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 2012  marzo 25 Domenica calendario

ROMA —

In Europa c’è solo un Paese dove il pieno fa più male che da noi. E il suo nome non promette nulla di buono perché si tratta della Grecia. Una differenza minima, uno spread di appena 4 millesimi di euro al litro, secondo la Direzione energia della commissione europea, che in ogni nazione rileva il prezzo medio dall’area di servizio in autostrada al distributore no logo in periferia. E il nostro secondo posto è quasi tutto merito delle tasse.
Il 57,1% del costo di un pieno finisce dritto allo Stato. Anche qui non siamo al primo posto ma ci manca poco. Senza contare le addizionali regionali, che oramai ci sono quasi ovunque, il Fisco pesa più che da noi solo in Grecia (e ci risiamo) Svezia, Olanda, Regno Unito e Irlanda. E al momento del pieno lo Stato italiano bussa due volte. Il primo prelievo è attraverso l’Iva, che è appena salita al 21% e dopo l’estate potrebbe aumentare ancora. È vero che in alcuni Paesi l’imposta sul valore aggiunto è ancora più salata, come in Svezia dove arriva al 25%. Ma lì si tratta di una scelta ambientale, per scoraggiare l’uso dell’automobile e favorire quello dei mezzi pubblici che però funzionano davvero e non sono un’alternativa teorica come spesso accade nelle nostre città. La seconda batosta arriva con le famose accise. Ufficialmente sono tasse di scopo e dovrebbero coprire i costi di un’emergenza. Ma continuiamo a pagarle anche quando l’emergenza è finita da un pezzo, visto che lì dentro ci sono non solo gli 8 centesimi al litro aggiunti con il decreto salva Italia ma anche i 7 millesimi per la crisi di Suez del 1956 e addirittura il millesimo sommato per la guerra di Abissinia del 1935, ai tempi di «Faccetta nera». Alla fine le accise pesano più del doppio dell’Iva: 70 centesimi al litro contro 30. E questo nonostante una beffa che fa discutere da tempo, senza soluzione: l’Iva viene calcolata considerando non il prezzo industriale della benzina, cioè pulito dalle tasse, ma quello che viene fuori sommando le accise. Una tassa sulla tassa.
Tra Iva, accisa e Iva sull’accisa, dalla benzina lo Stato nel 2011 ha incassato 37,3 miliardi di euro. Come una manovra. E poco cambia se, con la crisi che morde, gli italiani lasciano l’auto in garage ripiegando su autobus e metropolitane. Nei primi due mesi del 2012 i consumi di carburante sono scesi del 9,6% ma — tra rincaro del petrolio e aumento delle tasse — lo Stato ha incassato un miliardo di euro in più rispetto allo stesso periodo del 2011. E potrebbe non finire qui. Nel disegno di legge per la riforma fiscale, che due giorni fa doveva essere approvato dal Consiglio dei ministri, si parla di carbon tax come strumento per penalizzare le fonti di energia più inquinanti e finanziare lo sviluppo di quelle rinnovabili. Un’altra stangata in arrivo, insieme al probabile aumento dell’Iva?
«Il caro benzina è un problema che ci preoccupa — dice il sottosegretario all’Economia, Gianfranco Polillo — e se la tendenza dovesse rimanere questa, dovremo intervenire». Tra le idee allo studio c’è l’attivazione della cosiddetta accisa mobile, pensata dal governo Prodi ma mai applicata. Come funziona? Quando le compagnie aumentano i prezzi, per tre mesi l’accisa viene abbassata ma lo Stato compensa le perdite grazie all’aumento del gettito dell’Iva. Anche perché se il pieno fa paura la colpa non è solo delle tasse. Pure togliendole, la benzina italiana resta tra le più care d’Europa. Peggio di noi sono messe solo la Danimarca, la Spagna, il Portogallo, di un solo millesimo la Germania. Gli altri Paesi europei hanno tutti un prezzo più basso. E se la speculazione e l’aggressività delle compagnie petrolifere colpiscono tutti, in Italia pesa anche una rete di distributori frammentata che scarica i suoi maggiori costi sul prezzo finale. Abbiamo 24 mila distributori: il doppio che in Francia. La legge sulle liberalizzazioni spinge all’aggregazione. Ma per gli effetti sul prezzo (se ci saranno) bisognerà aspettare mesi.
Lorenzo Salvia