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 2012  marzo 26 Lunedì calendario

L’ultima schiacciata del gigante Bovolenta – RAVENNA SEMBRA una domenica normale. Il cortile di casa è pieno di grandi e bambini

L’ultima schiacciata del gigante Bovolenta – RAVENNA SEMBRA una domenica normale. Il cortile di casa è pieno di grandi e bambini. «Anche le altre domeniche erano così. Bovo aveva un sacco di amici. E anche noi parenti siamo tanti». La casa di Vigor Bovolenta è a Borgo Montone, dove la città si unisce alla campagna. DOVE i peschi in fiore sono una poesia. «Mia figlia Federica è a letto, è crollata. Stanotte nessuno ha dormito». Roberto Lisi, il suocero del Bovo, sta sul cancello aperto perché le gemelline più piccole, di 14 mesi, vorrebbero correre in strada. «Quattro figli, e i loro nomi cominciano tutti per A. È una mania di mia figlia. Hanno anche un cane e guarda caso lo hanno chiamato Alvaro». Gli adulti che piangono vanno a nascondersi dietro una siepe o fra le colonne del porticato. Il maschietto di 3 anni e mezzo corre sul triciclo, quello di otto anni tira calci a un pallone, e nessuno di loro sa ancora che papà non tornerà a casa, come faceva le altre domeniche, dopo la trasferta. «La prima telefonata - dice Roberto Lisi - è arrivata sabato verso le 23. «Bovo sta male, lo portiamo all’ospedale». Mia figlia Federica è partita subito, in macchina con un’amica. Io e mia moglie siamo rimasti, a badare ai bambini. Siamo romani, eravamo qui da giovedì, per stare assieme alla figlia e alla sua bellissima famiglia. Un’altra telefonata ci ha detto che Vigor si era aggravato. Poi il silenzio. E a un certo punto è apparsa quella striscia su Sky. «Il pallavolista Bovolenta è morto questa sera a Macerata...». Una partita di B2, fra la Lube e il Forlì Volley. Vigor Bovolenta, al terzo set, è alla battuta. Ma butta via la palla. «Mi gira la testa, aiutami che cado». Si mette una mano al petto, sotto il cuore. Una inutile corsa all’ospedale. Se n’è andato così il Bovo, che avrebbe compiuto 38 anni a maggio, nato a Rovigo e innamorato di Ravenna. Gli amici Massimo e Paolo dicono che «era un ragazzone, un toro di cento chili». «Ha giocato in A1, la massima serie, fino all’anno scorso. Ancora nel 2008 era alle Olimpiadi. Non beveva, non fumava, non mangiava troppo: un fisico perfetto. Ci teneva a continuare a giocare, era il suo lavoro». Ma fra il 1997 e il 1998 era stato fermato per tre mesi e mezzo a causa di aritmie cardiache. «Da allora sono passati quindici anni e non c’era stato più nessun problema». Il Volley Forlì conferma: Bovolenta era stato sottoposto a tutti gli esami necessari ed era stato trovato perfettamente idoneo. In un solo anno, il salto in basso fra la prima seriee la B2, quarto gradino del campionato. «Avrebbe potuto giocare - raccontano Massimo e Paolo - almeno in A2, o andare all’estero, ad esempio in Turchia. Ma lui ha scelto Forlì perché voleva stare con la famiglia. Non fai quattro figli, diceva, per poi stare lontano da loro». Lo scrisse lui stesso, in una lettera aperta ai suoi tifosi. «Gioco in B2 anche per stare vicino alla mia famiglia, che mi ha sempre seguito nelle varie città in cui ho giocato. Dopo che loro sono stati al mio fianco, credo sia arrivato il momento in cui io sto al fianco loro. Io me ne sono andato via da casa a 15 anni, lasciando mio padre Gino e mia mamma Luciana. So cosa vuol dire stare lontani». L’addio ai grandi palazzetti dello sport non gli pesava. «Era un atleta - dice il suocero Roberto Lisi - che ha avuto grandi soddisfazioni. Non giochi 553 partite in A, non vinci due scudetti e cinque coppe internazionali se non sei un campione. Ma lui era diverso. Quando nove anni fa si è sposato con mia figlia Federica, anche lei campionessa di pallavolo, i patti erano già chiari. «Se vogliamo stare assieme, lavorando in città diverse possiamo continuare a vederci solo quando è possibile. Ma se vogliamo sposarci e fare dei figli, dobbiamo avere una sola casa e vivere assieme». E così Federica ha lasciato la pallavolo e assieme hanno preso questa casa a Ravenna. È andata così anche quando ha accettato la B2. Pensava al futuro dei figli. Il Forlì gli aveva offerto anche un altro lavoro, quello di direttore del marketing, che gli interessava molto. «Sto provando questo nuovo mestiere, mi piace molto», mi diceva. Così mi sarà possibile lavorare nel volley anche in futuro». Arrivano altri amici, che vanno subito a nascondersi dietro le colonne e dopo lo sfogo vanno a giocare con i bambini. «Gli piaceva, questa grande casa. Cinque minuti in bici e sei in piazza del Popolo, mezz’ora e sei al mare. E da qui in un quarto di macchina sei a Forlì, al palasport». Non sembra che parlino solo di un campione, ma di un uomo cui si è spezzato il cuore mentre era al lavoro. La cuccia di Alvaro è vuota: è stato portato in un’altra casa perché con tutta questa gente abbaierebbe troppo. Stasera verrà il momento più duro. La mamma Federica dovrà raccontare almeno ad A., il più grande, perché papà non è tornato a casa.