24 marzo 2012
APPUNTI PER GAZZETTA. UN SOLDATO ITALIANO UCCISO IN AFGHANISTAN
REPUBBLICA.IT (ore 20.02)
HERAT - Un soldato italiano ucciso, cinque feriti, di cui due in gravi condizioni. E’ il tragico bilancio di un attacco portato dai talebani a un’avamposto "Ice" della missione Isaf presidiato dai bersaglieri della Brigata Garibaldi nella zona del Gulistan.
Il militare caduto è il sergente Michele Silvestri, 33 anni, del 21mo Reggimento Genio Guastatori di Caserta. Nato a Napoli il 17 maggio 1978, abitava a Monte di Procida (Napoli), lascia la moglie e un figlio di 8 anni. Il sergente Silvestri era giunto in Afghanistan solo dieci giorni fa, il 14 marzo. Avrebbe fatto ritorno in Italia tra sei mesi. Sale a 50 il numero delle vittime italiane della missione Isaf 1 in Afghanistan dal 2004 ad oggi.
Quattro dei cinque feriti sono stati trasferiti in elicottero presso l’ospedale da campo di Delaram, sotto comando americano, il quinto ha riportato ferite leggere ed è rimasto alla base "Ice". Tre dei cinque feriti appartengono al 1mo Reggimento Bersaglieri di Cosenza. Si tratta di Monica Graziano, Nicola Storniolo e Salvatore De Luca. Secondo le prime notizie, i primi due sarebbero in serie condizioni, mentre De Luca avrebbe riportato ferite di media gravità.
Nell’avamposto sono presenti uomini della Brigata Garibaldi del 1mo Reggimento Bersaglieri di Cosenza e quelli del 21mo Reggimento Genio di Caserta, oltre ad unità di altri reparti. Proprio in questi giorni la Brigata Garibaldi sta rilevando dalla Brigata Sassari il comando della Regione ovest della missione Isaf della Nato, sottoposta a responsabilità italiana.
Il cordoglio delle istituzioni. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato alla moglie e al figlio del sergente Silvestri un messaggio in cui, nel farsi interprete del profondo cordoglio del Paese, esprime i sentimenti della sua affettuosa vicinanza e della più sincera partecipazione al loro grande dolore. Cordoglio manifestato anche dal presidente del Consiglio Mario Monti e dal ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, oltre ai presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani, al Capo di Stato Maggiore dell’esercito, generale Claudio Graziano, e al Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Biagio Abrate.
Per ricordare il militare ucciso, il presidente del Coni, Gianni Petrucci, ha disposto che in tutte le gare sportive del weekend venga osservato il minuto di raccoglimento.
Colpi di mortaio sugli italiani. L’attacco - spiega lo Stato Maggiore della Difesa- è stato condotto "con colpi di mortaio" alle ore 18 locali (in Italia 14.30), contro la Fob (Forward Operative Base) ’Ice’ in Gulistan, nel settore Sud-Est dell’area di responsabilità italiana, assegnata alla Task Force South-East, su base del 1° Reggimento Bersaglieri. A Sky Tg24 Roberto Tomsi, dell’ufficio pubblica informazione dello Stato Maggiore della Difesa, ha spiegato che si è trattato di un vero attacco, non di un attentato, portato con tre colpi di mortaio.
L’avamposto ’Ice’, secondo quanto si è appreso, era stato oggetto anche in mattinata di colpi di mortaio, finiti fuori del perimetro della base. Nel primo pomeriggio l’attacco è stato ripetuto e, stavolta, alcune bombe sono andate a segno. Dopo il secondo attacco, sempre secondo quanto è stato possibile apprendere, si sono alzati in volo elicotteri d’attacco Mangusta che hanno "neutralizzato" le postazioni nemiche. Fonti qualificate hanno riferito all’Asca che "i Mangusta al momento dell’attacco si sono alzati in volo e hanno risposto al fuoco, uccidendo molto probabilmente gli estremisti che si ritiene siano talebani".
