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 2012  marzo 26 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA. MONTI MINACCIA LE DIMISSIONI


REPUBBLICA.IT
SEUL - La riforma del lavoro è "equa e incisiva". E per questo, fermo restando che il Parlamento è "sovrano", cercheremo di "avere un risultato finale, in tempi non troppo lumghi, il più vicino possibile al testo varato dal cdm". Lo ha affermato Mario Monti parlando sull’aereo che lo portava da Astana e Seul.
"Sento il peso di decisioni non facili" dettate dal fatto che la situazione "dell’Italia era piuttosto grave" ma abbiamo "cercato di essere equi nel distribuire i sacrifici" per risanare l’Italia. Mario Monti ribadisce ancora una volta che "non abbiamo mai potuto, dal 16 novembre, evitare di prendere decisioni difficili e sottolinea ancora una volta che per far crescere l’Italia "non ci si può illudere che ciò avvenga dall’oggi al domani, dopo qualche decennio gestito, diciamo così, in modo non ottimale".
Di fronte al ritorno di dubbi sulla tenuta dell’esecutivo a fronte delle fibrillazioni sulla riforma del mercato del lavoro, il premier assicura che "non punto alla durata ma a fare un buon lavoro". Rispondendo quindi a un domanda su un’eventuale crisi, Monti puntualizza: "Rifiuterei il concetto: a noi è stato chiesto di fare un’azione nell’interesse generale. Un illustrissimo uomo politico diceva: ’meglio tirare a campare che tirare le cuoia’. Per noi nessuna delle due espressioni vale perché l’obiettivo è molto più ambizioso della durata ed è fare un buon lavoro".
"Se il Paese, attraverso le sue forze sociali e politiche, non si sente pronto a quello che secondo noi è un buon lavoro - aggiunge - non chiederemo certo di continuare per arrivare a una certa data".
Avvertimento che ha trovato subito una sponda positiva nel Pdl. "Monti ha detto che per lui è importante fare un buon lavoro e non tirare a campare. Siamo d’accordo: o si fa una buona riforma o nessuna riforma", sottolinea Angelino Alfano alla conferenza nazionale del Pdl sul lavoro, aggiungendo che se il premier "non tiene duro" sulla riforma del mercato del lavoro, "meglio aspettare il 2013". E mentre nel Pd cresce il consenso attorno alla necessità di modificare il testo presentato dall’esecutivo sui licenziamenti economici, sostegno al provvedimento varato venerdì scorso da Palazzo Chigi arriva dall’Udc. "Sull’articolo 18 - afferma il leader Pierferdinando Casini - abbiamo una posizione nettissima; siamo d’accordo con il governo, con quanto ha deciso in sede collegiale al Consiglio dei ministri".
Ma al centro del viaggio del premier italiano non c’è solo la riforma del mercato del lavoro da presentare a potenziali investitori esteri. Nella notte, durante una sosta tecnica ad Astana in Kazakhstan, Monti ha avuto un colloquio con il premier kazako Karim Masimov con il quale ha discusso tempi e modi per un rientro da protagonista nel settore della produzione di greggio e gas del paese. "Come dire: scalo tecnico e importanza politica". Mario Monti usa l’ironia, non senza riferimenti interni, per descrivere la tappa ad Astana. E’ una "prima tappa significativa dal punto di vista economico e soprattutto energetico", spiega il premier. "La conversazione si è aperta in modo incoraggiante perché Masimov mi ha riferito di ciò che le banche consulenti gli hanno detto della situazione dell’Italia", aggiunge con un pizzico di orgoglio. Monti ha apprezzato gli sforzi delle autorità kazake per riformare il paese in senso democratico e, al riguardo, ha citato la presenza di due partiti di opposizione che partecipano alla vita politica del paese.
Monti partecipa oggi alla sessione inaugurale del vertice sulla sicurezza nucleare e in quella sede incontrerà alcuni capi di stato e di governo. Tra questi il premier indiano Singh con il quale affronterà la questione dell’italiano ancora nelle mani del gruppo maoista e la vicenda dei due sottufficiali del reggimento San Marco detenuti in una prigione del Kerala dopo un’azione antipirateria.
