Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 24/3/2012, 24 marzo 2012
CHI SALE, CHI ASPETTA
Elsa Fornero sta diventando il Tre-monti di Mario Monti. Necessaria, fonte di guai e tensioni, difficile da contenere, autonoma e con una visibilità pari a quella del premier, uomo forte del governo (che sia donna è un dettaglio marginale, noterebbe lei) che sta oscurando gli altri potenziali numeri due, da Corrado Passera a Vittorio Grilli.
Quelle lacrime iniziali erano un equivoco, “mi commuovo solo una volta al mese”, aveva subito precisato. Era il 4 dicembre, Elsa Fornero non aveva retto alla tensione. Il primo equivoco è stato che la Fornero fosse fragile, debole, in quanto donna. Proprio lei che dichiara da anni cose tipo “Non frequento più convegni dove tutti i relatori sono maschi, mi rifiuto di credere che non ci sia almeno una donna competente quanto loro”. Celebre la feroce battuta “Chissà, forse se studio molto da grande chiameranno economista anche me”, rivolta a quelli che la consideravano solo la moglie di Mario Deaglio, economista, editorialista della Stampa. Il secondo equivoco ha resistito più a lungo, quello della professoressa originaria del canavese precipitata a Roma, spiazzata dai ritmi e dai riti della politica. Poi politici e giornali hanno iniziato a eccitarsi, Panorama le ha regalato una copertina “Scandalosa Elsa”, questa settimana c’è L’Espresso che la battezza “Elsa la tosta”, un sondaggio de Linkiesta.it che chiede se la professoressa sia più Margaret Thatcher o Hillary Clinton.
Si è capito presto che la Fornero non appartiene alla categoria del loden, non solo perché confessa una debolezza per gli abiti firmati e vivaci. Faceva politica già durante Mani Pulite, consigliere comunale dell’Alleanza per Torino di Valentino Castellani, forte di sponsor importanti nel mondo bancario come Enrico Salza. E nel 2010 è arrivata alla vicepresidenza della Compagnia di San Paolo, una delle fondazioni che controllano banca Intesa San Paolo, allora guidata da Passera. Già allora le attribuivano il suo limite di avere un approccio troppo teorico, di non riuscire a emanciparsi dalla matrice accademica, priva di quel talento diplomatico e politico che caratterizza professori come Mario Monti o Romano Prodi. Un dettaglio utile, rivelato da L’Espresso: anche in Parlamento preferisce parlare in piedi, quando le hanno fatto notare che non è la prassi ha risposto: “Mi spiace, sono abituata così”, come all’università. Come approccio la Fornero più che a Monti è affine a Francesco Giavazzi, il fustigatore bocconiano che dalle colonne del Corriere della Sera spiega a Monti come fare il premier, con la forza e una punta di sicumera dell’economista che ha la teoria dalla sua parte.
LA FORNERO aveva idee chiare e risposte pronte sulla riforma delle pensioni, che studiava e invocava da anni. Chiusa quella, ha iniziato a muoversi un po’ a tentoni su campi meno esplorati, sempre però ostentando una sicurezza professorale (“Guardate che bei grafici ci sono”, diceva giovedì mostrando in conferenza stampa il documento sul lavoro che non aveva voluto consegnare ai sindacati). Prima evoca la riforma dell’articolo 18 in un’intervista al Corriere, poi dice che i giornalisti “sono bravissimi a tendere trappole”, subito precisa che non parlava di quelli del Corriere e “non ho nulla in mente sull’articolo 18”. Della gaffe sulla “paccata” di miliardi tutto è noto tranne la cifra a cui ammonterebbe, visto che finora di soldi non se ne sono visti. Mancano ancora quelli per gli “esodati” nel limbo tra lavoro e pensione, sempre promessi e ancora virtuali. La Fiat “può fare ciò che vuole”, ma anche no. Monti ha accentrato, con un certo successo, tutta la comunicazione del governo su di sé. Ma la Fornero non riesce a controllarla come gli altri ministri. E il solito Giavazzi ha suggerito addirittura che se la riforma del lavoro non passava, una persona seria come la Fornero si sarebbe dovuta dimettere. Mettendo nei guai
Monti e segnando la fine del suo governo. Tra Berlusconi e Tremonti è
noto chi si è dimesso per primo.
Chissà come andrà questa volta.