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 2012  aprile 04 Mercoledì calendario

ELSA MONTI


VI RACCONTO IL PREMIER. ANZI… IL MIO MARIO

Palazzo Chigi. Prima sorpresa. L’appartamento privato del presidente del Consiglio conta cinque stanze: salotto, studio, sala da pranzo, cucina, camera da letto. Ma come? Un intero palazzo di fine Cinquecento, tutto ori, stucchi e affreschi, con così poche stanze per il "padrone di casa"? «Quando sono arrivata e ci hanno accompagnato nel nostro appartamento, mi aspettavo anch’io di trovare almeno una stanza in più», mi confida Elsa Monti. «Ho chiesto a chi ci accompagnava: "Mi scusi, ma se il presidente avesse dei figli che vivono ancora in famiglia, dove li metterebbe?". Lui mi ha guardato e mi ha detto: "Signora, i presidenti del Consiglio, in genere, non hanno di questi problemi. Sono già in età". Beh, pensandoci bene, aveva ragione lui».

La moglie di Mario Monti sorprende fin dall’inizio. Intanto per la sua semplicità. Sa mettere l’interlocutore perfettamente a proprio agio. Senza formalità, senza etichette. Se uno si prepara a incontrare una first lady, abbandona questo pensiero fin da subito. Basta stringerle la mano. «Non ho niente contro le classifiche. È che non sono mai stata competitiva nella mia vita. Non ho mai ambito a un ruolo particolare. Mi sono sposata molto giovane, a ventidue anni. Ben presto tra me e mio marito si è creata una suddivisione di ruoli molto marcata. La ribalta ce l’aveva lui, la retrovia spettava a me».

Domanda. Le è mai pesata quella che lei definisce la "retrovia"?
Risposta. «No, assolutamente. Anche perché sapevo di essere assolutamente necessaria a mio marito».

D. È sempre andata così tra voi due?
R. «Sì, senza incertezze, direi. Mio marito di spirito pratico ne ha poco. Per cui era inevitabile...».

D. Beh, in casa saprà sostituire almeno le lampadine...
R. «Poco alla volta ha imparato. Quello che era indispensabile sapere fare, ha imparato. Però a piccole dosi».

D. Lei è più pratica.
R. «Solo perché la parte intellettuale l’ho lasciata a lui. Io cerco di essere una "problem solver"».

D. Le è costato qualche sacrificio tutto questo?
R. «Direi proprio di no. Tutto sommato sono stata molto fortunata, perché ho avuto una vita molto piacevole. Beh, forse piacevole è esagerato. Direi interessante».

D. Perché elimina il piacevole?
R. «In 45 anni di matrimonio non ricordo molti weekend. Sempre stato così. Fin dai tempi in cui mio marito era assistente universitario, il sabato e la domenica erano i giorni della scrittura degli articoli, della preparazione delle lezioni».

D. Che ragazza è stata lei?
R. «Moderatamente studiosa. Sportiva mai. Anzi, pigra. Mio padre le ha tentate tutte con me: tennis, cavallo, qualunque sport. Lui sì che era uno sportivo».

D. Suo marito ha studiato al Leone XIII di Milano, dai padri Gesuiti. Non mi dica che lei frequentava le suore Martelline di piazza Tommaseo?
D. «È andata proprio così. Lui veniva a prendermi alla fine delle lezioni, al liceo. La mia scuola era a due passi dalla sua e metà della sua classe usciva con metà della mia. La suora ci controllava sul portone d’ingresso».

D. Amore a prima vista?
R. «No. È stata una cosa graduale. Eravamo e siamo due timidi. Questo è l’elemento che, forse più di ogni altro, ci accomuna».

D. Bella la timidezza. Forse non va più di moda.
R. «Difficile da dire. Fa evitare degli errori, questo sì, si misurano di più le parole. Ma rende anche leggermente più difficile la vita, perché si va avanti a piccoli passi. Non ci si butta».

D. Dicevamo che vi siete conosciuti al liceo.
R. «Sì, ma non è stata una cosa partita a razzo. Poi, però, mio marito è stato molto veloce nel fare l’università, la Bocconi, e il servizio militare. Poi ha deciso di andare negli Stati Uniti a perfezionarsi all’Università di Yale. Conoscendoci ormai da un po’ di anni, ho pensato che non ero più disposta ad aspettare, per cui mi sono decisa a chiedergli di sposarci».

D. Lei si è laureata?
R. «Frequentavo la facoltà di scienze politiche all’Università Cattolica. Dovevo fare la tesi, ma ci siamo sposati e, proprio il giorno dopo, siamo partiti per gli Stati Uniti. Mi spiace non essermi laureata, lo ammetto. Ma è venuto tutto naturale. E non me ne sono mai pentita».

