Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  marzo 25 Domenica calendario

ROMA —

Anche i tecnici hanno un’anima (politica). E la battaglia sulla riforma del lavoro, che ha visto i professori darsele metaforicamente di santa ragione nelle chiuse stanze di Palazzo Chigi, può funzionare da bussola per disegnare una mappa non autorizzata delle varie anime del governo.
Cattolici e laici, laburisti e conservatori, centristi e liberal... Categorie che possono risultare un po’ strette a personalità dai curriculum formato lenzuolo, ma che fotografano, sia pure in modo didascalico, quanto sia complicato per Mario Monti il gioco della mediazione su temi esplosivi come l’articolo 18.
A sentire Beppe Fioroni, Pd, è anche grazie ai cattolici se la battaglia del lavoro non è naufragata in uno «sterile braccio di ferro tra falchi e colombe», che avrebbe finito per «destabilizzare il governo». L’ex ministro sembra avallare l’idea che il monito dei vescovi contro la riduzione «a merce» dei lavoratori sia stato il passaggio chiave di un’operazione concertata, che avrebbe avuto tra i protagonisti la Cisl di Raffaele Bonanni, i vertici del Pd, la Cei e ministri graditi alle gerarchie vaticane: come l’ex rettore della Cattolica Lorenzo Ornaghi, vicino a Ruini quanto a Bagnasco.
Magari è fantapolitica, ma certo la «rivolta» dell’ala sociale del governo ha messo a dura prova i nervi di Elsa Fornero. Niente barricate, che non sono nello stile dei professori. Però il ministro del Lavoro ha dovuto vedersela con gli appelli alla cautela del fondatore di Sant’Egidio Andrea Riccardi — ordinario di storia contemporanea a Roma, che vanta rapporti importanti Oltretevere e amicizie nel Pd e nel Terzo polo — e con i dubbi di Renato Balduzzi: costituzionalista vicino agli ambienti dell’Azione cattolica e già consigliere politico di Rosy Bindi quand’era ministro della Salute. E sembra che un altro cattolico come Corrado Passera, che pure condivide spirito e obiettivi della riforma, sia tra coloro che hanno soppesato l’idea poi scartata di prendersi una pausa di riflessione sui licenziamenti individuali.
La leader della Cgil Susanna Camusso lo stima e molti vedono il ministro dello Sviluppo già in corsa per il dopo-Monti, alla guida di una grande coalizione trasversale con dentro centristi, riformisti del Pd e pidiellini alla Formigoni.
Un ruolo importante nella battaglia sui licenziamenti lo ha giocato anche Fabrizio Barca, passato dal servizio studi di Bankitalia al ministero del Tesoro con Carlo Azeglio Ciampi, quando al governo c’era Romano Prodi. Il padre Luciano ha diretto L’Unità e Rinascita ed è stato per quasi trent’anni parlamentare del Pci. E lui, il ministro della Coesione territoriale, è stato l’unico esponente del governo Monti ad aver rivolto un pensiero affettuoso alla Fiom di Maurizio Landini. «Non c’è dubbio che la riforma ponga più problemi a sinistra — è l’analisi del senatore democratico Marco Follini —. Ma ha prevalso l’agenda Monti e anche per il Pd è difficile sfuggire».
A Elsa Fornero va tutta la gratitudine del presidente, ma il ministro del Lavoro è «rammaricata» perché avrebbe voluto una riforma condivisa. A sinistra c’è chi la vede come il nemico da battere, forse dimenticando che la campionessa dei liberal al governo è figlia di un operaio e di una casalinga e che la sua unica poltrona in politica, prima del Welfare, è stata quella di consigliere comunale a Torino con un sindaco di centrosinistra, Valentino Castellani. E oggi, dove batte il cuore della professoressa Fornero? «A naso la inserirei nel vasto campo progressista — sta al gioco l’onorevole Cesare Damiano, che fu suo compagno di scuola per poi precederla alla guida del Lavoro —. Le sue scelte sono improntate a una filosofia liberale, ma sulla questione sociale dovrebbe avere attenzione a una maggiore gradualità».
Il Pd è il partito che vive le maggiori difficoltà, eppure non si può dire che Pier Luigi Bersani (e soprattutto il suo vice Enrico Letta) non abbiano amici a Palazzo Chigi e dintorni. Il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, aveva dato al Pd la sua disponibilità a scendere in campo per la corsa a sindaco di Torino, ma poi è rimasto al Politecnico come rettore. Piero Giarda ha portato l’Italia in Europa con Ciampi, da sottosegretario al Tesoro. Laureato alla Cattolica, il ministro per i Rapporti con il Parlamento è stato al governo dal 1995 al 2001 con Dini, Prodi, D’Alema e Amato. Ed Enzo Moavero Milanesi, il più montiano dei ministri di Monti, è stato consigliere a Palazzo Chigi con Amato e Ciampi nel 1992-1993.
Uno dei fili che cuciono assieme le anime dell’esecutivo è la trasversalità, un asso che non è il solo Passera a conservare nella manica. Con spirito bipartisan hanno accettato l’incarico anche Mario Catania e Corrado Clini, mentre non è un mistero che Paola Severino e Piero Gnudi siano corteggiati dai centristi di Casini. Nelle biografie informali di Giulio Terzi di Sant’Agata, ministro degli Esteri dal sangue blu, è scritto che gettò le basi della storica visita di Gianfranco Fini in Israele. Mentre nessun partito è mai riuscito a mettere un’etichetta all’ammiraglio Giampaolo Di Paola o all’inquilina del Viminale, Anna Maria Cancellieri.
E Mario Monti? Classificarlo, a un anno dalle urne, sarebbe un azzardo. «È il più libero politicamente — conclude il capogruppo di Fli alla Camera, Benedetto Della Vedova —. Continuerà a fare le riforme che ritiene utili per l’Italia, senza entrare nella logica del condizionamento di parte».
Monica Guerzoni