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 2012  marzo 24 Sabato calendario

Quando per Emiliano i pesci erano tangenti - Due pesci e due misure. Il sindaco di Bari - che ora chiede scusa per aver accettato «cozze e spigoloni» dagli imprenditori edi­li Degennaro, ma spiega di non vo­ler dimettersi «per un po’ di pe­sce » - da pm ha trascinato nella re­te del maxiprocesso «Dolmen» un poliziotto, accusato ingiustamen­te di corruzione per aver ricevuto una «tangente ittica», ovviamen­te fresca e di qualità

Quando per Emiliano i pesci erano tangenti - Due pesci e due misure. Il sindaco di Bari - che ora chiede scusa per aver accettato «cozze e spigoloni» dagli imprenditori edi­li Degennaro, ma spiega di non vo­ler dimettersi «per un po’ di pe­sce » - da pm ha trascinato nella re­te del maxiprocesso «Dolmen» un poliziotto, accusato ingiustamen­te di corruzione per aver ricevuto una «tangente ittica», ovviamen­te fresca e di qualità. Una storia surreale «tutta a base di pesce», anche perché tra i prota­gonisti c’è l’ex superboss pentito Salvatore Annacondia, detto «Ma­nomozza »per aver perso l’uso del­­l’arto pescando a strascico. A prendere di petto il sindaco per aver valutato diversamente episo­di simili è Luigi de Gregorio, figlio di Vincenzo, ex sovrintendente della polizia a Trani all’inizio de­gli anni ’90. Luigi, dopo aver letto della vasca di cozze pelose, spigo­loni, seppioline e astici che il sin­daco di Bari ebbe in regalo dal gruppo di costruttori vicini alla sua giunta, ha preso carta e penna e ha scritto una lettera alla Gaz­ze­tta del Mezzo­giorno . Che l’ha pubblicata col titolo «Mio padre poliziot­to processato da Emiliano per una cesta di pesce mai ri­cevuta ». De Gregorio racconta l’odis­sea giudiziaria del padre, poli­ziotto oggi in pensione, tira­to in ballo dallo stesso Anna­condia e inda­gato dal «sinda­co sceriffo » quando ancora indos­sava la toga come magistrato del­l’Antimafia. E nella lettera attacca Emiliano. «Non credo siano suffi­cienti le scuse, sia pure pubbli­che, per aver accettato e consuma­to questo pacco. Un primo cittadi­no, un uomo di giustizia, integerri­mo al dire comune, si autocondan­na moralmente e fa pubblico mea culpa, pur non essendo accusato di nessun reato. Ma un errore l’ha commesso, perché lo stesso sinda­co è ben cosciente che tali omaggi sono quanto mai pericolosi, e bi­sogna fare di più per convincere gli elettori baresi dell’integrità mo­rale del primo cittadino ». Per il pa­dre di Luigi De Gregorio, infatti, quel regalo ittico, mai ricevuto e dunque mai consumato (secon­do la giustizia italiana che prima ha considerato prescritto il reato, e poi ha assolto l’uomo «per non aver commesso il fatto»),è stato fo­riero di anni di sofferenza. Nessu­na attenuante per l’ex sovrinten­dente di Ps, ritenuto compromes­so con il clan Annacondia anche per quei doni.Dopo l’avviso di ga­ranzia, «mio padre - continua la lettera del figlio- ha dovuto subire un processo, il “Dolmen”, lungo 12 anni, che ha visto assumere il ruolo di pm almeno per i primi e più intensi anni, il dottor Michele Emiliano». E prima dell’assoluzione,ricor­da ancora il figlio del poliziotto, «ci sono piovute addosso le criti­che più sgradevoli, sguardi di sde­gno da parte di chi ci conosceva, commenti biechi e condanne spregevoli da parte di chi, in que­ste occasioni, trova nelle disgra­zie altrui gli unici spazi di autosti­ma e la vaga sensazione di vivere sotto un cielo più blu di quello di altri». Insomma, «anche mio pa­dre come lei, signor sindaco, ha cercato di preservare il buon no­me e l’onorabilità della famiglia, soprattutto per proteggere quella dei propri figli, esattamente come lei ha dichiarato in un’intervista. Ma intanto nessuno ci ha ancora risarcito i rilevanti danni subiti per quattro spigole e cinquanta cozze pelose - a differenza sua ­mai ricevute e consumate. Ma che ci hanno rovinato la vita». Contattato dal Giornale a Trani, dove oggi si gode la meritata pen­sione, l’anziano poliziotto è di po­che parole: «Sono stato accusato di corruzione per delle affermazio­ni false di un collaboratore di giu­stizia a cui gli inquirenti di allora hanno creduto ciecamente. La pa­rola di un pentito che parlava di un regalo periodico che io avrei ri­cevuto, ossia appunto una cesta di pesce a settimana, evidente­mente valeva più di quella di un poliziotto che da anni era in prima linea a combattere il crimine. Emi­liano da pubblico ministero ha preferito credere a quello (il penti­to Annacondia, ndr ) che a me, che pure per anni ho servito onesta­mente questo Stato. Evidente­mente davo fastidio, e sono stato punito con accuse infamanti che solo dopo anni e anni di vicissitu­dini giudiziarie, si sono risolte co­me era naturale che si risolvesse­ro: con il definitivo riconoscimen­t­o della mia totale estraneità ai fat­ti contestati». Niente pesce per il poliziotto, dunque, mentre Annacondia lo amava al punto di averne guada­gnato, come detto, il nome di bat­taglia, quel «manomozza» che fa­ceva tremare il Nord Barese. Lo amava così tanto da parlarne an­c­he nelle sue audizioni con l’Anti­mafia di Violante. Al quale raccon­ta per esempio di una cena dell’ 86 con la Juventus in trasferta in Pu­glia, organizzata da un noto avvo­cato barese. «Ero il suo consiglie­r­e nel fargli mangiare il pesce per­ché lui si fidava solo del pesce che io gli portavo. Lo dovevo pulire, gli consigliavo: questo lo puoi man­giare in questo modo, questo lo puoi mangiare in un altro modo», racconta il pentito di mafia. Ben al­tra storia quella di Emiliano. Una vita per la legalità, salvo ritrovarsi «pentito» di pesce.