D. Da tradizionale famiglia della buona borghesia milanese immagino che le nozze siano state celebrate nella basilica di Sant’Ambrogio con l’abito bianco.
R. «L’abito bianco sì, ma all’abbazia di Chiaravalle. Per dirle la verità, la mia parrocchia era quella di Santa Maria Segreta, dove si è sposata, poi, nostra figlia. Ma ci piaceva tanto l’abbazia di Chiaravalle e poi i monaci ci hanno concesso di organizzare il pranzo di nozze nel loro antico refettorio».

D. Non la spaventava trasferirsi in America, così giovane?
R. «No, forse per incoscienza. Però, a conti fatti, sa che le dico? Che è stata un’esperienza che consiglierei a ogni giovane coppia. Nelle difficoltà quotidiane di dover vivere in un’altra cultura, con altre abitudini, io e mio marito, così giovani, ci siamo appoggiati l’uno all’altra, abbiamo fatto conto su di noi. Questo ci ha uniti ancora di più».

D. Qual è stato il momento più difficile?
R. «Beh, i 22 anni di allora non erano certo quelli di oggi. Non avevo mai gestito prima di allora una casa mia. Ricordo che scrivevo a mia madre: le chiedevo come si stirano i pantaloni e lei mi mandava le istruzioni con il disegno! A quei tempi le telefonate internazionali andavano prenotate, arrivavano magari dopo mezza giornata ed erano molto care».

D. Quanto siete stati a Yale?
R. «Solo un anno. Perché, poi, il professore di cui mio marito era assistente, lo richiamò alla Bocconi».

D. Signora Monti, ritorniamo al ruolo della first lady. Le pesa?
R. «Intanto non mi ritrovo in questa definizione. La first lady in Italia è la moglie del presidente della Repubblica, certo non la moglie del capo del governo. Se c’è un primo, quello è lui. E poi, rimanendo al ruolo, ho piena consapevolezza della temporaneità di questa esperienza. E questo fa sì che io cerchi di viverla al meglio. In fondo, si tratta di un periodo breve: che peso dovrei sentire?».

D. Proprio nessuna difficoltà?
R. «Beh, se c’è un peso, è la perdita totale di autonomia, questo sì. Abbiamo rivoluzionato la nostra agenda. È cambiata la disponibilità di tempo. A Bruxelles, quando mio marito era membro della Commissione europea, siamo stati dieci anni, dal 1995 al 2004. Ma era diverso. Intanto non c’erano i nipotini. Con i figli già grandi, il rapporto si manteneva anche per telefono, non è che si perdessero delle fasi importanti della loro crescita. Con i nipoti è diverso. A Milano, fino allo scorso novembre, io ero abituata ad avere i miei quattro nipoti vicini. Adesso è tutto più complicato. È da un mese che mio marito e io non li vediamo, perché ci sono i viaggi, gli impegni istituzionali».

D. Come si vive a Palazzo Chigi?
R. «Bene, ma non c’è molta privacy. È un po’ come stare in un albergo senza la chiave della stanza. Ho cercato di rendere tutto meno impersonale con un po’ di cuscini e di soprammobili che mi sono portata dalla nostra casa di Bruxelles. Li vede tutti i miei piccoli cani di bronzo? Ne ho tantissimi. Cosa vuole, abbiamo avuto cani per trent’anni, dal golden retriever fino al pastore dei Pirenei. Alla fine, ho ripiegato sui soprammobili».

D. Cucina lei a Palazzo Chigi?
R. «Non sono mai stata particolarmente dotata ai fornelli, lo ammetto. A Bruxelles, la domenica, andavamo al mercato: c’era un chiosco che vendeva dei magnifici polli allo spiedo con la purea di mele già pronta. Qui, di giorno, c’è una persona che cucina, da una certa ora in poi non c’è più nessuno. E mi arrangio da me».

D. Una volta qui, il presidente riesce a staccare la spina?
R. «Sale a casa talmente tardi a cena, che non gli rimane molto tempo. Ceniamo sempre verso le undici. Sono orari veramente impegnativi. E il mattino ci alziamo presto. Ha desiderio di fare tanto e in poco tempo. Per una vita ha elaborato idee che ora si trova ad applicare, a rendere concrete nella gestione del Paese. E questo lo riempie di entusiasmo, che gli fa dimenticare il tempo e la fatica».

