Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 25/03/2012, 25 marzo 2012
LA SFIDA DI QUINZI TRA FIAT E IPOTECA ENI
Con la designazione del successore di Emma Marcegaglia alla presidenza, Eni, Enel, Finmeccanica, Terna, Poste e Fs sono diventate l’ago della bilancia in Confindustria. Loro hanno tirato a Giorgio Squinzi la volata vincente su Alberto Bombassei. E caso mai qualcuno non l’avesse capito, ci ha pensato Paolo Scaroni a ribadirlo, sottolineando il ruolo dell’Eni. Basta questo per vedere in Confindustria il fantasma dell’Intersind, l’antica associazione delle aziende a partecipazione statale? Certamente no. I colossi di Stato hanno ormai una gestione di stile privatistico. Il punto è un altro. Questi colossi svolgono attività regolate, dipendenti da commesse pubbliche e spesso condizionate dalla politica estera. Sono soggetti monopolisti o quasi nell’età della concorrenza che si crede trionfante, fornitori strategici di milioni di clienti piccoli e grandi. I quali grandi non sono nemmeno loro farina da far ostie. Basti pensare agli energivori, per lo più bombasseiani, che prendono un premio finanziato dalla bolletta elettrica perché accettano di vedersi interrompere l’energia semel in anno e poi, quando accade, alzano alti lai e pretendono il pronto soccorso di Stato. La sfida per Squinzi — ma lo era anche per Emma — sarà quella di guidare la Confindustria oltre gli interessi corporativi dei grandi elettori: suoi e del suo rivale.
D’altra parte, la vittoria di Squinzi segna una sconfitta per la Fiat. Fuoriuscito da Confindustria, Sergio Marchionne aveva prospettato un clamoroso rientro se avesse vinto Bombassei. E adesso? In tempi recenti, il candidato di Torino aveva perso una sola volta. Toccò a Carlo Callieri, uomo di valore, essere sconfitto da Antonio D’Amato, un grande industriale del Mezzogiorno perbene, figlio di una nuova Italia industriale senza padrini nel sistema politico e bancario. Ma D’Amato schierò la Confindustria contro l’articolo 18, credendo ingenuamente ai bellicosi proclami del governo Berlusconi. E si bruciò l’originario consenso. Oggi, convertita al damatismo sindacale, la Fiat è stata sconfitta di nuovo. Ironie della storia.
Squinzi guarda oltre il totem dell’articolo 18 e si spende per ritrovare l’intesa con la Cgil. Esattamente come il Montezemolo del 2004. Ma mentre l’antico predecessore ottenne un plebiscito, Squinzi presiederà un’associazione lacerata, anche dentro i due schieramenti, e una base insofferente della burocrazia associativa, che digitalizza i servizi ma non snellisce abbastanza gli uffici, che invoca l’abolizione delle Province e poi conserva unioni locali ancora più numerose, che brucia cassa (35 milioni nel 2011) nell’azienda che gestisce, Il Sole 24 Ore, nonostante il brand straordinario e le grandi risorse professionali. Ma soprattutto Squinzi si ritrova un’Italia industriale in recessione, divisa tra le multinazionali, magnum e mignon ma comunque capaci di intercettare la crescita dove c’è, e le imprese stanziali, anch’esse decisive per il lavoro e il Pil, ormai piegate dal crollo della domanda interna. E sarà proprio sui ricostituenti della domanda che, avendo idee e fortuna, la Confindustria potrà ritrovare la sua ragion d’essere.
Massimo Mucchetti