Gulistan, area a rischio. La Regione ovest della missione Isaf della Nato, sottoposta alla responsabilità italiana, è un’ampia regione dell’Afghanistan occidentale, grande quanto il Nord Italia, che si estende sulle quattro province di Herat, Badghis, Ghowr e Farah. Il distretto del Gulistan, nella provincia di Farah, si conferma una delle aree più calde tra quelle affidate alla responsabilità dei militari italiani. L’attacco di oggi è arrivato dopo decine di altri attacchi e attentati subiti. In questa zona, il 9 ottobre 2010, gli ’insorti’ presero di mira un convoglio di blindati che scortava una settantina di mezzi civili: uno dei veicoli su cui viaggiavano gli italiani saltò in aria su un ordigno e morirono i primi caporal maggiori Gianmarco Manca, Francesco Vannozzi e Sebastiano Ville e il caporal maggiore Marco Pedone.
Oltre ai convogli, ad essere esposte ai rischi maggiori sono proprio gli avamposti, presi di mira quasi ogni giorno e nei quali bisogna guardarsi anche dai possibili infiltrati. Il distretto del Gulistan e quello adiacente di Bakwa, non meno pericoloso, sono presidiati dalla task force sud-est, che solo da poco è su base 1mo Reggimento Bersaglieri. Gli uomini della task force devono controllare un territorio vasto 24 mila chilometri quadrati, abitato da poco meno di 130 mila persone.
Un mese fa l’allarme dei servizi. In questo quadro, si inserisce l’allarme lanciato appena un mese fa dai servizi segreti contenuta nella relazione sullo stato della sicurezza consegnata al Parlamento, in cui si parlava di "cornice di sicurezza estremamente precaria" ed "elevato livello della minaccia" per i militari italiani in Afghanistan. Nell’informativa, i servizi evidenziavano come "gli elementi di criticità del 2011 sembrano destinati a perdurare nel breve-medio termine", anche per il processo di transizione, che "rischia di fallire in assenza di adeguati progressi in tema di governance e sviluppo socio-economico".
L’Afghanistan, si legge ancora nella relazione, "sembra destinato a essere ancora teatro di offensive da parte dell’insorgenza: questa situazione continua a mettere a rischio di azioni ostili il personale straniero, militare e civile, operante a vario titolo sul territorio, incluso il contingente italiano".
(24 marzo 2012)
REPUBBLICA.IT - PRECEDENTI
ROMA - Con la morte del militare italiano in conseguenza di un attacco di mortaio contro la base Ice nel Gulistan sale a 50 il numero degli italiani deceduti nel corso della missione multinazionale Isaf in Afghanistan. Il contingente italiano è schierato nella regione di Herat, con 3.952 unità.
Il 20 febbraio scorso a perdere la vita erano stati il caporal maggiore capo Francesco Currò, l primo caporal maggiore Francesco Paolo Messineo e il primo caporal maggiore Luca Valente, in seguito ad un incidente stradale avvenuto a circa 20 Km a sud-ovest di Shindand. In precedenza, il 13 gennaio scorso un altro evento luttuoso con la morte del tenente colonnello Giovanni Gallo, colpito da un malore.
Il 13 settembre 2011 erano deceduti, in un incidente stradale nella zona di Herat, il tenente Riccardo Bucci, il Caporal Maggiore Scelto Mario Frasca e il Caporal Maggiore Massimo Di Legge. Prima di loro, il 25 luglio era morto il 1° Caporal Maggiore David Tobini in seguito alle ferite riportate in uno scontro a fuoco nel villaggio di Khame Mullawi, nella valle
di Bala Murghab. Pochi giorni prima, il 12 luglio, a perdere la vita era stato il primo caporal maggiore Roberto Marchini, dell’ottavo reggimento genio guastatori della Folgore. Il 2 luglio era rimasto rimasto ucciso in un attentato a Caghaz, il caporal maggiore Gaetano Tuccillo.
