Corrado Zunino, la Repubblica 26/3/2012, 26 marzo 2012
Indicatori di rischio in un atleta su dieci "Servono defibrillatori e test più mirati" – ROMA - «Mi gira la testa, aiutatemi che cado»
Indicatori di rischio in un atleta su dieci "Servono defibrillatori e test più mirati" – ROMA - «Mi gira la testa, aiutatemi che cado». Si è toccato a sinistra, sotto il cuore, e un’ora dopo Vigor Bovolenta era clinicamente morto all’ospedale di Macerata. Un altro decesso improvviso nello sport di vertice italiano, questa volta un atleta di 38 anni. Un problema cardiaco, hanno detto i primi accertamenti. In attesa dell’autopsia, la Volley Forlì, società in cui il "centrale" militava in B2, fa sapere che Vigor Bovolenta era sotto controllo medico, «come qualunque altro atleta», e aveva superato tutte le visite previste ottenendo regolare certificato di idoneità. In A1 l’anno scorso e quest’anno in B2. «Tutto era stato fatto e nulla era stato visto». Perché un’altra tragedia, allora? E perché Vigor Bovolenta nella stagione 1997-’98 era già stato fermato? Il cuore gli batteva troppo forte, a 24 anni lo avevano messoa riposo per tre mesie mezzo. Aritmie. Poi quattordici stagioni senza problemi, i controlli profondi e superati per le ultime Olimpiadi, Pechino, quattro anni fa. Gli stessi controlli che avevano fermato Antonella Del Core, atleta di punta della nazionale femminile. Sergio Cameli è il responsabile sanitario della Federazione pallavolo. Conosceva Bovolenta dai tempi della nazionale juniores e dice: «Ci sono fattori individuali che possono portare alla morte. Si possono individuare, più spesso sono impercettibili. Se dovessimo fermare gli atleti ad ogni indicatore, dieci ragazzi ogni cento non andrebbero avanti. Il rischio zero nello sport non esiste, spesso facciamo giocare atleti a rischio contenuto». Gli sportivi alti hanno corpi più fragili? «Possono avere patologie tipiche: alterazione delle strutture dei legamenti, delle valvole cardiache. Ci sono, ma non è detto abbiano un significato clinico». Che cosa si può fare, allora, per rendere più rare queste tragedie e far sapere al pubblico che lo sport non uccide, ti salva? «Da trent’anni in Italia la medicina dello sport tutela l’attività sportiva di tipo agonistico, siamo all’avanguardia nel mondo. Si possono fare più esami, trovare più patologie, ma non si possono azzerare gli eventi fatali. Ritengo che Bovolenta abbia fatto tutti e tre i livelli di esami previsti». Il primo, valido fin dall’adolescenza, è il test per l’idoneità agonistica: visita medica con spirometria, esame delle urine, test a riposoe sotto sforzo. La salitae discesa del gradino. Il secondo livello è un ecocardiogramma e una prova di sforzo massimale, si usa il nastro trasportatore. Se ci sono dubbi, si passa al terzo livello: l’apparecchio Holter da portare per un giorno o una settimana. «Negli atleti di questo livello l’Holter è la routine». Ci sono anche esami invasivi, «ma si fanno in condizioni eccezionali». In settimana una commissione Coni deciderà se il cuore di Antonio Cassano è pronto per il ritorno del calciatore ai campi. Gli addetti ai lavori assicurano: «In Italia siamo all’ultimo posto per numero di decessi». Il professor Carlo Tranquilli, direttore sanitario dell’Istituto di medicina e scienza dello sport: «Non si possono fare controlli invasivi su tutti gli atleti, è una questione di costi-ricavi. Si devono controllare i controllori. Non sempre, soprattutto al Sud, ci sono medici e strutture all’altezza». Il cardiologo Antonio Rebuzzi, università Cattolica, ipotizza "un’aritmia maligna" per Bovolenta. Francesco Fedele, ex presidente della Società italiana di cardiologia, chiede di superare "i test della scaletta", più defibrillatori a bordo campo e una seria formazione per le manovre di rianimazione. «I primi cinque minuti sono quelli definitivi».