Massimo Sideri, Corriere della Sera 28/3/2012, 28 marzo 2012
MILANO —
Nella storia di Telecom Italia sarà ricordata come la guerra persa dei due euro, peraltro un’approssimazione per eccesso di circa 1,8 euro. È questo il valore stimato del costo di manutenzione mensile pagato dagli operatori alternativi a Telecom per ognuna delle 5 milioni di linee in unbundling. In tutto fa circa 9 milioni al mese nei conti Telecom, 108 milioni l’anno. Non proprio spiccioli, ma comunque nulla che modifichi gli assetti di bilancio. Ma fin dall’inizio — il presidente di Telecom, Franco Bernabé, solo la scorsa settimana aveva lanciato l’allarme «esproprio» della fatidica rete — è stato chiaro che l’aspetto economico nella partita della liberalizzazione della manutenzione dell’ultimo miglio, ripescata ieri con una faticosa mediazione del ministro per la Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, era meno rilevante del coté strategico e politico.
Dal primo punto di vista questo gettone del valore di 1,8 euro sembra avere la forza per aprire uno spiraglio nella gestione univoca della rete da parte dell’incumbent. È da anni che si parla di studi di separazione, addirittura vendita, della rete. Solo un mese fa il piano Rovati, in una delle sue molteplici forme, era tornato anche sul tavolo di Montecitorio. Nulla di tutto ciò è successo. Ma la quantità di energia spesa da Telecom in questa vicenda è il vero termometro della sua importanza. Negli scorsi giorni era sceso in campo, non solo con una lettera ma anche fisicamente, il potente lobbista a Bruxelles degli incumbent europei, Luigi Gambardella, presidente di Etno.
Di certo i top manager Telecom hanno dialogato spesso in questi giorni con i parlamentari. Ma senza grosso successo. Solo lunedì sera, infatti, un nutrito schieramento trasversale di deputati e senatori di tutti i movimenti politici aveva lanciato un appello al premier Mario Monti, proprio nelle ore in cui già tra i due poteri sulla riforma del lavoro la tensione era alta, usando parole non certo leggere: «Il governo con evidente cedimento ad interessi privati specifici, ha presentato un emendamento che modifica sostanzialmente la misura introdotta alla Camera, rendendola, di fatto, inefficace» avevano scritto riferendosi al depotenziamento dell’emendamento sull’ultimo miglio. Lo stesso Patroni Griffi, subodorando il rischio di una scivolata politica su una faccenda puramente tecnica, ieri ha lavorato fin dalle prime ore dell’alba per un compromesso che liberalizza la manutenzione ma ne affida la supervisione all’AgCom che dovrà avviare una consultazione.
La commissaria Neelie Kroes, secondo alcune fonti, starebbe seguendo la vicenda con preoccupazione. Di fatto, se l’emendamento diventerà legge, come ormai sembra certo, gli altri operatori di telefonia fissa come Fastweb, Vodafone, Wind e Tiscali, non dovranno più pagare direttamente 1,8 euro ma potranno decidere chi chiamare per la manutenzione delle linee «affittate». Un passaggio non solo pericoloso per la sicurezza ma tecnicamente impraticabile secondo Telecom, che comunque oggi teneva in casa circa il 50% degli interventi. Una percentuale peraltro non condivisa dagli altri operatori che stimano un 100% degli interventi di riparazione dall’esterno. Solita debacle. In ogni caso Telecom ha usato dei contratti forfettari da cui risulta un costo medio di circa 50 centesimi per linea (circa 60 per guasto). Ma per adesso non c’è trasparenza sui dati e dunque manca il quadro completo. Se tutto questo si riverserà positivamente sulle offerte di traffico dati ai clienti è la vera scommessa.
Massimo Sideri
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