Michele Farina, Corriere della Sera 25/3/2012, 25 marzo 2012
«I talebani sono molto preoccupati per il futuro» sostiene il generale americano John Allen, parlando dell’undicesimo anno di guerra che si apre in Afghanistan
«I talebani sono molto preoccupati per il futuro» sostiene il generale americano John Allen, parlando dell’undicesimo anno di guerra che si apre in Afghanistan. La convinzione di questo pallido marine a quattro stelle con il taccuino moleskine accanto alla tazza del caffè è forte come la sua stretta di mano quando vi consegna lo stemmino tondo della missione Isaf tenendolo nel palmo alla maniera militare, come fosse qualcosa di prezioso da passarsi in segreto. «Per i talebani sarà straordinariamente difficile tornare, facendo ripiombare il Paese in quello che i locali chiamano "il periodo di buio". Però ci sta che gli afghani siano preoccupati, la storia ha insegnato loro a diffidare». A scanso di equivoci molti a Kabul si sono già attrezzati con la doppia scheda del telefonino. Una governativa, l’altra talebana. «Lo fanno tutti — dice Mustafa Yasa, interprete per caso durante un’intervista con il vicesindaco Khoghman Ulomi — Quando esci dalla città, cambi scheda. Così se ti fermano i talebani non vedono nella rubrica i contatti con le autorità o gli stranieri». Il vicesindaco nega. Ma c’è anche chi cambia la suoneria, passando dalla musica pop alle giaculatorie degli «studenti di Dio». Anche negli anni peggiori della guerra in Iraq la vita o la morte poteva dipendere dal telefonino. I miliziani fermavano un uomo per strada e prima di sparargli chiedevano: sunnita o sciita? Il poveraccio tirava fuori un documento di identità (vero o falso) «scommettendo» sulla confessione dei miliziani. Che però erano furbi: si facevano chiamare la moglie del malcapitato e le chiedevano «tuo marito è sunnita o sciita?». Ecco, in Iraq era peggio che nell’Afghanistan della doppia Sim. Era peggio per molte cose eppure alla fine gli americani ce l’hanno fatta a finire la guerra. Aumentando le truppe (il surge), convincendo (anche pagando) una parte della guerriglia sunnita a non piantare più bombe nelle strade e non sparare con i mortai nelle basi Usa. Il generale Allen è stato protagonista di quella svolta cominciata nella provincia di Anbar, roccaforte sunnita e cimitero di un terzo delle vittime Usa. Se gli chiedete perché la guerra in Afghanistan si sta rivelando più lunga e difficile lui vi indicherà una grande cartina alla parete. «Il terreno è molto diverso. Qui montagne, là deserto. In Anbar l’80% della popolazione (e quindi anche dei cattivi) viveva nello spazio di 5 chilometri da una parte all’altra del fiume. Qui è più complicato. Mentre Le parlo ci sono nostri soldati che combattono a 3mila metri di altezza». C’è anche la questione delle «molte divisioni etniche» (in Iraq la popolazione era omogenea, lacerata da una sola frattura religiosa), delle basi di appoggio in Pakistan (in Iraq la guerriglia non aveva santuari esterni). Ma la natura del terreno è la questione militare numero uno, dice Allen. Questo spiega anche perché la stagione della guerra comincia adesso e va avanti fino a ottobre. La neve si scioglie e si comincia a combattere. Nella palazzina di comando Isaf (nella base il bar più vicino si chiama Milano, offre a 8 dollari un Tora Bora Combo e un Milano Burger in nome dei primi arrivati che erano soldati italiani) il generale Allen prevede per questa stagione una forte pressione talebana all’Est e nelle province intorno alla capitale (dove vive un quinto della popolazione afghana). Logar, Wardak, Ghazni, Paktia. «Vogliono posizionarsi in zone a un giorno di strada da Kabul e poi organizzare operazioni in città. Ma noi glielo impediremo». Inizialmente i generali volevano aumentare le difese spostando truppe dalle province del Sud, Helmand e Kandahar. Ma ci hanno ripensato. Il Sud resta il grande bacino di partenza dei talebani e la situazione è troppo delicata per rischiare una mezza ritirata ora. Quindi non può che essere delicata anche nel Gulistan, dove ieri gli italiani sono finiti sotto attacco. La Valle delle Rose (questo vuol dire il nome) sta appena oltre il confine nord di Helmand, in una cruciale zona di passaggio e rifornimenti (per i talebani) dal Sud al Nord-Ovest del Paese. Un’area ad alta «attività cinetica» (curioso eufemismo militare per indicare la guerra). Terreno difficile, montagne e isolati fortini Isaf. Con la guerriglia che cerca di sfruttare ovunque la pessima reputazione delle corrotte autorità pubbliche con «amministrazioni ombra» pronte a licenziare i «funzionari talebani» che si comportano male: riforma del lavoro taliban style. Michele Farina