Lauretta Colonnelli, la Lettura (Corriere della Sera) 25/03/2012, 25 marzo 2012
UN’AVANGUARDIA MOLTO ITALIANA
«In ogni giovane la polvere pirica di Marinetti», auspicava Vladimir Majakovskij. E l’influenza del futurismo italiano tra gli avanguardisti russi sarà notevole, come si capisce visitando in anteprima la mostra che si inaugura il 4 aprile al Museo dell’Ara Pacis, curata da Victoria Zubravskaya e Federica Pirani, con opere poco conosciute, che arrivano in gran parte da musei regionali della Russia. La particolarità di questa rassegna è proprio nell’analisi delle varie correnti che attraversano i lavori degli artisti negli anni a ridosso della Rivoluzione d’Ottobre. Con uno sguardo particolare al futurismo marinettiano. Alle opere già visitate in una precedente tappa palermitana si aggiungono qui cinque capolavori di Kandinskij, tre di Malevic, uno di Rozanova, Lo spazzino e gli uccelli di Chagall, presentato per la prima volta in Italia. E quindici disegni di Pablo Echaurren, che accolgono i visitatori all’ingresso e illustrano il contributo delle avanguardie non solo nella pittura e nella scultura, ma anche nella letteratura, nel teatro, nel cinema, nella musica. «Mi sono perfettamente mimetizzato — racconta Echaurren — nello stile degli artisti di quel periodo, usando rosso e nero su fondo bianco, ispirandomi ai versi di Majakovskij».
Si aggiunge anche, nel catalogo, la divertente ricostruzione — fatta dalla studiosa Claudia Salaris, moglie di Echaurren — della visita di Marinetti a Mosca e a San Pietroburgo all’inizio del 1914 e del viaggio a Roma, nel 1916, di Michail Larionov con la sua compagna Natal’ja Goncarova, al seguito di Diaghilev come scenografi dei Balletti russi. Larionov e Goncarova sono protagonisti di un’intera sezione della mostra. Quattro tele di lui e cinque di lei narrano il percorso della coppia: dallo stile impressionista e simbolista al neoprimitivismo, dall’influsso dei fauves al cubofuturismo. Fino all’elaborazione di un nuovo orientamento, il raggismo, il cui manifesto, risalente al 1913, proclama la sintesi tra cubismo, futurismo e orfismo. Tre anni dopo, proprio a Roma, i due artisti ribadiscono i principi della loro pittura nell’opuscolo Radiantismo. Il poeta Benedict Livshits avrebbe poi commentato che «il raggismo con cui Larionov aveva cercato di superare gli italiani, era tutto nel taschino del gilè di Boccioni».
E non aveva torto. Perché gli italiani avevano contribuito in gran parte a far nascere il cubofuturismo, movimento autonomo, che fonde la scomposizione dei punti di vista operata dal cubismo con la rappresentazione delle forme in movimento e la simultaneità sostenuta dalla corrente di Marinetti. Il suo manifesto futurista era stato pubblicato a San Pietroburgo nel 1909, appena un mese dopo l’uscita parigina su «Le Figaro». Prima di allora, per staccarsi dal realismo ottocentesco, i russi avevano scopiazzato le avanguardie dell’Europa occidentale. Lo provano alcuni dei quadri visibili in mostra, come le Pesche di Konchalovskij, il Ritratto di poeta di Mashkov, il Paesaggio con chiesa di Kuprin, la Chiatta di Robert Falck, che citano espressamente Cézanne. I cubofuturisti sosterranno l’indipendenza del futurismo russo da quello italiano. Pur muovendo entrambi da una volontà di aderire al mondo della tecnica e delle macchine, i due movimenti prenderanno strade diverse: quello italiano finirà con l’esaltare gli aspetti aggressivi dell’imperialismo economico e politico, quello russo sosterrà la rivoluzione socialista, inneggiando all’operaio come protagonista di una nuova civiltà industriale. Dal cubofuturismo discendono le due correnti fondamentali dell’arte russa del secondo decennio: il suprematismo di Malevic, che sostiene l’arte pura staccata da ogni funzione; il costruttivismo di Tatlin, che propugna l’abolizione dell’arte considerata un estetismo borghese e ammette soltanto le attività strettamente utili alla società come l’architettura, la grafica, l’arredamento, il design. Restano fuori da ogni corrente Chagall e Kandinskij. Il primo inseguendo uno stile fantastico e intimista, l’altro teorizzando un’arte basata sul linguaggio del colore e in grado di raggiungere una dimensione spirituale.
Lauretta Colonnelli