Diego Gabutti, ItaliaOggi 24/03/2012, 24 marzo 2012
É Bersani il primo ad essere licenziato senza giusta causa – Primo licenziato, ma con giusta causa, e dunque senza la copertura di quel che resta dell’Art
É Bersani il primo ad essere licenziato senza giusta causa – Primo licenziato, ma con giusta causa, e dunque senza la copertura di quel che resta dell’Art. 18? Lui, naturalmente: il segretario Pd. A consegnargli la lettera di licenziamento, prima ancora che la riforma fosse approvata, è stato l’editore di Repubblica, Carlo De Benedetti, seguito a ruota dai suoi editorialisti. Al povero Bersani, mentre Repubblica lo prendeva a ceffoni, non è venuta in mente neppure una mezza metafora, e anche il suo tradizionale «ehi, ragazzi, non scherziamo» è suonato molto più fievole del solito. * * * Bisogna decidersi. O «la Fiat non può fare quello che vuole», come ha detto (forse tra le lacrime, forse no) il ministro del lavoro e del welfare Elsa Fornero, oppure «Fiat ha il diritto-dovere di scegliere le localizzazioni più convenienti... e niente scrutini investigativi sulla sua politica industriale», come ha dichiarato il Caro Leader a ciglio indubitabilmente asciutto. * * * «A che cosa servono le storie che non sono neanche vere? Harun non riusciva a togliersi dalla mente questa terribile domanda» (Salman Rushdie, Harun e il Mar delle storie, Mondadori 1991). * * * Dopo la riforma delle pensioni, la riforma del lavoro: l’una e l’altra approvate, fatti salvi gl’inevitabili mugugni, da tutte le correnti (quale più, quale meno) del partito democratico, che magari devono ancora farsi piacere la riforma dell’Art. 18, ma se la faranno piacere presto. Morale: l’identità democratica barcolla vistosamente. E se il Pd diventasse la quarta gamba del Terzo polo? Appena un po’ meno moribondo (ma è una bella gara) del partito futurista? * * * Dopo la «foto di Vasto», dove posava in compagnia dell’Incorruttibile e di Nichi Vendola, e dopo il santino «di Palazzo Chigi», dove Pierluigi Bersani ha detto cheese posando insieme a Natalino Alfano, Pierferdinando Casini e Nonno Mario, prepariamoci dunque a una terza foto di gruppo in cui il segretario democratico apparirà insieme, cheek to cheek, con Francesco Rutelli e coso... sì, come si chiama, la terza carica dello stato. * * * «Il secolo XVII fu il secolo delle matematiche, il XVIII delle scienze fisiche e il XIX della biologia. Il nostro, il ventesimo, è il secolo della paura. Mi si obietterà che questa non una scienza. Mi anzitutto anche la scienza c’entra in qualche modo, com’è vero che i suoi ultimi progressi teorici l’hanno condotta a (_) minacciare la terra intera di distruzione. Inoltre, se la paura in se stessa non può essere considerata alla stregua d’una scienza, non c’è dubbio che essa sia tuttavia una tecnica. (_) Il lungo dialogo degli uomini si è interrotto. (_) “Non parlate dell’epurazione degli artisti in Urss perché ne trarrebbe vantaggio la reazione”. “Dovete tacere sull’appoggio dato dagli angloamericani al regime di Franco in Spagna perché il comunismo se ne avvantaggerebbe». Come dicevo, la paura è una tecnica» (Albert Camus, Il secolo della paura, novembre 1948, Combat, in A. Camus, Ribellione e morte, Bompiani 1961). * * * «Misure ineludibili» per Giorgio Napolitano, che le benedice, «riforma da contrastare» con ogni mezzo per Susanna Camusso, che ne denuncia lo spirito antioperaio: tornano le guerre civili a sinistra. Fingendosi amici del popolo e tifosi delle buone cause, ne approfitteranno le destre estreme: gli squadristi del giustizialismo horror, le SA dei blog antipolitici. * * * Ma tant’è: «non è più tempo di concertazione», come ha detto il Caro Leader, dunque la sinistra deve imparare le nuove regole del gioco, e rassegnarvisi. Deve cioè rinnovare l’apparato strategico dopo quarant’anni di sindacalismo modellato sulla «lotta dura senza paura» dei seventies e vent’anni d’antiberlusconismo in politica. Se vuole salvarsi, deve sperare che a vincere la guerra civile a sinistra non siano i radicali, né tantomeno i fascisti dei blog o i saltatori nel cerchio di fuoco dei fan club delle procure, ma i moderati. Ma è una di quelle battaglie in cui vincere non basta, attenzione: bisogna anche «sterminare l’avversario», come ululavano i bolscevichi sotto le mura di Kronstadt, la fortezza che nel 1921 osò passare all’anarchia. Epurandosi, diceva Marx, un partito si rafforza. * * * «Chi ha sentimento religioso deve chiedersi se il mondo sia davvero opera esclusiva d’un Dio di bontà o non piuttosto un lavoro fatto in comune con non dico chi» (Thomas Mann, Doctor Faustus, Mondadori 1980). * * * Sabina Guzzanti conduce la sua trasmissione esattamente come il Molleggiato conduceva le sue. Lunghi (e imbarazzanti) monologhi politici, una grande opinione di sé, le banalità da corsivo di Marco Travaglio spacciate per altissima filosofia, le battutine politically correct che non fanno ridere e, dietro ogni sorrisetto compiaciuto, un incalcolabile ignoramus e uno sterminato paesaggio di farloccaggini culturali. Una sola differenza, ma grande come la luna: lo share. Tutti guardano il Re degl’ignoranti, nessuno la regina.