Il 4 giugno 2011, il tenente colonnello dei carabinieri Cristiano Congiu, intervenuto per difendere una donna americana, era stato ucciso a colpi d’arma da fuoco mentre si trovava in una località della Valle del Panshir. Il 28 febbraio scorso era stato il Tenente Massimo Ranzani a perdere la vita in seguito all’esplosione di un ordigno esplosivo a nord di Shindand. In precedenza, il 28 gennaio, il Caporal Maggiore Scelto Luca Sanna era morto in seguito alle ferite per i colpi d’arma da fuoco esplosi da un presunto appartenente all’Afghan National Army, poi fuggito.
Per quanto riguarda il 2010, il 31 dicembre, nell’avamposto ’Snow’, nella valle del Gulistan, aveva perso la vita in uno scontro a fuoco il 1° Caporal maggiore Matteo Miotto, 24enne, di Thiene. Prima di lui erano morti , il 9 ottobre, sempre in quella zona, quattro alpini vittime di un’imboscata: il primo Caporal maggiore Sebastiano Ville, 27 anni, il primo Caporal maggiore Gianmarco Manca, 32 anni, il caporalmaggiore Marco Pedone, 23 anni e il primo caporalmaggiore Francesco Vannozzi, 26 anni.
Il 17 settembre 2010 aveva perso la vita invece l’incursore Alessandro Romani, raggiunto da colpi di arma da fuoco in un attentato nella provincia di Farah. Il 28 luglio, ancora, un’esplosione nei pressi di Herat uccide Mauro Gigli e Pierdavide De Cillis, specialisti del Genio impegnati in operazioni di disinnesco di un ordigno. Il 25 luglio, un militare muore suicida a Kabul: il Capitano Marco Callegaro si sarebbe sparato un colpo di arma da fuoco all’interno del suo ufficio. Sull’episodio viene aperta un’indagine dei carabinieri della polizia militare. Il 23 giugno 2010 muore il Caporal Maggiore Scelto Francesco Saverio Positano.
Sempre nel 2010, il 17 maggio, un veicolo blindato salta in aria per l’esplosione di un ordigno nella provincia di Herat. Muoiono il sergente Massimiliano Ramadù, 33 anni, e il caporal maggiore Luigi Pascazio, 25 anni. Le vittime appartenevano al 32esimo reggimento Genio della brigata Taurinense. Il 26 febbraio 2010 viene ucciso Pietro Antonio Colazzo, un funzionario dell’Aise, l’Agenzia di informazione e sicurezza esterna, nel corso di un attentato suicida compiuto dai talebani a Kabul contro due ’guest house’.
Caduti italiani anche nel 2009. Il 15 ottobre un militare del Quarto Reggimento alpini paracadutisti, il Caporal Maggiore Rosario Ponziano, muore in un incidente stradale avvenuto sulla strada che unisce Herat a Shindad. Il 17 settembre, sei militari muoiono in un attentato suicida a Kabul, rivendicato dai talebani. Le vittime, del 186esimo Reggimento Paracadutisti Folgore di stanza a Kabul, sono: Antonio Fortunato, Matteo Mureddu, Davide Ricchiuto, Massimiliano Randino, Roberto Valente e Gian Domenico Pistonami.
Il 14 luglio muore, in un attentato a 50 chilometri da Farah, il caporalmaggiore Alessandro Di Lisio, 25 anni. Paracadutista dell’Ottavo Genio Guastatori della Folgore, faceva parte di un team specializzato nella bonifica delle strade. Il 15 gennaio muore Arnaldo Forcucci, maresciallo dell’Aeronautica, per arresto cardiocircolatorio.
Il 21 settembre 2008 muore per un malore a Herat il caporalmaggiore Alessandro Caroppo, 23 anni, dell’Ottavo reggimento bersaglieri di Caserta. Il 13 febbraio muore in un attacco il maresciallo Giovanni Pezzulo, 44 anni, del Cimic Group South di Motta di Livenza. L’attentato avviene a una sessantina di chilometri da Kabul, nella valle di Uzeebin, mentre i militari italiani sono impegnati in attività di distribuzione di viveri e vestiario alla popolazione della zona.
