Benedetto Croce e Giovanni Laterza, Carteggio 1901-1910, a cura di Antonella Pompilio, Laterza 2004, 24 marzo 2012
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CROCE E LATERZA
Il primo incontro tra Croce, allora trentacinquenne, e il ventottenne Giovanni Laterza10 avvenne in casa di Croce, il 6 dicembre 1901, su consiglio del matematico e fisico putignanese Luigi Pinto, professore a Napoli – unica sede universitaria nel Mezzogiorno peninsulare agli inizi del Novecento –, al quale Laterza si era rivolto, in cerca di consigli e suggerimenti, con una lettera del 7 maggio 1901, pochi giorni prima della diffusione di una circolare d’annuncio del volumetto che inaugurava la “Piccola biblioteca di cultura moderna”11. Dopo aver tracciato una breve cronistoria delle origini della casa editrice12, avviandosi alla conclusione, Laterza scrive:
«Ho abusato della bontà a me notissima della S.V. e ne abuso ancora pregandola di dirmi quali difetti trova nelle nostre edizioni e se mi incoraggia a continuare la strada da me intrapresa all’unico scopo di ingrandire il nostro nome adoperandoci a concorrere per creare qui in Bari un vero centro di cultura e facendoci editori di opere che veramente servano al miglioramento della cultura in generale. [...] In più io mi auguro che la S.V. varrà più di tutti perché è grande e buona, perché è di questo paese e ci conosce per aiutarci a far prosperare questa nostra nascente Casa editrice raccomandandoci e presentandoci a quegli autori di sua conoscenza già noti all’Italia, le cui opere sono ricercate».
Luigi Pinto rispose gentilmente assicurando il proprio appoggio e suggerì a Laterza di recarsi personalmente a Napoli per visitare tre personaggi che avevano già fama di scrittori illustri: Francesco Saverio Nitri, Giovanni Bovio e Benedetto Croce13. Il colloquio con Croce si rivelò determinante: egli tenne a Laterza – ricorda Luigi Russo – «un discorso realistico e un po’ brusco da proprietario terriero che scende a trattare con un novello fattore che gli offre improntamente l’opera sua», gli propose di pubblicare la traduzione, della quale si sarebbe occupato suo fratello Alfonso, del volume di Bolton King e Thomas Okey, Italy today14, appena uscito in Inghilterra, «e accomiatò, senza troppi complimenti, l’editore novizio. [...] Il Laterza se ne tornò a Bari, sicuro di aver combinato qualche cosa di grosso, di avere in mano l’uomo che poteva dargli una regola per una grande casa editrice originale e moderna, e in quel corno della penisola dove mancava ogni grande tradizione tipografica ed editoriale»15.
Laterza decise così di affidarsi alla sapienza ed alla saggezza di Croce, sebbene – sottolinea Tullio Gregory – questi rappresentasse allora, nonostante il suo nome circolasse con sempre maggiore insistenza negli ambienti intellettuali dell’epoca,
«un orientamento di pensiero nient’affatto alla moda, anzi in aperta polemica con la cultura ufficiale, accademica ed extra-accademica, né godeva ancora di quel prestigio e di quella influenza che si guadagnerà negli anni seguenti: scegliere il Croce per il giovane editore era fin d’allora assumere una posizione non conformista, optare fin dagli inizi per una fisionomia ben definita16».
D’altra parte, Croce stesso compì un atto dettato dall’immediata fiducia che lo sconosciuto «editore novizio» gli ispirò. Egli, come è noto, si era avvalso, in precedenza, oltre che della tipografia tranese di Valdemaro Vecchi, editore della «Rassegna pugliese di scienze, lettere ed arti», nella quale pubblicava i numerosissimi suoi articoli, di editori come Ricciardi, Loescher e Sandron, e di tipografi-editori napoletani: Morano, Pierro, Giannini. L’ambiente dal quale proveniva Laterza quella «Puglia ricca di pastori ma anche di uomini letterati, Bovio a Trani, Vito Fornari e Gaetano Salvemini a Molfetta per citare soltanto i nomi più illustri, e poi tutto il leccese, la Toscana delle Puglie, e la penisola salentina, zone ricche di strani e inespressi fermenti letterari, che dovevano pur farsi strada nella civiltà nazionale anche nel campo dell’editoria!»17 – era tra i meno favorevoli al successo di un’iniziativa editoriale di ampio respiro: alla progressiva espansione dal punto di vista demografico, urbanistico e commerciale, che investiva soprattutto la città di Bari, si opponeva il divario, per quanto riguardava l’attività di diffusione della cultura, rispetto alle città dell’area centro-settentrionale. Scrive infatti Laterza a Francesco Saverio Nitri, il 9 dicembre 1901, pochi giorni dopo rincontro avvenuto a Napoli:
«Io sento il dovere di ringraziare la S.V. per i saggi consigli che ebbe la bontà di darmi il giorno sei, quando venni a pregarla di cooperare per la nascente casa editrice nostra, che s’inizia in un ambiente in cui resterebbe certo sterile senza una gran forza di volontà e senza la protezione dei nostri illustri scienziati18».
