Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  marzo 25 Domenica calendario

Così riemergono alla memoria gli italiani del Titanic - Gli italiani del Titanic. Erano 37 e sono stati ignorati dalle cronache e dalla Storia

Così riemergono alla memoria gli italiani del Titanic - Gli italiani del Titanic. Erano 37 e sono stati ignorati dalle cronache e dalla Storia. Sono affondati - salvo due sopravvissuti - nell’Oceano e nella memoria. Dimenticati. Eppure, erano uomini e donne con una loro vita, sogni e speranze. Sette erano passeggeri, due di seconda classe e i restanti di terza. Gli altri trenta erano lavoratori, ingaggiati da Luigi Gatti, di Montaldo Pavese (Pavia), il gestore del Ristorante A la carte, la sala da pranzo più bella della nave, in prima classe (sul ponte B), dove sedevano ospiti come John Jacob Astor (il più ricco a bordo), Benjamin Guggenheim (il magnate del rame), Isidor Straus (il fondatore dei grandi magazzini Macy’s di New York). Come non cominciare, per ricordarli, proprio dal patron Gatti? Era un italiano che ce l’aveva fatta. Emigrato a Londra, vi gestiva tre ristoranti e aveva ottenuto dalla compagnia di navigazione White Star Line dapprima la gestione del ristorante dell’Olympic e quindi quella della cucina più glam del Titanic. Aveva alle sue dipendenze dirette una cinquantina di addetti, che scelse personalmente e che provvide a retribuire. Gatti aveva una cabinadisecondaclassesulponte D,mentreisuoidipendentierano tutti alloggiati sul ponte E, negli «scantinati» del transatlantico. Camerieri, macellai, addetti ai bicchieri, sommelier. Piemontesi, liguri, lombardi. Come il cameriere Battista Antonio Allaria, 22 anni, di Molini di Triora (Imperia), che aveva lasciato il paese a 17 anni per la Francia e poi per la Gran Bretagna. Sepolto ad Halifax, per 86anniisuoifamiliarilohanno creduto riposare nell’Oceano. O ancora, come il suo collega Pietro Bochet, 43 anni, di Saint-Pierre (Aosta), che sposò a La Thuille Maria Eugenia Dorotea Martinet e che durante il suo soggiorno londinese fu l’animatore della colonia di emigrati valdostani. Oppure, Emilio Poggi, di Calice Ligure, (Savona), che aveva 28 anni, sapeva tre lingue e che lasciò il paese con l’ideafissadilavorare sul Titanic (i suoi familiari ricevettero il cavatappi che aveva in dotazione quale cameriere)... Sono tutti morti. Non hanno avuto fortuna, ma del resto partivano anche svantaggiati: non erano passeggeri, e dunque non potevano imbarcarsi prima di questi ultimi sulle scialuppe; non facevano parte dell’equipaggio. Lo stesso Gatti è perito nelle acque gelide dell’Atlantico: è sepolto nel Fairview Cemetery di Halifax, in Nuova Scotia, Canada. Tra i sette passeggeri c’erano Sebastiano Del Carlo, 29 anni, di Capannori, (Lucca), emigrato in America a 18, il quale era tornato nella piana lucchese per sposare Argene Genovesi. Viaggiavano insieme in seconda classe ed erano diretti in California. «Tu sali sulla scialuppa, io torno più tardi» disse Sebastiano alla moglie, aiutandola a salire sulla scialuppa numero 11. Lui non ce la fece, lei sì, soccorsa dalla Charpatia. La donna era incinta di due mesi e darà alla luce una bambina che chiamerà Maria Salvata (Argene è morta nel 1970,lafiglianel2008,a96anni). Viaggiava invece in terza classe Alfonso Meo Martino, 48 anni, originario di Potenza, liutaio. Abitava nel Dorset, Inghilterra, con moglie e figli ed era diretto a New York per consegnare un violino. In terza c’era anche Giuseppe Peduzzi di Schignano (Como), 25 anni emigrato a 12 a Londra: si sarebbe dovuto imbarcare sull’Oceanic, un’altra nave della White Star, ma a causa dello sciopero del carbone che imperversava in Inghilterra gli venne assegnato un posto sul Titanic. Irresistibile, poi, la storia di Emilio Ilario Giuseppe Portaluppi da Arcisate (Varese). Scalpellino/scultore di opere funerarie, emigrò negli Usa, prima nel Vermont e poi nel New Hampshire. Qui sposò una connazionale, da cui ebbe una figlia e da cui poi si separò. Madre e figlia tornarono in Italia, lui le andò a trovare nel 1911, quindi decise di tornare in America. Col Titanic, biglietto di seconda. Lo salvò il Charpatia. Ha vissuto sino al 1974, a lungo in pensione ad Alassio, dove ogni anno, il 15 aprile, festeggiava al ristorante l’anniversario del naufragio. Ha cambiato mille versioni sul «miracolo»: la più rocambolesca lo vede gettarsi da 15 metri in mare, restare per ore aggrappato a un blocco di ghiaccio e quindi salire sulla scialuppa grazie all’intercessione di Lady Astor, con la quale avrebbe avuto pure del «tenero», impedendo che un ufficiale gli sparasse.