Il 24 novembre 2007 muore in un attentato suicida nei pressi di Kabul il maresciallo capo Daniele Paladini, 35 anni. Il 4 ottobre dello stesso anno, muore al Policlinico militare del Celio l’agente del Sismi Lorenzo D’Auria. Il militare era stato gravemente ferito il 24 settembre durante un’operazione delle forze speciali britanniche per cercare di liberarlo. Due giorni prima, D’Auria era stato sequestrato assieme a un altro sottufficiale del servizio di sicurezza militare e a un collaboratore afgano.
Il 26 settembre 2006 perdono la vita i caporalmaggiori Giorgio Langella, 31 anni, e Vincenzo Cardella, in seguito all’esplosione di un ordigno lasciato lungo una strada nei pressi di Kabul. I due militari appartenevano alla 21esima compagnia del Secondo Reggimento alpini di Cuneo. Il 20 settembre dello stesso anno muore in un incidente stradale, a sud di Kabul, il caporalmaggiore Giuseppe Orlando, 28 anni. Faceva parte della 22/a compagnia del Secondo Reggimento alpini di Cuneo. Il 2 luglio il tenente colonnello Carlo Liguori, 41 anni è stroncato da un attacco cardiaco ad Herat. Il 5 maggio 2006, in seguito all’esplosione di un ordigno lasciato lungo una strada nei pressi di Kabul, muoiono il tenente Manuel Fiorito, 27 anni, e il maresciallo Luca Polsinelli, 29 anni, entrambi del Secondo Reggimento Alpini. I due soldati si trovavano a bordo di due veicoli blindati "Puma", a sud-est della capitale afghana, quando sono stati investiti dall’esplosione.
L’11 ottobre 2005 muore il caporalmaggiore capo Michele Sanfilippo, 34 anni, effettivo al Quarto Reggimento Genio Guastatori di Palermo. Viene ferito con un colpo alla testa, partito accidentalmente, nella camerata del battaglione Genio a Kabul. Muore poco dopo il ricovero in ospedale. Il 3 febbraio l’ufficiale di Marina, Bruno Vianini perde la vita nello schianto di un aereo civile sul quale viaggiava, tra Herat e Kabul. Il capitano di fregata aveva 42 anni.
Il 3 ottobre 2004, il caporal maggiore Giovanni Bruno, 23 anni, del Terzo reggimento alpini, è vittima di un incidente stradale mentre si trova a bordo di un mezzo dell’esercito nel territorio di Sorobi, a 70 chilometri da Kabul. Nell’incidente rimangono feriti altri quattro militari.
(24 marzo 2012)
DA CORRIERE.IT (ORE 18.56)
MILANO - Un soldato italiano è morto e altri cinque sono rimasti feriti a seguito di un attacco con colpi di mortaio avvenuto attorno alle 18 (in Italia le 14.30), contro la base operativa avanzata «Ice» in Gulistan, nel settore Sud-Est dell’area di responsabilità italiana. Nel teatro opera il 1° Reggimento Bersaglieri. L’attentato è stato confermato dallo Stato maggiore della Difesa. L’avamposto «Ice», secondo quanto riferiscono alcune agenzie di stampa, era stato preso di mira anche in mattinata, sempre a colpi di mortaio, ma in quel caso erano finiti fuori dal perimetro della base. Nel primo pomeriggio l’attacco è stato ripetuto e, questa volta, alcune bombe sono andate a segno. Dopo il secondo attacco si sono alzati in volo degli elicotteri d’attacco Mangusta che hanno «neutralizzato» le postazioni nemiche.
LA VITITMA E I FERITI - «Il personale ferito è stato subito soccorso e trasferito in elicottero all’ospedale militare da campo della Coalizione più vicino» fa inoltre sapere lo Stato maggiore in un comunicato. Il nome della vittima e degli altri soldati feriti non sono stati resi noti, mentre sono state attivate tutte le procedure per informare i familiari di quanto accaduto.
IL CORDOGLIO DELLE ISTITUZIONI - Non è tardato ad arrivare il cordoglio delle istituzioni. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha appreso la notizia «con profonda commozione» e dei soldati ha sottolineato che «assolvevano con onore il proprio compito nell’ambito della missione Isaf». «Il capo dello Stato - si legge in un comunicato -, esprime i suoi sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei familiari del caduto, rendendosi interprete del profondo cordoglio del Paese». Anche il presidente del Senato, Renato Schifani, ha rivolto un pensiero alle vittime e alle loro famiglie: «L’Italia continua a pagare un altissimo prezzo di sangue e questo ci addolora profondamente. La missione italiana in Afghanistan continua comunque a essere decisiva per la tutela della libertà, della sicurezza e della pace».