(26 marzo 2012)

REPUBBLICA.IT - LA DIREZIONE DEL PD
ROMA - "Abbiamo una grande responsabilita verso gli italiani, non possiamo venire meno a questa responsabilità: il Pd deve tenere insieme la connessione tra il sostegno convinto al governo che abbiamo voluto e il malumore, l’ansia di tanti cittadini spesso soli davanti alla crisi sociale che non ha dispiegato tutti i suoi effetti. I nostri elettori devono avere chiaro ciò che stiamo facendo, non solo ciò che faremo". Così il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, apre i lavori della direzione Pd. Un appuntamento importante che arriva nel pieno della spinosa questione della riforma del lavoro. 1 Alla fine, però, l’aria che si respira è quella di un partito unito. Tanto che relazione del segretario viene approvata all’unanimità. Scherza D’Alema: "Non vorrei si pensasse che stiamo scrivendo il libro Cuore". Soddisfatto Bersani: "L’unanimità del voto sulla relazione non deve lasciare intendere che la mia sia stata una relazione nebbiosa. Anzi. Più di altre volte ho cercato di mettere chiarezza su alcuni temi fondamentali del nostro impegno politico". Poi il segretario lancia un messaggio a Monti: "Non vedo rischi di crisi ma serve più dialogo. Non sopravvaluto le parole 2 del premier, gliel’ho sentito dire una ventina di volte, fa parte del ragionamento di una persona
chiamata a risolvere dei problemi senza essersi candidata, lui pone il tema di capire se ci sono le condizioni. Io gli rispondo: ci sono le condizioni".
Serve dialogo. Il governo, precisa Bersani, non rischia: "Non vedo una crisi di governo, anche perché abbiamo preso l’impegno di sostenerlo fino al 2013 e intendiamo mantenerlo. Il Paese è prontissimo e Monti lo ha già visto, ma per aiutare il Paese ed affrontare l’emergenza bisogna che ci sia un buon dialogo e non un distacco tra la sensibilità del Paese e l’azione del governo". Il Pd vuole portare in porto la riforma del lavoro, ma cambiandola "e correggendo le lacune che ci sono". Il riferimento resta "Il modello tedesco garantisce equilibrio tra diritti e coesione sociale". Ed il ministro Fornero che dice che il governo non cederà, Bersani replica: "Qui non è questione di cedere ma di ragionare. Servono le riforme con il consenso perchè questo è un elemento che può dare fiducia ai mercati italiani ed internazionali".
Lavoro. Per questo il Pd "fisserà un opportuno presidio sul lavoro, un tavolo con gruppi parlamentari e partito per seguire la riforma e tenere le relazioni con i soggetti sociali. Chiedo a tutti di stare a questo metodo, nelle prossime settimane non servono proposte estemporanee. No ad un partito con cento voci".
Frecciata al Cavaliere. Il segretario guarda anche al passato. E tira una stoccata a Berlusconi: "Siamo a un risveglio amaro dopo le favole rosa. Aumenti imu, irpef e altre tasse non vengono dal cielo ma sono conseguenza del disastro Berlusconi-Tremonti-Bossi". Nel corso del discorso Bersani ha ringraziato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Un riferimento a cui, però. non è seguito l’applauso della platea. Poi arriva l’appello "alle forze civiche e moderate alternative al modello populista e berlusconiano".
Le primarie. Sulle primarie, che tanti dispiaceri hanno dato al segretario, Bersani annuncia che la commissione statuto del Pd si metterà subito al lavoro "per trovare soluzioni correttive che le mettano in sicurezza". Il segretario, però, non nasconde qualche dubbio: "Non possiamo non tenere conto delle preoccupazioni di Dario Franceschini e dovremmo trovare dei meccanismi alternativi di designazione dei candidati. Quando si entrerà nel merito vedrete che sarà possibile. Restano aperti due temi: la nuova legge elettorale e le, eventuali, primarie per i parlamentari se alla fine restasse il Porcellum. Cosa che Franceschini dà quasi per scontata. "Bene le riforme istituzionali, ma attenzione al rischio o alla furbizia di chi dice cambiamo tutto e poi non si cambia niente, per noi va data priorità assoluta alla legge elettorale" sintetizza Bersani.
Gli altri interventi. Duro giudizio di Sandro Gozi sulla dirigenza del Pd. "Sembra Ballarò", ha scritto il deputato democratico parlando su Twitter della direzione nazionale. "Parlano Bersani, Letta, Bindi, Finocchiaro, D’Alema", ha elencato, "nulla: questi da soli non molleranno mai". Nessuno strappo col governo ma sul lavoro servono modifiche" sintetizza Anna Finocchiaro. Via libera da Areadem. Dario Franceschini e Piero Fassino sono già intervenuti in Direzione e , a quanto viene riferito, la relazione del segretario è stata "ampiamente condivisa". Anche Walter Veltroni apprezza l’intervento di Bersani: "Noi dobbiamo lavorare insieme, dobbiamo confrontarci ma sentirci di stare insieme. No all’ossificazione in correnti". Massimo D’Alema, invece, ironizza su chi "ha sperato di spaccare il Pd e metterlo contro la Cgil e che rischia di finire come Willy il cojote". Più sfumato il giudizio di Paolo Gentiloni: "Le richieste di correzione sull’art. 18 Non possono oscurare il nostro giudizio positivo sull’insieme della riforma Fornero".