D. All’inizio del nostro incontro lei mi ha spiazzato parlando di "retrovia". La retrovia è un modello femminile che va contro la tendenza di oggi. Molte donne la considerano una "diminutio",una frustrazione.
R. «Per me è sempre stata un arricchimento. Però devo dire che, sia in famiglia, sia fuori, il mio lavoro è sempre stato riconosciuto. Essere nelle retrovie vuoi dire non cercare la ribalta. Ma non significa non avere, e a volte non pretendere, il riconoscimento del proprio lavoro».

D. Ha sempre avuto il giusto riconoscimento nella sua vita al fianco di suo marito?
R. «Beh, sì, non sono mai entrata in sciopero. Non ho avuto rivendicazioni da fare. E se poi questo riconoscimento non arrivava, alla fine l’ho anche preteso».

D. Sa che lei è un tipo tosto?
R. «Gliel’ho detto. Timidezza non significa mancanza di carattere».

D. Chi è più malleabile, lei o suo marito?
R. «È una lotta molto dura. Mio marito non alza mai la voce. Sto pensando all’educazione dei figli. Perfino con loro non l’ha mai fatto. Io sì».

D. Che padre è stato?
R. «Si è appassionato ai figli più tardi e, anche con i nipoti, probabilmente andrà così. Li ama tantissimo, intendiamoci. Ma, finché non c’è stato tra loro lo scambio verbale, intellettuale, non è stato un padre così presente. Poi, a mano a mano che crescevano, è tutto cambiato. Adesso, con i nostri figli, è quasi telepatico. Ogni tanto è davvero sorprendente. Riescono a telefonare nel momento in cui lui mi sta parlando di loro».

D. Passatempi? La musica, immagino. Vi incontro spesso alla Scala.
R. «Per essere sinceri, non siamo degli intenditori. E siamo entrambi stonati. Però sono piena di ammirazione per i cantanti, i direttori d’orchestra, gli orchestrali. Ogni anno per la Croce Rossa organizzo un concerto alla Scala. Quando lo faccio, invidio le mie amiche, quando mi consigliano: "Ah, quello dirige Brahms in modo divino. L’altro per Beethoven è meglio". Ma come fanno, dico io? Io non sono in grado di cogliere queste differenze».

D. Guardate la tv?
R. «Mio marito mai. Adesso, verso mezzanotte, guarda la rassegna stampa. Programmi di intrattenimento mai. Sa, prima viaggiava tantissimo. Arrivava a Milano giusto per il weekend. E, ogni volta, si sorprendeva di quanta poca Rai si riuscisse a vedere negli alberghi all’estero. Quando si è in giro per il mondo e si fa zapping, è dura trovare la Rai».
D. Lei è appassionata di qualche programma?
R. «Anch’io guardo poco la tv. Ma, la sera, prima di venire qui, cucinavo guardando L’eredità. Mi divertiva. Però il mio tempo libero l’ho sempre dedicato ai nipoti o alla Croce Rossa».

D. Da vent’anni lei segue la Croce Rossa.
R. «È nato tutto in modo casuale. Quando a Milano c’era il prefetto Rossano, sua moglie presiedeva la sezione femminile. Mi ha chiesto di entrare in consiglio. Ho accettato subito, perché i miei figli erano già autonomi. E da lì è nato un coinvolgimento che poi è diventato sempre crescente. Il prossimo 20 maggio organizziamo alla Scala un concerto di raccolta fondi, come ogni anno. Un aiuto fondamentale, che ci permette di affrontare al meglio le nostre attività assistenziali per tutto l’anno».

D. Signora Monti, veniamo ora al ruolo di suo marito. Il presidente ha imposto una serie di sacrifici agli italiani, spesso attraverso decisioni anche impopolari. E così intransigente anche nel privato?
R. «È sempre stato un calvinista. Non solo in famiglia. Non è attaccato al denaro, né avaro, intendiamoci. Però non ha esigenze particolari. La cosa più difficile è fargli un regalo, lo sa? Io ripiego sul golf, sul classico portafoglio. Ma poi lui lo lascia lì, perché non trova neppure il tempo di fare il cambio del portafoglio».

D. A proposito di regali, il presidente ha anche imposto a chi ricopre ruoli istituzionali il divieto di ricevere regali di valore superiore ai 150 euro.
R. «Ma questa abitudine gli viene dalla sua esperienza a Bruxelles. All’estero funziona così. Ricordo che, quando era commissario europeo, a Natale ricevette dal presidente di una multinazionale, che peraltro era nostro amico, un regalo tecnologico che in Italia non era ancora in commercio. Superava il tetto imposto e fu cortesemente restituito. Ma era una cosa normale».