«RITIRARE LE TRUPPE» - Attestati di solidarietà sono arrivati dalle diverse forze politiche. L’Italia dei valori è andata anche oltre e ha chiesto subito che il ministro Giampaolo Di Paola riferisca in Parlamento su quello che ha definito uno «stillicidio». Non solo: il leader del partito, Antonio Di Pietro, è tornato a chiedere il rientro immediato delle truppe: «Siamo in guerra, una guerra che non ci appartiene, vietata dalla Costituzione italiana. Più passa il tempo e più la popolazione afghana ci odia. Siamo in quei territori non in missione di pace, ma in guerra. È questa la verità. Una volta per tutte: basta con questa violenza e si ritiri immediatamente il nostro contingente».
La base avanzata italiana «Ice» in Gulistan (Ansa)La base avanzata italiana «Ice» in Gulistan (Ansa)
APPENA INSEDIATI - Il 1° Reggimento bersaglieri, di stanza a Cosenza, è considerato tra quelli con maggiore esperienza nelle missioni internazionali. Era tornato da soli dieci giorni in Afghanistan, dove era già stato impiegato dall’ottobre del 2009 al maggio del 2010. Il passaggio di consegne con il «San Marco» era avvenuto il 14 marzo, come riferisce il sito della Difesa. Attualmente sono 3.985 i militari italiani impegnati in Afghanistan nell’ambito della missione Isaf, la più corposa tra quelle che vedono le nostre truppe operative all’estero.
LE VITTIME ITALIANE - Dopo quest’ultimo attentato, sale a 50 il numero dei connazionali deceduti nel corso delle operazioni in Afghanistan. Il 20 febbraio scorso a perdere la vita in un incidente stradale a venti chilometri da Shindand erano stati il caporal maggiore capo Francesco Currò, il primo caporal maggiore Francesco Paolo Messineo e il primo caporal maggiore Luca Valente. Ma non erano state le prime vittime del 2012: il 13 gennaio scorso era infatti morto il tenente colonnello Giovanni Gallo, colpito da un malore.
Alessandro Sala
DA WWW.EILMENSILE.IT DEL 1/2/2012 (1° febbraio 2012)
ENRICO PIOVESANA
La Camera dei depurati ha approvato questa mattina, con 415 voti favorevoli, il decreto di rifinanziamento annuale delle missioni militari internazionali, compresa la missione di guerra in Afghanistan (solo per quest’ultima 780 milioni, più di 2 milioni di euro al giorno).
I voti contrari sono stati 72: tutti i deputati presenti dell’Italia dei Valori e della Lega Nord, Enrico Gasbarra e Gero Grassi del Partito Democratico, Giancarlo Lehner e Domenico Scilipoti di Popolo e Territorio, Elio Belcastro, Giuseppe Giulietti e Roberto Nicco del gruppo misto.
Undici gli astenuti: i sei deputati radicali del gruppo Pd, due del Südtiroler Volkspartei, Mauro Pili del Pdl, Savino Pezzotta dell’Udc e Maurizio Grassano di Popolo e Territorio.
Nel corso della discussione in aula non c’è stata alcuna discussione sulla clamorosa decisione del governo di autorizzare, senza il parere del Parlamento, bombardamenti aerei in Afghanistan da parte della nostra aviazione. Un ordine del giorno presentato dai deputati radicali del Pd, che impegnava il governo “a rimettere al Parlamento la decisione sull’uso di ordigni bellici a caduta libera o guidata (GBU-39 Small Diameter Bomb o similari) da parte dei velivoli dell’Aeronautica militare italiana impiegati in Afghanistan”, è stato infatti respinto quasi all’unanimità.