"La discussione di oggi è la risposta migliore alla rappresentazione di un Pd diviso e in confusione. Da qui il Pd manda un messaggio chiaro, sul lavoro e il rapporto con il governo: il partito è unito e farà la sua parte. Questa unità non è una fotografia dal libro Cuore, ma espressione di un partito che fa la fatica di cercare una sintesi senza nascondere il suo pluralismo culturale" sintetizza Rosy Bindi. Per Marco Follini "c’è unità intorno al percorso politico, per il resto vediamo in parlamento".
(26 marzo 2012)

REPUBBLICA.IT COMMENTO E SONDAGGI DI DIAMANTI
IL PARTITO Democratico è attraversato da un disagio profondo. Difficile da dissimulare, ma anche da sopportare a lungo. Rischia di uscirne dissociato. Insieme a questo governo di "tregua nazionale".
E al sistema politico di questa Repubblica, post-berlusconiana. Montiana. Sono quattro le questioni - meglio sarebbe dire "dilemmi" - che lacerano il Pd. Gli obiettivi, le alleanze, le primarie e la leadership. In questa sede mi limito a tematizzarle in modo schematico.
1) Anzitutto, gli obiettivi, l’orizzonte strategico. Il Pd oggi è diviso. Non solo al proprio interno, ma "intimamente". Nel senso che leader, militanti ed elettori con-dividono i medesimi orientamenti. Contrastanti. Sospesi e stressati fra laburismo e liberismo. Basti pensare, in primo luogo e soprattutto, al controcanto (contraddizione?) fra l’atteggiamento verso il governo e le sue politiche.
Gli elettori del Pd valutano le scelte del governo Monti, nell’ambito economico e del lavoro, in modo largamente negativo. Le considerano, eufemisticamente, poco eque. Sul provvedimento relativo all’art. 18 (come emerge dai dati del sondaggio di Demos) il dissenso degli elettori Pd è netto (67% contrari). Superiore a quello della popolazione (59 % circa).
Essi, tuttavia, sono al contempo, i più convinti sostenitori del governo (80%: quasi 20 punti più della media
generale). Stimano Monti (84%: + 17 punti della media generale) ma anche i suoi ministri. Fornero (60%: 9 punti in più della media generale) e Passera (65%: addirittura 15 punti sopra la media generale). Insomma, la base del Pd e animata da sentimenti "lab" ma si affida a una squadra di "lib" convinti.
Peraltro, il 44% degli elettori Pd esprime "molta fiducia" nella Cgil, circa 20 punti in più rispetto alla media della popolazione. Mentre il credito verso Cisl e Uil scende al 27% (6 punti sopra la media) e verso le associazioni degli imprenditori scivola al 19% (2 punti meno della media). Difficile che uno sguardo così strabico non provochi malessere.
2) Un problema accentuato dalla questione delle alleanze. Pur di favorire la nomina di Monti al governo e, insieme, le dimissioni di Berlusconi, il Pd ha accettato di allearsi con l’Udc e, soprattutto, con il Pdl. Una "grossa coalizione". All’italiana - cioè: non ammessa e non dichiarata. In contrasto con l’intesa di centrosinistra, coltivata negli ultimi anni insieme a Idv e Sel. E sperimentata con successo, seppure con qualche sofferenza, alle amministrative del 2010.
Tuttavia, alle prossime elezioni (che dovrebbero svolgersi nel 2013, secondo regola) non sarà facile per il Pd (e per il suo gruppo dirigente) scegliere le alleanze. Certamente non potrà riproporre la "grossa coalizione" con il Pdl e l’Udc. Oltre metà degli elettori non lo seguirebbe. Preferirebbe, piuttosto, votare per la Sinistra. Oppure astenersi.
Ma neppure un’intesa "esclusiva" con l’Udc, quindi un patto di Centro-Sinistra, garantirebbe l’unità interna al Pd. La sua base elettorale si spezzerebbe. Un terzo opterebbe, egualmente, per la Sinistra. Con il risultato che prevarrebbe il Centrodestra (Pdl-Lega).
Resta, quindi, l’alleanza con la Sinistra. Con l’Idv e Sel. La più condivisa dagli elettori. Ma non priva di rischi. Perché, inoltre, accentuerebbe il peso degli orientamenti laburisti e di sinistra. Alimentando il disagio della componente "popolare" e "moderata" nel Pd.
