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 2012  marzo 23 Venerdì calendario

“Intollerante al menù del carcere”: scarcerato - In carcere, a Sulmona, si mangiano troppe fave

“Intollerante al menù del carcere”: scarcerato - In carcere, a Sulmona, si mangiano troppe fave. E anche troppi piselli. Li propongono con la pasta. Col riso. Persino con le seppie. Poi c’è il minestrone. E infine ancora le fave. Può un detenuto che soffre di favismo, una malattia molto grave, stare in un carcere del genere? No, non può, ha stabilito il tribunale di sorveglianza dell’Aquila. Che ha concesso il differimento della pena a Michele Aiello, ingegnere e imprenditore sanitario, da alcuni giorni tornato a casa sua, a Bagheria, a trascorrere un anno, dei 15 e mezzo che deve scontare, in detenzione domiciliare. Aiello è il regista della rete delle talpe che attingevano notizie in Procura e le fornivano a boss latitanti del calibro di Bernardo Provenzano, al quale l’imprenditore è considerato molto vicino. È stato condannato per associazione mafiosa, corruzione e una sfilza di altri reati. Il suo patrimonio da 800 milioni è stato confiscato. Nello stesso processo, denominato «Talpe in Procura», è stato condannato anche l’ex presidente della Regione Sicilia, Totò Cuffaro, che da 14 mesi sconta in cella, a Rebibbia, una pena di sette anni. Per quanto la malattia di cui soffre l’ex detenuto sia molto seria e grave, il retroscena della sua scarcerazione è grottesco: «Negli elaborati - scrive il tribunale, presieduto da Laura Longo - si evidenzia che il vitto del carcere non ha consentito un’alimentazione adeguata del detenuto, risultando dal diario nutrizionale la presenza di alimenti potenzialmente scatenanti una crisi emolitica e assolutamente proibiti». Perché sono tutti a base di piselli e fave. Ed evidentemente non c’è alternativa. A giudizio dei periti che hanno visitato l’imprenditore, «tale alimentazione impropria, riproposta anche giornalmente, ha indotto il detenuto a "digiuni ripetuti e spesso consecutivi", che hanno cagionato lo "scadimento delle condizioni generali... e il successivo dimagrimento, con calo di circa 10 chili». Gli esperti, Antonello Colangeli e Brigida Galletti, sono concordi nel ritenere «la prosecuzione dello stato detentivo nocumentosa» e anche nell’affermare che «i problemi più gravi per il detenuto scaturiscono dal favismo». Da qui la considerazione dei giudici, che ritengono che dalla perizia «sia emerso un quadro complesso e grave, che espone il soggetto a serio e concreto rischio di vita o a irreversibile peggioramento delle già scadute condizioni fisiche». Però, riflettono a Palermo i magistrati che hanno seguito il processo «Talpe», è impensabile che nel penitenziario abruzzese si mangi solo a base di fave e piselli. E che in tutta Italia non ci sia un istituto di pena in grado di assicurare menu alternativi. L’ordinamento penitenziario prevede «un’alimentazione sana e sufficiente, adeguata all’età, al sesso, allo stato di salute, al lavoro, alla stagione, al clima». Ci sono ad esempio i diabetici, gli ipertesi, anche gli islamici, che non mangiano carne di maiale e non bevono vino. Però, a pensarci bene, possono mangiare tutti fave e piselli.