Sergio Romano, Corriere della Sera 28/3/2012, 28 marzo 2012
L’arroganza con la quale i politici si pongono nei confronti della gente comune fa aumentare l’antipolitica
L’arroganza con la quale i politici si pongono nei confronti della gente comune fa aumentare l’antipolitica. Il fatto di essere stati eletti dal popolo non consente a questi signori atteggiamenti in contrasto con l’etica, la moralità, l’onestà intellettuale. Dovrebbero passare un esame dopo un apprendistato, come succede per quei mestieri su cui hanno scritto e approvato leggi in nome e per conto del popolo. Dovrebbero avere un salario di ingresso per un paio d’anni; dopodiché qualcuno al di sopra delle parti, se c’è, dovrebbe stabilire se il loro operato sia stato diligente, fruttuoso, costruttivo. Si dovrebbero applicare a coloro che per la prima volta entrano in Parlamento le regole che valgono solo per gli altri comuni mortali. La discussione della riforma del mercato del lavoro dovrebbe disciplinare innanzitutto gli eletti dal popolo. Sono sicuro che i signori Landini, Cremaschi, Camusso sarebbero in grado di suggerire le migliori proposte a riguardo. Questa è una provocazione, ma vorrei si avvicinasse molto alla realtà. Mario Sardea mariosardea2@hotmail.com Caro Sardea, N on credo che il futuro uomo politico possa essere trattato alla stregua di un apprendista e faccio fatica a immaginare coloro che dovrebbero certificare la sua preparazione. Chi sceglierà gli esaminatori? Un gran sacerdote? Un comitato di saggi? Le segnalo che qualcosa del genere esiste già in Iran dove il Consiglio dei guardiani vigila sulle candidature elettorali e cancella i nomi di coloro che non giudica adatti al ruolo di rappresentanti della nazione. Al di là della sua provocazione, tuttavia, è certamente vero che la formazione della classe dirigente è sempre stata una delle maggiori preoccupazioni dei grandi Stati e delle grandi istituzioni religiose. In Gran Bretagna, quando il Paese era retto da una oligarchia aristocratica, i figli delle classi superiori venivano indirizzati verso un particolare percorso scolastico e professionale: le «public schools», Oxford, Cambridge, gli «inns of court», vale a dire le quattro corporazioni a cui spetta il compito di selezionare i membri delle professioni legali. Terminati gli studi, il giovane avrebbe fatto un lungo viaggio all’estero per meglio conoscere il mondo, avrebbe appreso un po’ di francese e, al suo ritorno, sarebbe divenuto il segretario di una persona autorevole, spesso amica della famiglia, sino al giorno in cui, finalmente, sarebbe stato candidato alla Camera dei comuni in un seggio elettorale «sicuro». Anche in Unione Sovietica il percorso scolastico era fondamentale. Nei primi decenni del regime la lunga strada verso il Comitato centrale passava attraverso i Politecnici (fucina dell’«homo sovieticus»), la scuola del partito, la federazione, il Soviet della città. Più tardi i Politecnici furono sostituiti dalla facoltà di Giurisprudenza (Gorbaciov studiò legge all’Università di Mosca) e, soprattutto per le carriere internazionali, dal Mgimo (Istituto statale moscovita per le relazioni internazionali). Nelle democrazie moderne, dove la scelta in ultima analisi spetta agli elettori, non è facile prescrivere percorsi di educazione e formazione. Ma la Francia, nei momenti in cui era maggiormente necessario rinnovare la sua classe dirigente, ha reagito alle sconfitte promuovendo la nascita di nuove scuole. Dopo la guerra franco-prussiana ha creato l’Istituto di scienze politiche, meglio noto nel mondo come «Sciences Po», e dopo la Seconda guerra mondiale ha creato l’Ena («Ecole nationale d’administration») da cui è uscito in buona parte il personale politico francese degli ultimi cinquant’anni. La nostra classe politica, invece, ha fatto percorsi più tradizionali, spesso condizionati dalla sua origine sociale. Proviene in buona parte dagli studi giuridici, dalle professioni liberali, dal mondo accademico, dal sindacato, dalla militanza politica. E rispecchia i molti vizi e le meno numerose virtù della società da cui è stata eletta.