3) C’è poi la questione delle Primarie. Non un semplice metodo di selezione del candidato alle elezioni (a diverso livello: nazionale e locale), ma un vero "mito fondativo", secondo la definizione di Arturo Parisi. Utilizzate anche per eleggere il leader del partito. Una procedura di mobilitazione degli elettori e dei simpatizzanti, progettata al tempo dell’Ulivo, soggetto politico "inclusivo" che mirava all’aggregazione delle forze politiche di centro-sinistra, sotto lo stesso tetto. Come l’Unione nel 2006.
Ma nel Pd, "partito" maggioritario ed "esclusivo", le Primarie, dopo il 2008, si sono trasformate in un metodo per scegliere il candidato di "un altro" partito. Nell’ultimo anno, è già avvenuto a Milano, Cagliari, Genova. Da ultimo a Palermo. E prima in Puglia. Naturalmente, il problema non è tanto le Primarie, quanto il Pd. Le cui divisioni si trasferiscono nelle Primarie. Occasione per regolare i conti interni, fra leader e componenti. Il che favorisce, ovviamente, i candidati di altre forze politiche.
TuttaviA, gli elettori di centrosinistra e del Pd si sono, ormai, "abituati" alle Primarie. Principale, se non unico, canale di partecipazione alle scelte del partito. Per cui, non a caso, i due terzi degli elettori del Pd si dicono disponibili a votare alle Primarie. Peraltro, il 35% le vorrebbe solo di partito. Una componente superiore (di circa 10 punti) a quella che si osserva nella base di Sel e Idv.
Il problema è che il Pd deve decidere cosa vuol diventare da grande. Un "cartello nazionale", in grado di aggregare molte forze diverse, come l’Ulivo. Oppure un Partito che mira ad attrarre gli elettori dell’area di centrosinistra, come il Pd nel 2008. Un’alternativa che condiziona l’ambito delle Primarie. A livello di partito o di coalizione.
4) Questi dilemmi si riflettono nella questione della leadership. Divenuta fondamentale al tempo della "democrazia del pubblico" (così definita da Bernard Manin), personalizzata e maggioritaria. Oggi, non esistono partiti senza leader che li impersonino. Semmai è vero il contrario. Presidenti senza partiti e, perfino, contro i partiti. È il lascito del Berlusconismo. E della sua crisi, colmata dal ruolo assunto da Napolitano e da Monti.
A questo proposito, è interessante notare come il leader che gode dei maggiori consensi, in vista delle prossime elezioni, fra gli elettori di centrosinistra, sia l’attuale segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. Il quale prevale nettamente sugli altri possibili candidati. Degli altri partiti e dello stesso Pd. Bersani. Nonostante sia considerato un leader debole. Forse perché è, comunque, ritenuto competente. In grado di guidare il Governo meglio del partito. O forse perché proprio la sua "debolezza" lo rende adatto a interpretare i dilemmi del Pd.
Più che un soggetto coerente e strutturato: un aggregato politico, che raccoglie molte diverse storie, identità e culture. Senza riassumerle. Il che non gli ha impedito di divenire primo partito in Italia - per debolezza altrui. Ma gli ha permesso, anzi, di aggregare, con successo, altre forze politiche, in diverse occasioni recenti. Magari senza imporsi alla guida. Senza imporre la propria guida. Agli altri.
Un "partito impersonale", in mezzo a molti "partiti personali" e a due Presidenti senza partito. Può essere "impersonato", anzitutto e soprattutto, da una persona anti-carismatica. Un leader di buon senso. Un Bersani, insomma. (Detto senza ironia, né, tanto meno, con sufficienza.)
Ciò, semmai, solleva un altro dilemma. Riguarda il rinnovamento della classe dirigente. Tanto evocato quanto, fin qui, eluso e deluso. Impensabile e im-pensato dagli stessi elettori del Centrosinistra.
Il dubbio è se il Pd possa avvantaggiarsi della debolezza altrui - e propria - evitando di fare i conti con i suoi dilemmi, sin qui rinviati e irrisolti. Fino a quando gli sarà possibile? Non molto a lungo, penso.
(26 marzo 2012)

PEZZO DI MANNHEIMER USCITO SUL CORRIERE DI DOMENICA 25/3/2012
Il progetto di riforma del mercato del lavoro varato dal governo potrebbe, nelle prossime settimane, causare significative fratture nel quadro politico.
