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 2012  marzo 26 Lunedì calendario

Il palio del tramonto Siena prepara la svolta meno campanile in Mps – Lo spread senese è ormai troppo alto

Il palio del tramonto Siena prepara la svolta meno campanile in Mps – Lo spread senese è ormai troppo alto. Non lo misurano solo i numeri di una banca che vale 4 miliardi ma deve trovarne 3,2 per giugno, in mano a un azionista ossessionato dal controllo ma costretto a vendere un 15% per avere accumulato debiti scaduti da un miliardo a fronte di un patrimonio poco superiore. Sono le facce dei protagonisti a dirlo, le frasi i comportamenti le scelte di chi sa di mettersi in mare incognito. Piaccia o no – a Siena non piace quasi a nessuno – la fase estrema dell’esperienza di capitalismo municipale in cui la più antica banca del mondo vezzeggiava la sua piccola comunità è finita. Viviamo un nuovo inizio, verso un futuro comunque diverso dal passato prossimo, sia che implichi un ritorno agli albori "regionali", sia che porti all’integrazione con logiche e attori ancora visti come forestieri. A pochi giorni dalla scadenza per depositare le liste dei consiglieri di amministrazione al voto dell’assemblea Mps il 27 aprile, che approverà un bilancio in rosso miliardario (complice la svalutazione degli avviamenti su acquisizioni) e rinnoverà il cda all’insegna del "tutti a casa", la matassa dei fili da dipanare ha dimensioni e complessità ragguardevoli, se commisurate a valori e potenzialità oggi espressi dal gruppo bancario. Trasformazione e possibile miglioramento della governance, ingresso di nuovi azionisti quali che siano, integrazione del nuovo management, gestione delle richieste dei regolatori che implicano un rafforzamento patrimoniale da 3,2 miliardi al 30 giugno – complice l’incauta incetta di Btp della tesoreria senese tra aprile e giugno 2011, poco prima della crisi del debito sovrano piano industriale per rilanciare la redditività e rivedere il dividendo per ricostruire un rapporto con il mercato e per alleviare le casse della fondazione che sussidia il territorio , gestione dei dipendenti sul piede di guerra per il piano da 1.500 nuovi tagli, restituzione del Tremonti bond da 1,9 miliardi… Una matassa non si forma in un giorno. Anche scontate le attenuanti della crisi europea e del trattamento "impietoso" del regolatore Eba, si è arrivati a questo per un decennio di errori operativi, strategici, culturali. La fondazione esiste dal 1996. La normativa AmatoCiampi che prevede tra l’altro la cessione del controllo degli enti nelle banche (tuttora lettera morta a Siena), si sviluppa a fine anni Novanta. La fase rombante dei mercati, con particolare focus sulle banche, viene pochi anni dopo, quando Mps è una bella banca regionale, con un blasone e un network ma, per gli investitori e le convinzioni del tempo, troppo piccola per avere una leva operativa adatta a competere coi rivali. Inizia una campagna di piccole acquisizioni, ma il mercato chiede il big one. Già altre volte a Siena ci si era misurati con integrazioni robuste: nei primi anni Duemila, quando con il contributo fattivo di Francesco Gaetano Caltagirone fu ventilata la fusione tra uguali con Bnl (bloccata dal veto di Antonio Fazio in vigilanza, e da certi mugugni localistici), nel 2005, quando Siena emerse come possibile cavaliere bianco nella contesa finale per Bnl. Ma la situazione, tra patto e contropatto nella banca romana, era troppo ingarbugliata, e le resistenze campanilistiche ebbero buon gioco nel tenere Siena riparata. La mossa grande, a fine 2007, fu l’acquisizione di Antonveneta, un attimo prima della tempesta subprime e pagando 9 miliardi in contanti al Santander. E’ l’inizio dei problemi veri, perché la fondazione si svena per seguire l’operazione (è azionista con circa il 55%), e perché, al piano sotto, ci si trova a gestire un gruppo più grande e complesso, con poco capitale in pancia e in una fase proibitiva del ciclo. Da allora il peggioramento corre. 2008, aumento da 4 miliardi per finanziare l’acquisizione, con l’ente che tiene la maggioranza assoluta e inizia a chiedere soldi ad altre banche. 