Dario Di Vico, Corriere della Sera 25/03/2012, 25 marzo 2012
PERCHE’ NESSUNO ASCOLTA IL POPOLO DELLE PARTITE IVA?
Gentile ministro Fornero, dal mondo delle partite Iva c’è molta attenzione al lavoro che lei ha iniziato seppur tra molte difficoltà. In particolare viene giudicato positivamente l’impegno per contrastare gli abusi, per attenuare il carattere dualistico del nostro mercato del lavoro, per introdurre nella cultura socio-politica italiana una visione di tipo universalistico rivolta all’intera platea sociale e non a garantire i soli gruppi di pressione.
Come abbiamo visto di recente dai dati diffusi dal ministero dell’Economia, nei primi due mesi del 2012 abbiamo avuto una nuova accelerazione nell’apertura di partite Iva e una quota molto alta di «nuovi ingressi» è rappresentata da giovani con meno di 35 anni. È sempre difficile stimare con precisione il numero delle partite Iva in Italia ma a fronte di flussi che paiono comunque consistenti c’è uno stock che può essere valutato tra i 5 e i 6 milioni. Un popolo fortemente differenziato al suo interno, dove non esiste una figura prevalente ma sono a partita Iva dentisti, consulenti di strategia, commercianti, artigiani, giovani in cerca di occupazione.
È importante sottolineare la compresenza di figure assai diverse tra loro perché nel dibattito di queste settimane c’è stato un eccesso di semplificazione. Si è costruita un’equazione tra lavoro professionale con partita Iva e irregolari del mercato del lavoro e di conseguenza la terapia prevalente che è stata proposta è sembrata essere quella di far transitare queste figure verso il lavoro dipendente regolare. Quasi che tutto potesse ancora una volta essere ricondotto a due tipologie esclusive, le imprese e i dipendenti. Da qui alla riproposizione dello schema che assegna la rappresentanza sociale tutta a Confindustria e sindacati confederali, il passo è breve.
Accanto a molte finte partite Iva — è stato per primo il Corriere a parlare addirittura di una bolla del mercato del lavoro — esistono però persone che hanno scelto coscientemente il lavoro autonomo che poter usare il proprio tempo con modalità più flessibili, perché non amano le organizzazioni e le gerarchie, perché possono conciliare meglio professione e impegni di altro tipo, perché possono alternare a loro piacimento attività e formazione continua. Molti di costoro sono partite Iva mono-committenti perché magari sono impegnate su un progetto di ampio respiro e quindi totalizzante. Parecchi sono nativi digitali e stanno esplorando le nuove professioni del web. Parecchie sono donne. Se dovessimo applicare a loro gli schemi che si sentono ripetere in questi giorni si dovrebbe decidere d’imperio «tu sei una partita Iva finta, tu vera..».
Questa tipologia di lavoro autonomo qualificato viene incontro alle esigenze di flessibilità e di specializzazione delle imprese tanto è vero che sta crescendo ovunque nei Paesi ad alta industrializzazione perché si muove in linea con le esigenze di modernizzazione delle economie avanzate e spesso costituisce il valore aggiunto della sfida competitiva che attende il made in Italy. E proprio per questo complesso di motivi dovrebbe essere incoraggiato e sostenuto e non, come accade ora, gravato da un pesante regime fiscale e contributivo a cui non corrisponde alcuna (significativa) tutela.
Ma vengo al punto. È possibile che questo mondo in cui convivono sotto lo stesso regime fiscale (la partita Iva) il giovane inoccupato e il consulente cosmopolita non sia degno nemmeno di essere consultato quando si sta per varare una riforma del lavoro come quella che Lei, ministro, sta predisponendo? Le pare possibile che parlino a nome delle partite Iva i sindacalisti confederali che ovviamente leggono i mutamenti della società sempre in chiave di lavoro dipendente e quindi di allargamento del loro mercato della rappresentanza? So benissimo che proprio in termini di «timbro e volume della voce» il popolo delle professioni autonome soffre per una frammentazione estrema e so anche come le associazioni nate nel frattempo abbiano un imprinting professionale e non sindacale e quindi non riescano a veicolare al meglio le istanze della base.
Non le suggerirò dunque di allungare il tavolo del lavoro di palazzo Chigi o di estendere il metodo concertativo — che lei peraltro ha esplicitamente criticato —, la invito caso mai a scandagliare tutte le opportunità esistenti. Può convocare per una riflessione comune le associazioni che a vario titolo si occupano del nuovo lavoro professionale autonomo, può pensare di organizzare l’ascolto non privilegiando le rappresentanze esistenti e utilizzando lo strumento del forum aperto, può infine pensare di utilizzare la rete con un apposito evento in cui il ministro risponde alle domande. La modalità è tutto sommato secondaria, ciò che conta è un gesto capace di includere le partite Iva e farle sentire parte di un’ambiziosa riforma. Si comincia sempre da un gesto.
Dario Di Vico