungo ruminare, abbiano fatto pressoché tutti fini pessime, da sfigati. Quella di Pasolini è nota. Oggi è nota pure quella del giudice D’Ambrosio, che dopo essersi dato alla politichina si è messo a gnaulare a mezzo stampa perché Giordana e i suoi non l’hanno – e qui ci sarebbe da usare un verbo un po’ triviale, ma non lo facciamo – badato, nell’allestimento del film. E io che lo consideravo un avversario di rango! Hanno ragione i giapponesi che danno solo le medaglie post mortem. Insieme ad Alessandrini, D’Ambrosio aveva scommesso con me e Ventura che se fossimo stati assolti ci avrebbe offerto una cena. Ma mi è scaduto, quindi non gli ho ricordato il suo obbligo. O dovere – se si trattasse di uomo d’onore? Casso dalla memoria anche quello». Il film sostiene un’ipotesi suggestiva. Che in piazza Fontana furono piazzate due bombe da “ambienti” e “poteri” diversi. Forse anarchici da una parte e “neonazisti” manovrati da chissà chi dall’altra. Le sembra credibile? «12-12-’69: Odissea nello spazio?... » Lei ha mai avuto a che fare con il commissario Calabresi? «No». Che cosa pensa dell’assassinio di Calabresi e di ciò che scrissero i giornali di sinistra prima che avvenisse? «Penso che molti intellettuali di sinistra, allora come oggi, scrivessero intingendo la penna nell’inchiostro del risentimento. Non si facevano problemi a sacrificare un uomo alla propria furia. Erano bestie sanguinarie, agili, abilissime: al punto da sembrare filantropi». Scrive Giordana a proposito dell’omicidio di Calabresi: «L’azione non sarà mai rivendicata. Vendetta del proletariato? Ritorsione neo-nazista? Operazione sotto copertura dei servizi segreti?» Lei che ne pensa? «Che mi fa venire il mal di testa». Esistevano «legami tra estremisti veneti e oscure forze organizzate per contrastare, in caso di guerra, un’eventuale occupazione sovietica»? Se ne parla sempre nel comunicato di presentazione del film, dove si racconta che Calabresi, continuando a indagare, era «incappato nella rete Stay Behind». «Ma io vivo ad Avellino, nella piazza intitolata alla rivoluzione dei carbonari, alla primavera dei popoli: cosa vuole che sappia di queste cose? Mi interesso della carboneria irpina del XIX secolo, non della massoneria italiana del XX. Al massimo dell’operazione Alzo Zero, o Karstquelle... ». Esisteva un «rapporto tra eversione e Stato»? O fra «eversione» e servizi segreti, Nato eccetera? «Le Badolliotruppen?... Per carità! Nel ’68-’69 io volevo fare la rivoluzione, non un golpe militaresco. Volevo il caos, il nichilismo, non il potere sugli italioti. Neanche se si mettessero in ginocchio vorrei governarli. Ricordiamoci di cosa diceva il Duce: “Governare gli italiani non è impossibile: è inutile.”». Chi ha messo la bomba a piazza Fontana? «Dopo quarant’anni un’Amministrazione di settanta milioni di abitanti, con polizia, magistrati, minustrati, pennaioli, cinematografari, guitti delle lettere e della politica, pone a me questa domanda?». In ogni caso, qual è la sua versione dei fatti? «La mia avversione ai fatti così come vengono rappresentati è contenuta in un libello delle Edizioni di Ar che abbiamo stampato nel 2005. Si intitola Piazza Fontana: una vendetta ideologica, ed è un suggerimento a interpretare la vicenda in ottica nietzscheana e disincantata». Perché a suo parere non si è ancora fatta chiarezza sui fatti di cui sopra? «Ho l’impressione che ci sia in giro uno straordinario difetto di intelligenza e di buon gusto. A Paolo Cucchiarelli, che pretendeva di sapere cosa ne pensassi del suo libro, la matrice del film, ho mandato a dire una cosa del genere: che l’umano non è quasi mai geometrico e sistematico e occorrono dita sottilissime, attente, e soprattutto dotate di una certa grazia benevola per districare i suoi fili. La verità è forse il premio di chi sappia essere più umano, in questo senso, e meno mondano. Certo dev’essere cosa lievissima, la verità, preziosissima, che non si darà mai all’iroso, al fazioso, all’ambizioso, all’inquisitore “lurco” che le muova incontro agitando i pugni».