Infatti, il provvedimento ha già provocato un calo sensibile nel tasso di approvazione espresso dai cittadini nei confronti dell’azione dell’esecutivo. Dal 50-60% di consenso rilevato sino agli inizi di marzo, la percentuale di giudizi positivi verso il governo è bruscamente scesa al 44%. Ciò significa che, in questo momento, la maggioranza, seppur lieve (54%), della popolazione esprime una insoddisfazione verso l’operato dell’esecutivo. Potrebbe trattarsi di una reazione d’impulso — forse momentanea e destinata a rientrare — agli ultimi provvedimenti (che, come vedremo tra breve, non incontrano l’approvazione della popolazione), ma potrebbe rappresentare anche il segnale d’inizio di un trend negativo nel consenso per il governo. Il calo di fiducia ha riguardato prevalentemente gli operai e i lavoratori dipendenti di livello medio-basso, ma anche studenti, pensionati e casalinghe. Viceversa imprenditori, liberi professionisti, ma anche impiegati e quadri, specie se possessori di un titolo di studio elevato, hanno mantenuto immutata la loro fiducia per il governo. Dal punto di vista dell’orientamento politico, si è verificato un vero e proprio crollo di consensi (-32%) nell’elettorato della Lega Nord che, fino a ieri, esprimeva, malgrado tutto, nella sua maggioranza, una tiepida approvazione verso l’azione dell’esecutivo. Ancora, come era forse prevedibile, un notevole decremento di approvazione (-17%) si manifesta tra i votanti per il Pd (la cui maggioranza continua però a sostenere il governo) e, seppure in misura minore (-10%), tra quelli del Pdl (ove la gran parte oggi è ostile all’esecutivo). Persino tra l’elettorato dell’Udc — che, tradizionalmente, ha sin qui appoggiato più decisamente il governo — si registra una diminuzione di fiducia (-9%).
Come si è detto, questo trend è legato alla insoddisfazione della maggioranza degli italiani verso le decisioni assunte riguardo al mercato del lavoro e, in particolare, riguardo alla riforma dell’articolo 18. Più del 40% della popolazione dichiara di avere seguito bene la vicenda, mentre un altro 46% l’ha seguita con attenzione minore. Solo il 14% si dichiara all’oscuro della questione. A fronte di questo diffuso interesse, il giudizio sulle decisioni dell’esecutivo è negativo per più di due italiani su tre (67%). Le criticità maggiori si rilevano al Sud e tra gli operai, mentre tra imprenditori e liberi professionisti prevale l’accordo sul progetto di riforma. La valutazione negativa risulta maggioritaria nell’elettorato di tutte le forze politiche con una ovvia accentuazione nei partiti di opposizione: ma essa si riscontra anche tra i votanti per il Pdl (58% di insoddisfatti) e il Pd (67% di giudizi negativi). Naturalmente, i motivi di dissenso sono diversi, talvolta opposti. Gran parte dei votanti per il Pdl rimproverano al governo una insufficiente tenacia, mentre l’elettorato del Pd conferma la già nota ostilità alla revisione dell’articolo 18. Oltre al contenuto, viene comunque criticato anche il metodo seguito dal governo, ritenuto, ancora una volta da quasi due italiani su tre (63%) «troppo decisionista».
Questa situazione comporta problemi rilevanti per entrambi i partiti maggiori, che debbono necessariamente risolvere la contraddizione tra la necessità di proseguire con l’appoggio all’esecutivo e la prevalenza, nel proprio elettorato, di un orientamento contrario alle ultime decisioni di Monti e della sua compagine. I dilemmi probabilmente maggiori si manifestano nel Pd, ove il segretario Bersani vede da un verso accolte dall’esecutivo molte proposte di merito avanzate in passato dallo stesso Pd e dall’altro non può non tener conto di una base per più di due terzi ostile al provvedimento sul mercato del lavoro. È probabilmente anche questo stato di cose ad avere suggerito al segretario del Pd la recente accentuazione delle posizioni critiche, espresse ad esempio nell’ultima sua partecipazione a Porta a Porta, verso le decisioni del governo.
Ma, soprattutto, tutto ciò indebolisce l’immagine dell’esecutivo nell’opinione pubblica che, di colpo, si trasforma da positiva in negativa. È vero che la compagine guidata da Monti, per sua natura, prescinde dall’appoggio della maggioranza della popolazione, ma è vero anche che quest’ultimo rappresenta in ogni caso un elemento di stabilità di grande rilievo. La cui assenza può avere conseguenze oggi imprevedibili. Ma, naturalmente, è possibile che, acquietatasi, anche grazie ai tempi della discussione parlamentare, la polemica sull’articolo 18, il governo riprenda il consenso oggi attenuato.