L’argomento riaffiorerà ancora, negli anni a venire, come attesta, tra le altre, una lettera del gennaio 1903 indirizzata dall’editore a Cesare Lombroso, nella quale esprime «il grande desiderio che abbiamo di creare in questa nostra regione, anche a costo di sacrificio, una Casa editrice che, pur lottando con l’apatia e l’atonia che qui regna, riesca a distinguersi»19. E nel dicembre dello stesso anno Croce trasmette a Laterza un messaggio ricevuto da Giovanni Papini:
«Consigli il Laterza a mandare i suoi libri al Leon[ardo] e al Regno, perché ne parleremo sempre, ed io ho simpatia per quel coraggioso uomo che pubblica dei libri di cultura in un paese così poco colto come il suo (31 dic. 1903)».
In un’altra lettera, datata 28 maggio 1909, Laterza confida a Croce:
«Io La ringrazio della cura che Ella ha di accaparrarmi buoni lavori, perché se dovessi fare la scelta della merce che mi viene offerta qui, Le dico francamente che mi verrebbe la voglia di piantar tutto e cambiar mestiere!».
Laterza avvertì dunque ben presto gli effetti del vuoto che lo circondava e le conseguenti difficoltà dell’impresa. Ben cosciente delle proprie forze e dei propri limiti, seguiva con interesse le vicende degli editori che prosperavano in alta Italia, con i quali era in continui rapporti per via della libreria. Particolare ammirazione suscitava in lui la figura dell’editore ottocentesco Gaspero Barbèra, di cui conosceva bene la storia e al quale avrebbe voluto assomigliare. Ma la differenza tra Firenze e Bari era troppo grande! In una lettera del 27 gennaio 1914 confidava in proposito all’amico Fausto Nicolini:
«Io ora sto leggendo il preziosissimo libro Le lettere di un editore20, perché sull’esempio di quest’editore io basai i miei primi passi, con la differenza che Putignano non è Torino e Bari non è Firenze.
Anch’io avevo ventitré anni come lui quando insistetti coi miei che la libreria poteva dare maggior incremento al nostro cammino. Il mettermi poi in grado di corrispondere alle esigenze del pubblico della libreria, fosse pure di Bari, mi costò fatica, e tanto più mi animava il pensiero di andare avanti con coraggio quanto più era la sfiducia ed il poco riguardo di quelli che ora mi sono colleghi e mi onorano domandando con insistenza le mie novità librarie».
Note:
10 Nato a Putignano, in provincia di Bari, il 27 aprile 1873.
11 A.G. Amatucci, II pensiero di E. Ibsen, lettura fatta al Comitato molfettese della Società Dante Alighieri il 25 marzo 1901, Bari, Laterza, 1901.
12 «Dopo aver preso moglie a Milano mi ritirai qui in Bari e vedendo i fratelli tutti riuniti ancora sotto il tetto paterno, dediti, con cure amorose, a migliorare le sorti di una piccola azienda di cartoleria a cui andavano aggiungendo una tipografia, mi vidi tra loro poco adatto a simili cure, forse perché vissuto in grandi centri esse mi parevano quasi umilianti. Dopo non breve lotta sostenuta contro gli stessi miei sentimenti, pregai la famiglia di dar campo anche a me e di introdurre nell’azienda un altro ramo cioè la libreria, della quale dovevo curare io l’esercizio. Fui accontentato con paterna benevolenza. Così dediti ognuno al suo ramo, miriamo tutti ad uno scopo cioè alla prosperità della nostra Casa. Siamo cinque fratelli, il primo che è più assennato e fondatore di questa ancor piccola azienda, è dedito all’amministrazione, il secondo alla cartoleria, io alla libreria che da poco vo facendo editrice; il quarto alla tipografia che occupa già venticinque operai e l’ultimo è addetto ai magazzini di carta per la vendita all’ingrosso. Il primo ha trentadue anni e l’ultimo ventuno» (AL, Rc, reg. 1). Pur essendo stata fondata da Giovanni, la casa editrice conservò l’intestazione «Giuseppe Laterza & figli», adottata allorché il fratello maggiore Vito, ancora minorenne, aprì a Putignano, nel 1885, un piccolo negozio di cartoleria. Si trattò anche, certamente, di un affettuoso omaggio filiale alla figura paterna.
13 Dei tre colloqui resta traccia nella gustosa rievocazione di L. Russo, Ricordo di Giovanni Laterza, «Belfagor», II (1947), 5, pp. 602-3.
14 B. King-T. Okey, Italy today, London,J. Nisbet & Co., 1901.
15 L. Russo, Ricordo, cit., pp. 602-3.
16 T. Gregory, Per i sessant’anni, rit., p. 701.
17 L. Russo, Ricordo, cit., p. 603.
18 AL, Aa, b. 1
19 AL, Rc, reg. 3.
20 Lettere di Gaspero Barbèra, tipografo editore, 1841-1879, prefaz. di A. D’Ancona, Firenze, G. Barbèra, 1914.