2010, prestito da 1,9 miliardi del Tesoro al Monte, a corto di capitale ed esposto alle raffiche dei mercati. 2011, altro aumento da 2 miliardi per rinforzare il patrimonio, con la fondazione che non molla la maggioranza e si indebita fino a un miliardo. L’ultimo semestre è cronaca: l’azione tracolla (68% solo nel 2011, decimata in cinque anni), tutti i titoli di Palazzo Sansedoni in pegno alle 12 banche prestatrici non bastano più e scatta la rinegoziazione del debito, partita a novembre e ora in chiusura, con molta fatica e dopo l’impegno dell’ente a cedere fino al 15,5% di azioni Mps più tutte le altre partecipazioni, per rimborsare circa 600 milioni e riscadenzare il resto. Siamo al presente e i passi sembrano obbligati. Ma la gestione della banca e dell’azionista rimane tutto fuorché lineare. Il sindaco di Siena Franco Ceccuzzi, espressione del Pd "ex Ds", si convince ad adottare le maniere forti per un rinnovamento radicale, in asse col presidente della Provincia Simone Bezzini (Pd anche lui). Fanno sapere a Giuseppe Mussari, veterano del potere bancario senese, che non sarà confermato alla presidenza, ma gli chiedono di contribuire al ricambio. Insieme pescano a Modena Fabrizio Viola, nuovo dg da gennaio e prossimo ad, e Alessandro Profumo, presidente in pectore. Con loro, la fondazione indica 4 consiglieri "tecnici" quasi tutti docenti universitari, poco conosciuti o adusi alle baruffe di campanile. Meglio sarebbe dire che i tecnici li indicano Comune e Provincia, perché la fondazione non tocca più palla, esautorata insieme alla componente ex Margherita del Pd che ne esprimeva il vertice. Gabriello Mancini, presidente dell’ente, in scadenza nel 2013, si è astenuto sull’indicazione dei nuovi consiglieri, Profumo compreso. Troppo poco senesi, per lui. Sempre Mancini tenta di individuare un "investitore strategico" che affianchi l’ente rilevandone una fetta di azioni, e condivida le scelte di gestione anche tramite un patto. Ma la trattativa, in stato avanzato con il fondo private Equinox, è saltata settimana scorsa. Sembra che ci sia rimasto molto male Salvatore Mancuso, patron di Equinox che da mesi perfezionava un’offerta da 400 milioni sul 9,9% di Mps, con investitori tutti italiani, patto parasociale, lista da tre consiglieri, lock up di tre anni sui titoli e un focus su quella che lui chiama "Banca nazionale dei territori". Ancora non è chiaro il motivo del dietrofront, per cui la fondazione avrebbe ribattuto a Equinox che non avrebbe concesso governance, solo venduto una serie di pacchetti Mps a propria scelta tra un paio di settimane. C’è il sospetto che si tratti di un diktat della politica, o del prossimo presidente Profumo, che già aveva cacciato Mancuso dal Banco di Sicilia, nel 2008. Torna, comunque, la vexata quaestio della governance: chi comanda la Siena bancaria? «La separazione tra fondazione e i suoi danti causa – spiega un banchiere che conosce bene le vicende senesi – è l’eterno problema: non è mai il primo azionista che decide, ma altri che non risultano poi responsabili se le cose vanno male. I rappresentanti dell’ente, e spesso quelli piazzati nella banca, non sono mai troppo ingombranti. Lo stesso dg della fondazione è solo l’esecutore operativo». E qui emerge un secondo quesito: sarà così anche da aprile, con il duo "pesante" ProfumoViola? «L’esperienza e il track record del nuovo management sono tutti all’insegna della discontinuità: nessuno chiamerebbe mai Alessandro Profumo per tutelare uno status quo. – afferma Alberto Segafredo, capo del risparmio gestito di Carthesio Oggi Siena è a un bivio strategico: ritorno alla banca regionale, riducendo il perimetro e conservando l’ente come socio di maggioranza; oppure salto dimensionale, con la fondazione che diventa azionista di un gruppo più grande e capace di garantire meglio i dividendi». Sono in molti a ritenere che a Profumo e Viola, magari complici i rovesci borsistici o le richieste dei regolatori, avranno il destro per tentare una discontinuità profonda e un’apertura vera all’esterno, quelle che forse troppo spaventano gli spiriti locali.