Ettore Livini, Affari e Finanza 26/3/2012, 26 marzo 2012
Monti archivia l’era Tremonti ecco i progetti per la nuova Cdp – L’exBella addormentata della finanza tricolore è pronta a scendere in campo a fianco dell’Italia nella guerra mondiale dei debiti sovrani
Monti archivia l’era Tremonti ecco i progetti per la nuova Cdp – L’exBella addormentata della finanza tricolore è pronta a scendere in campo a fianco dell’Italia nella guerra mondiale dei debiti sovrani. A svegliarla non è stato il classico bacio del principe azzurro, ma meno romanticamente la sveglia suonata nei mesi scorsi con lo spread a quota 575 e il debito nazionale in marcia inarrestabile verso l’iperuranio dei 2mila miliardi. Davanti all’assalto della speculazione, il Tesoro ha deciso di calare l’asso: la Cassa depositi e prestiti, la cassaforte che custodisce e gestisce i risparmi postali degli italiani e controlla il 26,4% dell’Eni e il 29,9% di Terna. La sua potenza di fuoco è impressionante: oltre 300 miliardi.Una cifra pari al 20% del pil, più della metà dei quattrini che l’Europa è riuscita a gran fatica a mettere assieme per il Fondo Salvastati. Al ministero dell’Economia è stato attivato nei mesi scorsi un gruppo di lavoro che studia come utilizzare al meglio questo arsenale parcheggiato grazie all’assetto proprietario della Cdp fuori dal perimetro del bilancio statale. Obiettivo: ridisegnarne la mission già messa a punto da Giulio Tremonti. I paletti, come ha ripetuto il presidente Franco Bassanini in una recente audizione parlamentare, sono chiari: «Mantenere in sicurezza totale i conti correnti postali dei risparmiatori italiani e consolidare il ruolo della Cassa come grande finanziatore degli enti pubblici». Monti però sembra intenzionato ad alzare il tiro. Cambiando pelle alla società e trasformandola (anche con una partita di giro di alcune partecipate pubbliche) in una cabina di regia destinata a spingere l’internazionalizzazione delle imprese nazionali e a difendere l’Italia Spa, già strozzata dalla stretta creditizia, dall’assalto degli stranieri. Il sogno finale però è ancora più ambizioso: utilizzare le competenze e il tesoretto della Cdp per ritagliarle un ruolo da protagonista nella partita più importante del paese: quella per abbattere, magari con una grande manovra sul patrimonio immobiliare dello Stato, l’Everest del debito pubblico nazionale. Un campione in sonno Perché il governo ha acceso una faro sulla Cassa depositi e prestiti? La risposta è facile: la Cdp è oggi «la banca italiana più efficiente e più profittevole». A sostenerlo non è il suo amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini in un guizzo di autostima ma un recentissimo studio di Mediobanca (all’epoca di Cuccia il nemico pubblico numero uno dei Moloch pubblici dall’Iri in giù) redatto da Antonio Gugliemi, capo del team londinese di ricerca della banca d’affari e vincitore lo scorso anno del prestigioso premio che Bloomberg attribuisce al miglior analista per il settore del credito. I numeri del resto parlano chiaro. Nel portafoglio della Cdp oltre alle quote di Eni e Terna e a quelle in altre aziende e fondi non quotati ci sono 215 miliardi circa di risparmi postali più altri fondi raccolti sul mercato senza la protezione formale dello Stato. Una montagna d’oro vicina ai 300 miliardi di valore impiegata in buona parte (oltre 125 miliardi) in prestiti diretti al Tesoro, per il 34% in prestiti agli enti locali e per il 7,5% in investimenti azionari. Investimenti che rendono: nel 2011 l’utile dovrebbe essere stato superiore agli 1,7 miliardi dell’anno precedente. Soldi girati come dividendi al ministero dell’Economia, primo socio al 70%, e alle 66 fondazioni bancarie che controllano l’altro 30%. Una struttura che in base alle regole Ue mette fuori dal perimetro dei conti pubblici tricolori il business della società. Il roe della Cassa viaggia oltre il 20% e il suo patrimonio gestito è superiore al doppio di quello dei fondi pensione e delle assicurazioni italiane. La nuova mission Il lavoro del Tesoro per ridisegnare il profilo della Cdp procede per ora sottotraccia. E gli spifferi che arrivano dalla sede della società in via Goito parlano di qualche scintilla con il ministero dello Sviluppo Economico