“E’ paradossale – ha dichiarato a E online l’on. Maurizio Turco, radicale Pd – che i membri del Parlamento rifiutino di tutelare il loro diritto di esprimersi su una questione di primaria importanza come la decisione sui bombardamenti aerei in Afghanistan, presa dal ministro della Difesa Di Paola senza alcun pronunciamento parlamentare. Dovremo arrivare a rimpiangere la correttezza di La Russa, che questa stessa proposta la volle sottoporre al Parlamento? Vogliamo o no riflettere su quale senso abbia mettersi a bombardare proprio mentre la Nato pensa al ritiro e tratta con i talebani?”.
“La posizione del ministro Di Paola non è in sintonia con il Paese né con il Parlamento”, ha dichiarato l’on. Augusto Di Stanislao a E online. “Una simile decisione va al di là di ogni sua prerogativa, poiché non rientra nella sua disponibilità modificare i caveat e le regole d’ingaggio decise in passato dal Parlamento senza chiedere un nuovo pronunciamento del massimo organo rappresentativo della sovranità popolare”.
TRA I COMMENTI A QUESTO ARTICOLO:
LUCIANA: Mi pare che di submunizioni per cluster bomb -grazie a Dio- oggi almeno non ne costruiamo più (sono correttamente informata?).
In questo momento si spinge molto sulla riduzione/annullamento del programma di acquisto degli F35, facendone una questione sia costituzionale (sono caccia di “attacco” – vedi Art.11), sia -e mi sembra la voce prevalente- economica. Da come è andata la vicenda “rifinanziamento,etc.” di cui sopra, mi convinco sempre di più che si debba porre un fortissimo accento sulla questione morale che riguarda il ricorso della guerra, per qualsiasi motivo.
E’ assolutamente urgente farsi venire qualche idea.
ANONIMO: Mi sembra che qui ci sia un po’ di confusione.
Dare dei bigotti ai leghisti è indice di ignoranza, dato che a favore della legge non sono stati solo loro, ma anche Pd e centro che hanno dato voto favorevole in modo compatto -tranne due senatori radicali-, mentre gli unici contrari sono stati quelli di Italia dei Valori.
E la manovra non è affatto indice, come potrebbe pensare chiunque non si faccia qualche domanda, di bigottismo guerrafondaio ma rappresenta anzi il sistema italiano, cioè quello del clientelismo.
La guerra produce posti di lavoro, soprattutto nell’esercito che da un po’ di tempo, diciamocelo, ha perso il senso della sua esistenza ed è diventato un parcheggio di posti di lavoro per ufficiali, sottoufficiali, impiegati eccetera. Forse al suo interno ci sono ancora persone che ci credono, persone che hanno fatto la guerra convinte di fare qualcosa di buono, ma sono la minoranza.
Mi sembra anche inutile proporre un’azione dello stato contro aziende come la Beretta -che sebbene dal lato delle armi da guerra sia ovviamente esecrabile, dal punto di vista delle armi sportive è un’industria di cui essere orgogliosi e che, soprattutto, produce VERI posti di lavoro- quando ci sarebbe da proporre provvedimenti ben più efficaci come quello di impedire che i nostri soldi vengano usati per comprare cacciabombardieri.
FCORAZ: Caro Andrea, il PD vota ininterrottamente a favore delle missioni internazionali di guerra da quando si chiamava PDS (1991). Questo partito, aldilà della sua retorica politica di contrapposizione a berlusconismo e leghismo, pensa che la parola PACE sia solo una scritta da apporre sulle bandiere che sventolano nelle proprie manifestazioni di piazza oppure una decorazione per magliette.
DA WWW.EILMENSILE.IT DEL 31/1/2012 (31 GENNAIO 2012)
ENRICO PIOVESANA
E’ in corso nell’aula di Montecitorio l’esame del decreto di rifinanziamento delle missioni militari all’estero per l’anno 2012. Tra queste anche la missione in Afghanistan: una spesa di 780 milioni, più di 2 milioni di euro al giorno.
A ‘riscaldare’ il dibattito, solitamente rituale, sulla missione di guerra in Afghanistan interviene quest’anno la questioni sollevata dal ministro ‘tecnico’ della Difesa, Giampaolo Di Paola: la sua decisione di consentire ai nostri caccia di effettuare bombardamenti.
