VARI Corriere della Sera 28/3/2012, 28 marzo 2012
ALESSANDRA MANGIAROTTI SUL CORRIERE DELLA SERA
I genitori d’Oltralpe hanno lanciato quella che qualcuno ha già definito la seconda rivoluzione francese: quindici giorni senza compiti a casa. A partire da lunedì. «Perché chi l’ha detto che fanno bene e non male?».
La domanda apre il blog della principale associazione di genitori delle scuole pubbliche: la Fcpe ha proposto il boicottaggio dei compiti a casa ricordando come una circolare del 1956 alle elementari li abbia vietati. Pauline interviene facendone una questione di cattiva distribuzione di carichi di lavoro: «Ho tre bambini e ho l’impressione di passare dall’uno all’altro senza andare a fondo in nulla. I fine settimana sono bruciati dai compiti... Ma che fanno a scuola?». Mado mette in guardia sul rischio di creare differenze tra ragazzi con i genitori a casa o al lavoro: «Da quando mia figlia va a scuola è stressata per i compiti. Non sono una mamma casalinga, non vado a prenderla alle 18. E trovo ingiusto che certi bambini abbiano la fortuna di mettersi a studiare la sera mentre la mia una volta a casa ha solo il tempo di lavarsi, mangiare e andare a dormire». Marie lancia infine un appello agli insegnanti per ridurre al minimo il lavoro a casa e salvaguardare la quiete domestica: «Tutte le sere mio figlio arriva con un mucchio di compiti. Va avanti per ore. I nostri rapporti sono tesissimi. Qualcosa non va nell’educazione dei nostri ragazzi a scuola, è sicuro».
I genitori d’Oltralpe hanno fatto delle tesi di Pauline e Mado il loro cavallo di battaglia. Ma è dal post di Marie che emergono i punti su cui psicologi e addetti ai lavori nostrani concentrano il dibattito. «Serve equilibrio, attenzione però: dietro il boicottaggio dei compiti a casa, non c’è solo una ragione educativa, un diverso modello di insegnamento», spiega lo psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet. «Al bene dei ragazzi (narciso) si antepone talvolta quello dei genitori che da una parte vivono quel lavoro a casa come un intralcio, dall’altra temono il conflitto e delegano alla scuola ogni compito educativo (salvo poi criticare)». I compiti legati al sapere così come quelli che più hanno a che fare con le regole di vita e buona educazione: «Dall’insegnare a sapersi organizzare all’accettare un "no", fino allo stare a tavola o con i compagni», continua lo psicoterapeuta. «All’asse genitore-insegnante è subentrato quello genitore-figlio, un patto di non belligeranza in cui mamma e papà hanno rinunciato alla divisa da genitore per indossare i panni dell’amico».
Per dirla come lo psicoterapeuta (e insegnante di filosofia) Antonio Piotti: «Stiamo decidendo le responsabilità di un modello educativo da costruire». Pensionato il modello Cuore e anche quello Gianburrasca, la tendenza è di costruire una scuola narcisistica: «Un luogo non di compiti e doveri, ma di gratificazioni e piacere. Che deve motivare, tirar fuori il talento e non deprimere con i compiti». Aggiunge Piotti: «In famiglia (slim o allargate, con poco tempo e tanti sensi di colpa) questo passaggio è già avvenuto: si è abdicato al ruolo autoritario (il padre, quando c’è, è amico, la mamma oltre a fare il papà fa anche i compiti) e adesso si vorrebbe dalla scuola lo stesso». Con un rischio: «Crescere ragazzi fragili (bulli o reclusi in casa) e incapaci di vivere».
Le cose più difficili per un genitore, ha rivelato ieri una ricerca Ipsos di Save the Children, sono non viziarlo, donargli tempo, farsi rispettare ed essere autorevole. Afferma Antonio Affinita, direttore generale del Movimento italiano genitori: «La polemica esiste anche da noi: dico no al disimpegno così come ai troppi compiti (anche alle mille attività assegnate dai genitori), ma ricordiamoci che il lavoro a casa insegna a sapersi gestire e l’asse genitori-insegnanti è fondamentale». Citando poi I no che aiutano a crescere di Phillips Asha aggiunge: «Tra il "vietato vietare" di sessantottina memoria e le madri tigri d’importazione cinese ci sono quei "no" forti e chiari che dobbiamo riscoprire. Anche quando costa fatica».