D. Monti "mani di forbice", secondo l’opinione pubblica. Ma i conti in casa vostra chi li tiene?
R. «Io».

D. Torniamo alla crisi. Che sensazioni ha quando va in giro per la strada? Gli italiani sono arrabbiati?
R. «Le premetto che io giudico in base a un campione molto limitato, che è quello di cui mi arrivano i commenti. Quasi nessuno contesta. Tutti si rendono conto del fatto che era necessario passare per un periodo di sacrifici, per evitare che l’Italia finisse come la Grecia. Certo, molte delle lettere che arrivano sono di persone in difficoltà, di disoccupati. Al tempo stesso, quando ci capita di camminare tra la gente, quasi tutti dicono a mio marito: "Presidente, vada avanti, tenga duro!"».

D. Quando suo marito ha ricevuto l’incarico, si è consultato con lei prima di accettare?
R. «A differenza di quanto era avvenuto in tanti casi precedenti, in cui anch’io gli avevo consigliato di non accettare incarichi politici, questa volta non si è neppure posto il problema. Non c’era alternativa. Era un compito che gli veniva affidato dal presidente Napolitano in una situazione difficile per l’Italia. Non si trattava di una scelta. In quel momento per lui era un dovere. Aveva scritto per tanti anni di problemi di economia. Che cosa avrebbe dovuto dire al capo dello Stato? "No grazie, non mi sento pronto?". Non ha fatto altro che mettere in pratica quello che aveva studiato per una vita intera. Più che una scelta, la sua è stata una sfida. "Hai scritto pagine e pagine su quello che andrebbe fatto in una situazione del genere? Bene, fallo". Quella era la sfida».

D. L’esperienza di membro della Commissione europea a Bruxelles è stata importante per lui?
R. «Fondamentale. A quei tempi, all’inizio, sì che aveva fatto molta fatica ad acquisire una certa sicurezza, perché veniva dall’università. A Bruxelles ogni problema andava ponderato in base alle realtà culturali, sociali e politiche dei vari Paesi, da quelli del Nord Europa a quelli del Mediterraneo. Portare le sue proposte all’approvazione in Commissione, e poi in Parlamento, superare le resistenze dei governi nazionali, per mio marito è stata una bella palestra».

D. Importante anche per la sua credibilità a livello internazionale, immagino.
R. «Proprio così. Facendo parte di tanti comitati, anche dopo aver lasciato la Commissione, ha sempre mantenuto rapporti a livello internazionale. E sempre stato invitato nei vari Stati europei, rimanendo in contatto negli anni con tanti Paesi. E, infatti, fuori d’Italia, da primo ministro, mi sembra si sia fin da subito mosso con agio».

D. A proposito, come nasce la sua familiarità con Sarkozy e la Merkel?
R. «Se lo chiedono tutti e a me viene da sorridere. Pochi riflettono sul fatto che mio marito li conosce da vent’anni. Ha conosciuto perfino la precedente moglie di Sarkozy, Cécilia, perché, quando suo marito, ministro delle Finanze, veniva a Bruxelles a discutere con mio marito su contenziosi tra la Commissione europea e la Francia, a volte lei partecipava alle riunioni, essendo membro del gabinetto del marito. E, mi diceva mio marito, era visibile l’influenza di Cécilia sull’atteggiamento che il marito teneva nelle riunioni» .

D. All’inizio della nostra intervista lei ha confessato che il suo ruolo ufficiale è tutto sommato più facile da sostenere, pensando al breve periodo in cui verrà esercitato. Significa che nel 2013 suo marito non si candiderà?
R. «Nella sua vita mio marito non si è mai candidato a niente. Neppure al Rotary. Non fa parte di nessun club, di nessun partito. Quindi sono sicura che nel 2013 non si candiderà. È sempre stato geloso della sua indipendenza intellettuale. E il fatto che sia "super partes" forse spiega il sostegno al governo da parte di schieramenti politici che pur si oppongono tra loro».

D. Un’ultima domanda. Ma lo sa che le cravatte di suo marito somigliano tanto a quelle di Berlusconi?
R. «Ah ah, se ne è accorto? Le confesso una cosa. Per un’infinità di anni le cravatte le sceglievo io. Spesso in aeroporto. Cosa vuole, per dieci anni facevo gli acquisti in aeroporto, a furia di andare avanti e indietro. A momenti, comperavo lì pure le lampadine. Adesso il presidente Berlusconi ha gentilmente fatto omaggio a mio marito di numerose cravatte di Marinella. Lo vede? Tra Berlusconi e Monti, almeno nelle cravatte, la continuità di governo c’è!».


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