La volontà del governo di rimuovere d’autorità i ‘caveat’ che finora impedivano ai nostri caccia di usare le bombe, senza passare per l’approvazione del Parlamento, ha creato nervosismo in settori del Partito democratico, nei Radicali del Pd e nell’Italia dei Valori.
Secondo fonti parlamentari di E online sono prevedibili, da parte di queste forze politiche, iniziative formali – mozioni, interrogazioni e ordini del giorno – volte a chiedere conto al governo Monti di questa decisione, sollecitando il rispetto del ruolo del Parlamento e quindi un dibattito in aula.
Nei giorni scorsi il ministro Di Paola, che finora si è limitato a “informare” le commissioni Difesa ed Esteri di una decisione già presa, ha fatto capire chiaramente di non ritenere necessario l’avallo parlamentare a una così significativa modifica delle regole d’ingaggio della nostra aviazione militare in Afghanistan.
“Abbiamo il dovere, oltre che il diritto, di difendere i nostri uomini, i nostri amici afgani e i nostri alleati”, ha dichiarato Di Paola, aggiungendo che “in Parlamento c’è stato un forte sostegno alla necessità di proteggere i nostri militari. Quindi questa decisione è solo una conseguenza logica di questo sostegno”.
Nell’ottobre 2010 l’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa riconobbe la necessità di un pronunciamento parlamentare, che poi nemmeno vi fu per l’esplicita opposizione in blocco del Pd (oggi non altrettanto scontata).
In quei giorni, il predecessore di La Russa alla Difesa, Arturo Parisi (Pd) disse che autorizzare bombardamenti aerei italiani in Afghanistan “apre la prospettiva del mutamento della natura della nostra missione, e questo può essere deciso solo dal Parlamento. Partecipare al pari degli altri a quella che gli altri definiscono ‘guerra’ equivale a riconoscere di fare o partecipare ad una guerra”.
“Ma la nostra Costituzione – ricordava Parisi – a differenza di quella di molti nostri alleati, non consente la guerra se non entro limiti estremi e precisissimi. E’ possibile continuare a partecipare a quella che altri definiscono guerra, alla sola condizione di farlo ma non dirlo? Non è una questione tecnica da lasciare sulle spalle dei militari. La domanda apparentemente tecnica che il Ministro della Difesa affida al Parlamento necessita di una risposta politica pienamente consapevole del suo rilievo storico”.
Fare la guerra, in violazione all’articolo 11 della nostra Costituzione, non era questione ‘tecnica’ nel 2010 per le opposizioni a Berlusconi. Lo diventerà oggi che i ‘tecnici’ di Monti sono al governo senza nessuna opposizione?
DA WWW.EILMENSILE.IT DEL 28/1/2012 (28 GENNAIO 2012)
ENRICO PIOVESANA
Il governo ‘tecnico’ di Mario Monti si dimostra ogni giorno di più ‘politico’, perfino su questioni di supremo significato politico come la partecipazione del nostro Paese a una guerra, in violazione all’articolo 11 della Costituzione.
Proprio mentre la Nato in Afghanistan riduce il ricorso ai bombardamenti aerei nel quadro di un graduale disimpegno militare diretto in vista del ritiro nel 2014, il ministro ‘tecnico’ della Difesa Giampaolo Di Paola annuncia a sorpresa di voler rimuovere completamente quei ‘caveat’, mantenuti perfino dal guerrafondaio La Russa, che finora hanno impedito ai nostri aerei di bombardare.
Ieri, nel corso di un’audizione di fronte alla commissione Difesa in seduta congiunta Camera e Senato, Di Paola ha dichiarato che in Afghanistan intende “usare ogni possibilità degli assetti presenti in teatro, senza limitazione”, consentendo anche ai nostri aerei di condurre bombardamenti “se sarà necessario”.