Alessandra Mangiarotti
STEFANO MONTEFIORI SUL CORRIERE DELLA SERA
Secondo una leggenda con più di un appiglio alla realtà, qualche generazione fa era possibile sapere che cosa stessero studiando gli allievi di ogni classe di Francia, in ogni dato momento di ogni mattina dell’anno, perché il programma era unico, e rigidamente applicato ovunque. Da Calais a Mentone. La scuola era uno dei pilastri dello Stato centralista francese, e a quest’istituzione — oltre che all’esercito — venne affidato il compito di cementare l’unione nazionale realizzando quanto possibile l’Égalité, uno dei tre grandi principi della République. Uguaglianza di programmi e quindi di possibilità, per tutti. Il candidato centrista alle prossime presidenziali, François Bayrou, ricorda sempre con orgoglio e gratitudine che è grazie alla scuola repubblicana se un figlio di umili agricoltori come lui ha potuto diventare ministro dell’Educazione prima e candidato all’Eliseo poi. Non è quindi solo una questione di organizzazione domestica, quella posta dai genitori francesi che si ribellano ai troppi compiti a casa. Dopo anni di tagli alla scuola pubblica, si diffonde il sentimento che lo Stato stia rinunciando alla prerogativa che si era assunto molto tempo fa, quando decise che sarebbe stato lui, e non le singole famiglie, a dare un’educazione ai francesi. Nel 1956 una circolare ministeriale proibì agli insegnanti di dare compiti a casa ai bambini delle elementari; provvedimento ancora in vigore, ma sempre più disatteso. Le classi sono sempre più numerose, le maestre non riescono a fare tutto e delegano ai genitori: i ricchi — di cultura, tempo o denaro — provvederanno, gli altri si trovano in difficoltà. Così entra in crisi il grande sogno repubblicano di una istruzione di qualità offerta a tutti i cittadini.
SILVIA VEGETTI FINZI SUL CORRIERE DELLA SERA
D a quando i Decreti Delegati, emanati nel 1974, hanno aperto le istituzioni scolastiche alla società, è iniziato un dialogo tra insegnanti e genitori che ancora oggi, nonostante molti cambiamenti, caratterizza la nostra scuola. Nessuno dei due protagonisti intende rinunciare alle proprie prerogative e delegare le proprie responsabilità. Entrambi riconoscono nella collaborazione un punto di forza ma il confronto non è mai facile e accordarsi costituisce sempre un’impresa impegnativa. Tra i punti più controversi troviamo i compiti da svolgere a casa. La maggioranza dei genitori li giudica eccessivi, una minoranza insufficienti. Molto dipende dal ciclo scolastico, dall’età dei bambini e dall’orario. Il problema si pone particolarmente per la scuola a tempo pieno: otto ore per cinque giorni la settimana. Un carico pesante seguito, nella maggior parte dei casi, da attività extrascolastiche che lasciano ben pochi spazi di indipendenza e autonomia. Paradossalmente non c’è niente di meno libero del tempo libero. Credo che, dalla terza elementare in poi, sia impossibile non assegnare compiti da svolgere a casa. In classe mancano infatti il silenzio e l’isolamento che consentono di studiare. Ma dovrebbero essere ridotti all’essenziale in modo che i bambini li eseguano presto e da soli, senza essere assillati da genitori esigenti e ansiosi che non consentono l’importante esperienza di apprendere dai propri errori. L’eccesso di compiti rischia di danneggiare la qualità dell’apprendimento che richiede processi di assimilazione e di accomodamento delle nuove nozioni nel casellario delle conoscenze. Un processo interiore che ognuno svolge a modo suo, secondo un timer che non può essere forzato. Non dimentichiamo che l’infanzia ha diritto a tempi e spazi riservati al gioco, alla fantasia, a quell’apparente far niente che potenzia il pensiero creativo e non solo esecutivo. Se vogliamo davvero il bene dei più piccoli e ottenere il meglio dalle nuove generazioni è necessario sgomberare la loro vita dal troppo, da un eccesso di richieste e di offerte. Come sta accadendo per i consumi, torniamo all’essenziale perché i bambini, se non vengono artificialmente stimolati, hanno pochi, fondamentali bisogni, tra cui margini di libertà e autogestione.