gestito da Corrado Passera per la segretezza del progetto. I progetti sul tavolo dopo un 2011 in cui la Cassa ha mobilitato risorse per 16,5 miliardi per la crescita del paese (il 41% in più del 2010) sarebbero però più di uno. Il primo sogno di Monti era di affidarle il compito di rimborsare ai creditori (per lo più piccole e medie aziende a corto d’ossigeno per i ritardi dello Stato) almeno i 70 miliardi di debiti arretrati della pubblica amministrazione. Un progetto che si è arenato per evitare il rischio di dar fiato al partito di oppositori che temono la trasformazione della Cassa in una nuova Iri. Resta però l’idea di rafforzare il presidio del gruppo a sostegno delle pmi (e non solo) tricolori. Procedendo a un riordino di altre partecipazioni statali: l’idea sarebbe quella di mescolare le carte avvicinando all’orbita della Cdp la Sace e la Simest, che già si occupano di assicurazione e finanziamento di investimenti all’estero. Via Goito ha già un rapporto consolidato con la Sace attraverso la Exportbanca (ultimo capitolo un maxifinanziamento per una nave commissionata da Carnival a Fincantieri) e potrebbe diventare lo strumento principe per deprovincializzare e spingere all’estero con una consulenza snella e rapida, gli imprenditori che vogliono mettere il naso oltrefrontiera. Tra Snam e fondo strategico I legami con l’Italia Spa e l’economia reale verranno però rafforzati su altri fronti. Con finanziamenti diretti (la Cdp ha appena stanziato assieme all’Abi 10 miliardi di finanziamenti per le pmi, di cui due riservati al rimborso di crediti con la Pa) ma anche con un’attività più aggressiva di private equity. Un business nato già sotto la gestione di Tremonti. Il Fondo Italiano d’investimento (partecipato assieme a diverse banche) ha già chiuso 16 operazioni grazie a una dotazione di 1,2 miliardi. Il vero salto di qualità arriverà però con l’avvio operativo nelle prossime settimane del Fondo Strategico Italiano, già capitalizzato per 1 miliardo dalla Cassa con la facoltà di salire a 4 miliardi, cifra che potrebbe crescere ulteriormente con la leva finanziaria. Prima ancora del battesimo del fuoco, ben 160 aziende hanno già bussato alla porta dell’ad Maurizio Tamagnini. E il suo intervento è già stato ventilato, a torto o a ragione, per puntellare l’azionariato di Acea, di A2A, di Ansaldo Energia e di Avio. La Cdp dovrebbe sviluppare il modello di partnership pubbicoprivato non solo nel campo delle infrastrutture per i trasporti, ma anche in quello delle reti. Con la Metroweb di F2I, il fondo di Vito Gamberale, ha studiato un piano da 4,5 miliardi per lo sviluppo della banda superveloce nelle maggiori città. E il ruolo di azionista di Eni e di Terna potrebbe regalare alla cassa un ruolo di pivot nello scorporo dal cane a sei zampe della Snam Rete Gas. Operazione mattone Il tavolo tecnico di via XX Settembre starebbe però valutando un passo ulteriore. Delegare a Cdp la gestione della privatizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato. Riuscendo a deconsolidare da subito una fetta importante del nostro debito pubblico e dando tempo a via Goito di mettere sul mercato o di ottimizzare la gestione di un tesoretto dal valore stimato vicino ai 425 miliardi di euro, poco meno del 20% del nostro indebitamento. Il percorso tecnico non è facile, anche perché le proprietà dello Stato sono polverizzate tra migliaia di enti pubblici locali e di municipalizzate. Qualche idea però è già stata buttata lì: una delle opzioni, ad esempio potrebbe essere quella di dirottare alla Cassa il business immobiliare di Fintecna, scorporando la Fincantieri. Naturalmente per mandare in porto un’operazione di questo tipo bisognerà superare molti ostacoli. C’è da convincere Eurostat della correttezza del trasferimento di beni. Da mettere a punto la stanza dei bottoni da cui gestirne la valorizzazione. Ma la liquidità della Cdp e la possibilità di negoziare ragionevoli accordi d’affitto per gli immobili ancora in uso allo Stato per non gravare sul deficit sono due jolly difficili da trovare con altre soluzioni. E la Cassa e il suo arsenale di risparmi postali sono il Cavallo di Troia più indicato per allontanare di un altro po’ l’Italia dal baratro della crisi dei debiti sovrani.