Nella base italiana di Herat sono schierati quattro aerei Amx Ghinli che finora, come i precedenti Tornado Ids, hanno sempre svolto soltanto missioni di ricognizione, senza bombe sotto le ali. Finora, in caso di necessità di ‘supporto aereo’ in soccorso a truppe a terra in difficoltà, sono sempre intervenuti i nostri elicotteri Mangusta A-129 con i loro missili Tow e i loro micidiali cannoni rotanti da 500 colpi al minuto.
Consentire ai nostri caccia militari schierati in Afghanistan di colpire missioni di bombardamento su obiettivi individuati dai comandi Nato, con ciò che ne consegue in termini di ‘danni collaterali’, rappresenta un salto di qualità di enorme significato politico, che non può certo essere deciso d’autorità del governo, senza passare per un voto in parlamento.
“I caveat c’erano e ci sono ancora: ogni cambiamento deve essere deciso in modo formale, davanti alle Camere, e non notificato durante un’audizione”, ha dichiarato a La Repubblica Gian Piero Scanu, capogruppo Pd nella commissione Difesa del Senato. “Non è compito del governo imporre un modello di difesa, tanto più quando sul tema è prevista l’istituzione urgente di un commissione bilaterale che darà le sue valutazioni alle Camere in sei mesi”.
COMMENTI A QUESTO ARTICOLO
PAOLO: Era l’ora… non ha senso privare i soldati italiani di tutti i mezzi che hanno a disposizione solo perché potenzialmente potrebbero nuocere a civili. Come dice l’articolo: -consentendo anche ai nostri aerei di condurre bombardamenti “se sarà necessario”-. In primo luogo già si usano i bombardamenti aerei… se gli italiani ne hanno bisogno basta un fischio agli americani… In secondo luogo sono professionisti e sanno quando è veramente necessario, e poi, necessario, non lo è stato per tutti questi anni, non si capisce perché lo diventi ora, è più una rassicurazione che una vera esigenza, bravo Di Paola.
CECILIA: Sai, Paolo, io toglierei il “potenzialmente”. da quel che ho visto in questi anni in Afghanistan, lo schema classico – e non potrebbe essere altrimenti, visto che non ci sono ‘postazioni nemiche’ come nella seconda guerrea mondiale, ma combattenti nemici disseminati sul territorio – è ‘veniamo attaccati da uno o piú individui armati, chiamiamo il supporto aereo ravvicinato, quelli arrivano quando i combattenti sono presumibilmente già scappati (ché non stanno lí fermi ad aspettare i rinforzi..) e bombardano chi è rimasto’. Chi rimane, tendenzialmente, è chi lí ci abita. Ho visto veramente troppi civili bruciati nei loro letti, di notte, quando i villaggi vanno a fuoco dopo un ‘supporto aereo ravvicinato’. O contadini nei campi, o passanti, eccetera. Nella mia esperienza, la principale vittima dei bombardamenti sono i civili, e la Coalizione non ha modo di provare il contrario, visto che – per loro stessa ammissione – dopo un’operazione cosí non possono (“ovvii motivi di sicurezza!”) andare sul terreno e fare la conta di quanti nemici, quanti combattenti, quanti civili sono morti. In compenso, per ogni civile che viene ammazzato c’è un parente (o piú) sopravvissuto che prende in considerazione di imbracciare le armi. Cosí pare.
Su una cosa, se ho ben capito il tuo commento, sono del tutto d’accordo con te: da un punto di vista della sostanza, tra bombardare in proprio o far parte di una coalizione che bombarda non c’è gran differenza, al di là dei formalismi e delle ipocrisie. Tuttavia, pensare che i soldi delle mie tasse vengano impiegati per mettere bombe sugli aerei italiani mi fa comunque rabbrividire e infuriare, visto che il mio Paese ripudia la guerra. E, ma questa è solo un’ipotesi, che il contingente italiano cominci a bombardare in proprio potrebbe fare cadere gli ultimi residui della – presunta e rivendicata dai nostri passati governi – percezione da parte della popolazione afgana che “i soldati italiani sono comunque diversi, piú umani e apprezzati”. Il che potrebbe significare un aumento del rischio per loro, non una protezione. Ma questa è solo una possibilità. La certezza è che piú bombardamenti uguale piú vittime civili. Io la vedo cosí.