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 2012  marzo 28 Mercoledì calendario

Con una battuta potremmo dire che l’Ikea si avvia a di- ventare la nuova autobiografia di una nazione (l’Italia)

Con una battuta potremmo dire che l’Ikea si avvia a di- ventare la nuova autobiografia di una nazione (l’Italia). A leggere le cronache che arrivano dalle città di provincia sembra quasi che la multinazionale svedese stia cata- lizzando su di sé tutti gli epifeno- meni della nostra vita associata. Al Sud ci si mette in coda per es- ser assunti ma allo stesso tempo a Treviso il centrodestra si è a lungo spaccato nel tentativo di impedire l’apertura di un nuovo punto vendita. Anche nel Torinese e nel Pisano è successo qualcosa di simile, protagoniste in entrambi i casi le amministrazioni di centrosinistra. L’ultima nuova viene dall’Abruzzo, da San Giovanni Teatino e narra di un politico locale di centrodestra che ha premuto sull’Ikea per pilotare le assunzioni e si è trovato in mano una formale lettera di protesta dell’azienda. La verità è che l’Ikea in Italia ormai è quasi dappertutto, nonostante la recessione continua a macinare ricavi e profitti, è una delle poche multinazionali che assumono ed è riuscita a far soldi persino con il food. Grazie ai ristoranti che ha aperto dentro i suoi punti vendita e che servono mirtilli, polpettine svedesi con la marmellata e salmone in tutte le salse. La nostra politica locale si è accorta dell’onnipresenza Ikea e ha capito che le decisioni che riguardano gli svedesi sono elettoralmente sensibili, vengono analizzate al microscopio dalle varie constituency e possono decidere della sorte di un sindaco. Prendiamo i commercianti. Sicuramente non amano l’Ikea e tendono a premere sugli enti locali per dire no. A Casale sul Sile, in provincia di Treviso, i negozianti — tendenzialmente elettori di centrodestra — si sono trovati a fianco di ambientalisti, vendoliani e grillini in un’alleanza inedita pur di premere sul sindaco contro un insediamento Ikea da 1.300 nuovi posti di lavoro. Il responsabile della Confcommercio, Guido Pomini, ha tuonato contro «gli incalcolabili danni all’ambiente e alla viabilità» e ha messo in guardia «dalla nuova cementificazione». L’offensiva dei commercianti ha creato molti mal di pancia in casa leghista e solo lunedì 24 marzo il consiglio provinciale di Treviso ha dato il via libera per la prima pietra di un nuovo centro commerciale dopo mesi di impasse. I produttori di mobili del Nord est in una prima fase erano rimasti anche loro tremebondi davanti all’avanzata svedese, ora invece fanno a gara per essere fornitori della multinazionale. Così tra il centro commerciale di Villesse sulla A4 e il nuovo di Treviso si sta formando una specie di distretto Ikea, aziende italiane che fanno la stragrande maggioranza del fatturato vendendo agli scandinavi e ne vanno fiere. I margini di profitto sono bassissimi perché l’Ikea avrà pure un’immagine sobria ed elegante ma quando si tratta di contratti non regala un euro a nessuno e così capita che in qualche riunione di artigiani la cosa venga fuori. Del resto quando si nominano gli svedesi davanti a una platea di industriali e artigiani del mobile brianzoli seguono sempre sorrisini imbarazzati. Perché lo straordinario successo della multinazionale gialloblù rappresenta per il made in Italy un clamoroso autogoal. Se c’era un sistema Paese che avrebbe dovuto dotarsi di una catena commerciale capace di attirare nei propri saloni consumatori di tutti i target questo è sicuramente il nostro. Siccome non abbiamo una sufficiente cultura della vendita retail abbiamo preso un ceffone dagli svedesi, poi un altro dai francesi (Decathlon/articoli sportivi) e un altro ancora dagli spagnoli (Zara/abbigliamento). E speriamo di fermarci qui. I piani dell’Ikea per l’Italia sono ambiziosi: investimenti per 700 milioni e una dozzina di nuove aperture in una congiuntura in cui i posti di lavoro valgono oro. Già più di un anno fa a Catania davanti a un bando di 240 assunzioni si erano registrate 24 mila domande in sole 72 ore. Calcolarono che avendo Catania e dintorni una popolazione di 600 mila persone almeno il 13% degli etnei coltivava il sogno di diventare commesso, magazziniere, telefonista, contabile, cameriere dell’Ikea. A Bari e Salerno le cose negli anni precedenti non erano andate diversamente, nel primo caso i candidati erano stati 30 mila per 262 posti e nel secondo 21 mila per 210 assunzioni. Con questo potenziale «bellico» è evidente che i manager dell’Ikea hanno un potere di condizionamento fortissimo sugli enti locali. I concorrenti italiani raccontano di favoritismi ottenuti qua e là lungo la penisola addirittura per ridisegnare le strade di accesso ai magazzini gialloblù. La cosiddetta variante Ikea sarebbe la prima richiesta che un sindaco si trova davanti e alla quale — sostengono sempre i rivali — non riesce mai a dir di no. In Abruzzo nei giorni scorsi i posti in palio erano 200 e sul sito Ikea sono stati 30.446 abruzzesi a candidarsi. L’idea che è venuta agli amministratori di San Giovanni Teatino è stata quella di inaugurare un nuovo tipo di scambio italo-svedese. Ma evidentemente i politici abruzzesi devono aver sottovalutato i rapporti di forza e così sono stati messi alla berlina. Se i designer di grido raccontano come gli scandinavi siano dei gran copioni, bravi solo a sguinzagliare in giro per il mondo i propri trendsetter per cercare nuove idee da replicare, la multinazionale dell’arredamento aggiorna continuamente la sua immagine di responsabilità sociale e modernità. Di recente ha addirittura sponsorizzato la prima indagine realizzata in Italia sull’inclusione di gay, lesbiche, bisex e transessuali (acronimo: Gblt) nel mondo del lavoro. A presentarla a Milano c’era Ivan Scalfarotto, è venuto fuori che tra i 500 lavoratori Ikea che avevano risposto al questionario il 14% si dichiarava Gblt e i manager Ikea hanno potuto concludere che «si può partire dal luogo di lavoro per costruire quell’idea di comunità e reciproca attenzione che negli ultimi anni in Italia è stata picconata». Per chiudere il cerchio manca solo che a qualcuno, nella crisi delle ideologie, venga in mente di lanciare il Partito Ikea. Giustizia e comodità. Dario Di Vico