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 2012  marzo 26 Lunedì calendario

DAL NOSTRO INVIATO

BHUBANESWAR (India) — Il primo straniero rapito dai maoisti indiani nella storia, Claudio Colangelo, è un moderato. Non odia, non urla, non fa proclami dopo essere stato liberato. Si è fatto la barba prima di ripresentarsi al mondo non maoista, ieri mattina. T-shirt nera, pantaloni corti kaki, zaino sulle spalle; tenuta da trekking, insomma: ma barba fatta. A segnare un rientro nella sua vita, dalla quale era uscito — dice — mentre faceva «una semplice passeggiata» con la guida, Paolo Bosusco, il 14 marzo scorso, nella giungla dell’Orissa centrale. Non si può dire che Colangelo sembri un uomo appena uscito da una vacanza. Rispetto però ai reduci da rapimento con barba lunga, abiti etnici e spesso proclami, qui c’è un cambiamento. «Sono un uomo normale al quale piace andare per il mondo e vedere modi diversi di vivere», dice.
Dopo undici giorni di prigionia nella foresta dell’Orissa, ieri era lucido ancora a tarda sera, passato un viaggio di sette ore in auto e un interrogatorio della polizia. E probabilmente lucido è stato anche nei giorni del sequestro, a parte i fucili puntati, le mani legate, la benda sugli occhi delle prime ore. «Mangiavamo soprattutto pane azzimo — racconta —. Quindi a un certo punto ho insegnato ai rapitori a grigliare le melanzane, ma ci hanno messo troppo olio». Italianissimo. Anzi, due italiani, lui e Bosusco, uomini normali piombati all’improvviso nelle mani della guerriglia maoista-naxalita, che dice di battersi per i diritti delle popolazioni tribali locali. Sequestrati senza ragione. «Direi che ci siamo trovati nel mezzo — spiega Colangelo — quando i maoisti hanno scelto la risonanza internazionale e hanno rapito degli stranieri». Due italiani che mentre camminavano, ogni giorno e spesso la notte, costretti a cambiare accampamento, sono diventati amici, hanno parlato delle loro famiglie, del lavoro e di politica — «soprattutto Paolo perché a me non piace» — con il leader dei guerriglieri, Sabyasachi Panda, «che tutti, lì, chiamavano solo commander». Due italiani ora divisi.
Per capire cos’è successo a Colangelo e Bosusco, c’è un punto chiave da chiarire. Foto a donne di villaggi tribali spogliate non ne stavano facendo, come invece i maoisti avevano lasciato intendere: quando sono stati catturati, erano loro in mutande, i due italiani e i due aiutanti indiani (rilasciati il 17 marzo): «Facevamo il bagno e io stavo asciugando i pantaloni». Persone normali. La ragione del rapimento, dunque, non è la lotta dichiarata da Panda ai «safari umani» quanto l’esigenza del capo naxalita — una figura intermedia nella gerarchia del Partito comunista dell’India (maoista) — di mettere a segno un’azione di alta risonanza per risollevare le sorti della sua leadership, da un paio d’anni in declino tra le popolazioni tribali dell’Orissa e soprattutto in crisi all’interno del partito, dove è isolato, considerato poco stabile e avventurista dai maggiori dirigenti, soprattutto quelli del vicino Stato dell’Andhra Pradesh.
Questa è la chiave del rapimento, il «trovarsi in mezzo» di cui parla Colangelo: passare di lì mentre un gruppo di maoisti in crisi ha bisogno di te. Sull’effetto mediatico del rapimento di due stranieri Panda puntava tutto. E, in effetti, l’annuncio del sequestro fece onde alte. Sull’opinione pubblica indiana e internazionale. Ma purtroppo per lui anche all’interno della dirigenza naxalita, che era all’oscuro del suo piano e si è subito mobilitata per sabotarlo. Quando è riuscito ad aprire un tavolo negoziale con il governo, sul quale avanzava 13 richieste, Panda ha creduto di essersi messo in una posizione di forza. Subito dopo, però, gli avversari interni al suo stesso partito hanno ucciso un poliziotto, a freddo, per fare sapere al governo che il leader dei rapitori non controllava nulla, che non era uno con cui trattare. È stato a quel punto che, capito che il gioco poteva sfuggirgli di mano, Panda prometteva pubblicamente di liberare un ostaggio. «Per quattro giorni, me lo ha promesso — racconta Colangelo —. Ma il giorno giusto non arrivava mai». Visto che le trattative andavano comunque avanti, i rivali decidevano di alzare la posta e a loro volta rapivano un deputato dell’Assemblea legislativa dell’Orissa: lo scontro intestino tra maoisti era a tutto campo, con il risultato che le trattative tra i rappresentanti di Panda e quelli del governo fallivano. È a quel punto che il leader rapitore ha dovuto cercare di togliersi dall’angolo, per quanto possibile, e ha deciso di liberare Colangelo, nella speranza di riaprire almeno un po’ il gioco e fare riprendere i negoziati. Lo scenario nel quale si inscrive la situazione di Paolo Bosusco, ancora nelle mani di Panda, parte da qui. Il leader che lo ha rapito ha riconquistato un minimo di agibilità, liberando Colangelo «come gesto di buona volontà». Ma qualsiasi cosa gli risponda il governo, è certo che la parte del Pci-(maoista) a lui contraria farà a sua volta qualcosa per fare saltare ogni mediazione. Detto diversamente, a questo punto, la liberazione di Bosusco più che il frutto di una trattativa tra maoisti e governo sarà il risultato dell’esito dello scontro interno ai maoisti stessi. Ormai è chiaro che i naxaliti dell’Andhra Pradesh vogliono fare fuori Panda, subito o tra qualche tempo non importa. Ed è altrettanto evidente che Panda lo sa.
Non è detto che questo sia negativo, dal punto di vista di Bosusco. Panda è con le spalle al muro e la sola speranza che ha, se ne ha una, sta nel trovare un accordo con il governo. Il che significa liberare anche il secondo straniero, l’altra persona normale presa per caso mentre passava. Magari in fretta, come si augura Colangelo.
Danilo Taino