Giorgio Dell’Orefice, Il Sole 24 Ore 25/3/2012, 25 marzo 2012
LO CHAMPAGNE EMIGRA IN GRAN BRETAGNA
Cambia il vino con il clima che cambia. Lo champagne sta "emigrando" in Gran Bretagna, i vigneti ora spuntano anche in montagna ad alta quota e in Italia, produrre vino, costerà di più.
I record nelle esportazioni e i numerosi riconoscimenti internazionali non possono far dimenticare che il vino, vissuto sempre più come un prodotto di moda, non ha mai smesso di essere un prodotto agricolo e, come tutti i prodotti agricoli, è legato a doppio filo alle condizioni climatiche. Il surriscaldamento , in atto già da alcuni anni, sta infatti pesantemente influenzando la produzione mondiale di vino.
Se ne parlerà domani al convegno organizzato da Coldiretti, Città del vino e Greenpeace dal titolo «Clima e vino: rischi e prospettive di una relazione particolare» nell’ambito della 46° edizione di Vinitaly che si apre oggi a Verona alla presenza del ministro per le Politiche agricole, Mario Catania. Negli ultimi trent’anni – secondo uno studio realizzato dalla Coldiretti – le temperature sono aumentate in media di 1,5 gradi, e questo ha provocato un innalzamento della gradazione alcolica dei vini che è in media di un grado. Infatti, diversi disciplinari di produzione dei vini Doc, dal 1980 ad oggi, si sono adeguati al nuovo scenario modificando i limiti sul contenuto di alcol dei prodotti.
L’innalzamento delle temperature favorendo la produzione di vini più alcolici, meno acidi e più dolci rispetto al passato può avere, inoltre, notevoli conseguenze di mercato. «Il trend del consumo mondiale – spiega il responsabile vitivinicolo di Coldiretti, Domenico Bosco – va invece nel senso di vini più leggeri, meno alcolici. E quindi per evitare un “cortocircuito” fra l’impatto del clima sulla produzione e la domanda del mercato, i viticoltori sono costretti a adottare una serie di accorgimenti».
Misure che prevedono ricorso massiccio all’irrigazione e alle potature nel vigneto, oppure la vendemmia notturna (con temperature più fresche) soprattutto nel Mezzogiorno o ancora pratiche come il raffreddamento delle uve in fase di fermentazione per preservarne la qualità. «Tutte operazioni che tra l’altro sono difficilmente meccanizzabili – ha detto il presidente della Coldiretti, Sergio Marini – e che quindi generano un incremento dei costi di produzione che stimiamo attorno al 5 per cento».
Ma gli effetti più significativi dell’innalzamento delle temperature sul vino sono quelli sulla distribuzione geografica della produzione. «Negli ultimi anni – ha aggiunto il responsabile vitivinicolo di Coldiretti – sono stati piantati vigneti nei comuni di Morgex e La Salle in provincia di Aosta a circa 1.200 metri di altitudine. Una quota dove finora la coltivazione della vite era impedita dalle basse temperature medie e dalle frequenti gelate primaverili».
In genere, in Europa, l’innalzamento delle temperature sta provocando uno spostamento della produzione verso Nord. «Già anni fa – conclude Bosco – fece scalpore l’impianto di ettari a chardonnay in Inghilterra per produrre champagne. Ma il vero problema è che l’innalzamento delle temperature sta favorendo la produzione di vino nei paesi dell’Est europeo come la Bulgaria, l’Ungheria la Polonia meridionale. Paesi che vantano costi della manodopera irrisori e che quindi possono diventare un concorrente temibile per i vini italiani ed europei. Una ragione in più per ribadire un fermo no alla liberalizzazione dei vigneti allo studio di Bruxelles».