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 2012  marzo 24 Sabato calendario

ANCHE GLI UOMINI DEL FISCO SCOMMETTONO CONTRO L’ITALIA


Alla fine deve avere perso la pazienza anche Giulio Tremonti, che all’epoca era in sella al ministero dell’Economia. Qualcuno deve avergli passato un appunto con il prospetto su come stava investendo 1,3 miliardi di euro il fondo previdenziale-assistenziale di tutti i dipendenti dell’ex ministero delle Finanze. Titoli tedeschi, austriaci, inglesi, americani, qualche obbligazione delle grandi banche italiane: nemmeno un Bot per scherzo da lustri. Tremonti deve essersi proprio infuriato. Anche perché quel fondo serve non solo i ministeriali, ma anche i dipendenti di tutte le agenzie fiscali, in primis quella delle Entrate guidata da Attilio Befera. Il patrimonio investito è ottenuto sostanzialmente dai premi che i dipendenti delle finanze ottengono dalle multe erogate a chi non è in regola con le dichiarazioni sui redditi e con quelle Iva. Qualcosina poi arriva dal gioco del lotto, e una bella somma dai risparmi ottenuti con una vecchia legge riducendo gettoni di presenza ed emolumenti accessori che erano erogati nel bilancio della pubblica amministrazione. Le entrate in questo modo oscillano fra i 160 e i 180 milioni di euro all’anno. E servono per erogare solo ai dipendenti delle Finanze e delle agenzie fiscali una integrazione alla indennità di fine rapporto (al fondo non arrivano infatti contributi prelevati dai loro stipendi), il rimborso di alcune prestazioni sanitarie e una serie di sovvenzioni e contributi fra cui l’anticipazione dello stesso Tfr in ragione di 550 euro all’anno a patto di avere almeno cinque anni di servizio alle spalle.
Di fatto quando loro pizzicano qualche irregolarità nelle dichiarazioni Iva e in quelle Irpef e riescono a comminare una sanzione, si mettono da parte un pezzo della liquidazione. Perché al fondo affluiscono in base ad alcune leggi degli anni Settanta il 20% delle sanzioni effettivamente erogate ai contribuenti che non necessariamente sono evasori, ma spesso hanno compiuto irregolarità minori nelle dichiarazioni fiscali.
Quando Tremonti ha visto che tutto questo flusso di milioni veniva investito soprattutto in Austria, Germania e Gran Bretagna, con qualche isolata puntata in obbligazioni e gestioni patrimoniali del gruppo Unicredit, e che proprio per questo in piena crisi dei mercati finanziari le gestioni presentavano risultati in rosso, ha preso carta e penna e strigliato per benino gli amministratori del suo fondo. La notizia emerge dal rapporto della Corte dei Conti sui bilanci 2008 e 2009 del Fondo di previdenza dei dipendenti delle Finanze, appena inviato in Parlamento dal ministero dell’Economia. «Negli esercizi in esame», scrivono i magistrati contabili, «le entrate in conto capitale sono state costituite esclusivamente da quelle relative ai disinvestimenti finanziari attuati in relazione all’andamento negativo dei mercati finanziari. da aggiungere che, per tale motivo, il consiglio di amministrazione ha deciso – nel corso del 2009 – il disinvestimento, totale o parziale di altri titoli a basso rendimento, reinvestendo il ricavato in strumenti finanziari quali titoli di Stato o polizze assicurative». A dire il vero l’operazione ritirata ha coinvolto solo gestioni patrimoniali di banche italiane, ed è avvenuta come riconoscono gli stessi amministratori del fondo, appunto in seguito a una lettera di Tremonti in cui si chiedeva di acquistare almeno un po’ di titoli di Stato italiani. È così che in bilancio sono apparsi 44,9 milioni di euro di Btp a 5 anni e un po’ meno di 61,5 milioni di euro di Btp decennali, tutti sottoscritti nel 2009 a tassi ancora assai bassi. In tutto sono 105 milioni di euro, nemmeno il dieci per cento del patrimonio amministrato dal fondo. Probabilmente Tremonti non è restato soddisfatto della risposta ottenuta nel portafoglio previdenziale dei Befera boys e degli altri dipendenti delle Finanze, e deve essersi vendicato da par suo. In una delle ultime finanziarie è arrivato un sostanzioso taglietto lineare anche ai trasferimenti di cui godevano i fondi ormai da quasi 40 anni. Resta in vigore la percentuale sulle sanzioni amministrative erogate, ma una parte viene trattenuta a bilancio dello Stato e non trasferita al fondo, che ha dovuto fare i conti con una decina circa di milioni di euro di minori entrate, riducendo anche le prestazioni.
Il clima deve essere in genere cambiato, perché potendo godere di minori anticipazioni sulla liquidazione futura per le ristrettezze di cassa, i dipendenti delle Finanze hanno provato a farsi in casa una interpretazione generosa sui rimborsi delle spese mediche, chiedendo alla Agenzia delle Entrate la possibilità di scalare dalle tasse anche la quota rimborsata dal fondo. L’Agenzia – ed è un merito che le va riconosciuto – è stata inflessibile, sia pure con una decisione della direzione centrale contenzioso in cui si camminava sui carboni ardenti. Ma alla fine la risposta è stata sostanzialmente negativa. Se vogliono detrarre le spese mediche a prescindere dal rimborso ottenuto, allora devono portare quello stesso rimborso fra le entrate in Unico e farlo tassare secondo gli scaglioni Irpef. Cosa che naturalmente nessuno fa. Ai Befera boy’s non resta ora che attendere gli interessi dei nuovi Btp…

Fosca Bincher