STEFANO SEMERARO, La Stampa 26/3/2012, 26 marzo 2012
Perché tante morti nello sport? - Vigor Bovolenta, ex azzurro di volley, è morto in campo a 37 anni per un problema cardiaco mentre disputava una partita di B a Macerata
Perché tante morti nello sport? - Vigor Bovolenta, ex azzurro di volley, è morto in campo a 37 anni per un problema cardiaco mentre disputava una partita di B a Macerata. È possibile che un atleta di alto livello sia vittima di malori del genere? Sì, tanto che tragedie come questa rientrano in una casistica ben precisa che viene individuata dalla sigla Mis: Morte Improvvisa da Sport. In Italia c’erano stati altri casi del genere? Fra i più famosi quelli di Luciano Vendemini, pivot della nazionale di basket, che nel 1977 fu stroncato da un problema cardiaco legato a una malformazione congenita mentre si riscaldava prima del match fra la Jolly Forlì e la Chinamartini Torino, e di Renato Curi, il calciatore a cui oggi è intitolato lo stadio del Perugia, che morì in campo sempre nel 1977 durante Perugia-Juventus. Sullo stesso campo di Vendemini nel 1992 cadde anche Luca Bandini, 22enne playmaker della Virtus Imola. Quali sono le cause di queste morti? Nella stragrande maggioranza si tratta di cardiopatie o anomalie cardiache «silenti», cioè difficili da individuare con gli esami di routine, anche se approfonditi, a cui vengono sottoposti gli atleti. La causa più frequente (23%) delle Mis è la cardiomiopatia ventricolare destra aritmogena. Siamo sicuri che i controlli siano sempre accurati? La certezza assoluta non esiste. Ci sono esempi, come quelli dello sciatore Leonardo David, che hanno avuto lunghi strascichi giuridici. David morì nel 1985 per le conseguenze di una caduta nella discesa di Lake Placid nel 1979: gli fu concesso di gareggiare nonostante, dopo un capitombolo di qualche settimana prima a Cortina, avesse iniziato ad avvertire forti disturbi alla testa. Chi è in Italia il responsabile dei controlli medici sugli atleti? Per quanto riguarda i professionisti affiliati ad una società, è il medico sociale, figura introdotta dal decreto ministeriale del 1995. Il ruolo di medico sociale richiede un diploma di specializzazione in Medicina dello Sport e l’iscrizione in un apposito elenco presso la Federazione sportiva di appartenenza. Però... C’è un inghippo? Il decreto ministeriale ricordato («Norme sulla tutela sanitaria degli sportivi professionisti») ha limitato l’area degli sportivi professionisti ai praticanti di poche discipline: calcio, ciclismo, motociclismo, pugilato, golf e pallacanestro. Bizzarro. Le decisioni del medico sociale vengono scavalcate? Può capitare. Il presidente di una società, ad esempio, può autocertificare che un atleta è idoneo all’attività professionistica. Ovviamente in caso di guai sia il presidente sia il medico sociale dovrebbero risponderne. Il Coni come può intervenire? Può richiedere ulteriori esami nel momento in cui un atleta partecipa alle Olimpiadi o viene inserito nella lista dei cosiddetti PO, Probabili Olimpici. Se in seguito a un accertamento ordinato dal Coni le condizioni dello sportivo non sono giudicate idonee, di solito scattano nuovi controlli anche a livello societario. Facciamo un esempio concreto nell’ambito del calcio: chi deciderà se Antonio Cassano potrà tornare a giocare? In prima istanza lo specialista che lo ha in cura e che lo ha operato al cuore. Una volta ricevuto il primo nullaosta, Cassano dovrà ottenere l’ok anche da parte del medico sociale del Milan, il dottor Tavana. Da problemi come quelli capitati a Bovolenta ci si può salvare? Dipende da vari fattori. Ogni caso fa storia a sé, ma è fondamentale che l’assistenza in campo sia equipaggiata e tempestiva. Nel 1989 il centrocampista della Juventus Lionello Manfredonia crollò a terra durante una partita di campionato con il Bologna allo stadio Dall’Ara. Già allora a bordocampo era presente un defibrillatore, e grazie a quello Manfredonia fu rianimato e salvato. Un po’ come è accaduto pochi giorni fa a Fabrice Muamba, il calciatore congolese del Bolton stramazzato in campo nel match contro il Tottenham? Esatto. Il caso di Muamba è particolarmente impressionante perché sono servite 15 scariche di defibrillatore e 78 minuti per riportarlo alla vita. Ma senza quelle apparecchiature non avrebbe avuto scampo, come è accaduto purtroppo ad altri calciatori: Marc Vivien Foe, Miklos Feher, Domingos Gomes. Il calcio è la disciplina più a rischio in questo ambito? Secondo uno studio del 2009 dell’European Georges Pompidou Hospital di Parigi, chi rischia di più sono i ciclisti (33 % dei casi di Mis), mentre il calcio è terzo (12 %).