Varie, 26 marzo 2012
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 26 MARZO 2012
«Il sindacato è come un pugile che sta per finire Ko: ha preso un primo colpo da Marchionne, stava per rialzarsi e ne ha preso un altro da Monti proprio sui pensionati che sono la sua base di iscritti. Ora rischia un altro gancio sulla riforma del lavoro». Giuseppe Berta, docente di Storia e direttore del centro EntEr sull’imprenditorialità alla Bocconi. «Sia l’ad Fiat che il premier presentano il conto dei cambiamenti: il primo li declina secondo le nuove regole aziendali di un mercato globalizzato; Monti, invece, secondo le crisi finanziarie degli Stati e dell’euro. O il sindacato si rinnova o c’è il declino come è accaduto in Francia». [1]
Con la concertazione nata negli anni ’90 i sindacati avevano la titolarità “politica” di rappresentare interessi generali partecipando alle scelte, il governo otteneva moderazione salariale e controllo dell’inflazione. Nell’Italia di Monti vige un altro metodo. Lina Palmerini: «Con grande nettezza, ha negato ai sindacati la rappresentanza degli interessi generali e rivendicato al governo la titolarità di decidere sulle pensioni. Uno shock per Cgil, Cisl e Uil che sulla previdenza hanno sempre trattato e imposto anche un potere di veto ai governi. E tanto più il premier ha rafforzato questo concetto quando ha aggiunto di voler discutere con i sindacati solo materie di loro stretta pertinenza come la riforma del mercato del lavoro». [1]
La Cgil ha, secondo i dati del “tesseramento 2011”, 5.775.962 iscritti: 2.650.528 attivi, 2.997.404 pensionati, 37.472 disoccupati. Tra gli attivi i più numerosi sono quelli della Funzione Pubblica, 411.924, poi Filcams (commercio) 399.819, Fillea (edili) 359.120, Fiom (metalmeccanici) 358.722, Flai (agricoltura e industria alimentare) 281.912, Filctem (chimica, tessile, energia, manifatture) 233.900, Flc (scuola, ricerca, università) 201.918. [2] La Cisl ha 4.485.383 iscritti: 2.300.654 attivi, 2.123.405 pensionati, 59.324 “speciali”. Anche qui tra gli attivi comanda la Funzione pubblica con 324.327. [3] La Uil ha 2.196.442 iscritti di cui 1.328.583 attivi, 575.266 pensionati, 339.551 dipendenti pubblici. [4]
Nel maggio dello scorso anno, Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, avviò un discorso sulla «certificazione degli iscritti». Enrico Marro: «Si tratterebbe di ripartire dall’intesa del 2008 tra Cgil, Cisl e Uil che prevedeva appunto un metodo certo di verifica degli iscritti nel settore privato (nel pubblico c’è l’Aran che ha questo compito per legge) attraverso la trasmissione dei dati da parte delle imprese (che effettuano la trattenuta sindacale) all’Inps e quindi al Cnel. La certificazione dei “dati veri” , come ha detto Bonanni, sarebbe il primo passo per costruire le regole sulla titolarità a stipulare i contratti in caso di contrasto fra i sindacati». [5] A giugno i sindacati hanno sottoscritto un accordo per certificare gli iscritti nel privato che è rimasto lettera morta. [6]
Secondo la confederazione autonoma Confsal, tra le categorie più rappresentate dai sindacati ci sono i fantasmi. Enrico Marro: «Ha presentato un dossier che mette a fuoco un problema reale, quello delle tessere gonfiate. Per rendersene conto bastano pochi numeri. Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Confsal, ai quali aggiungiamo Cisal e Usb non dettagliati nel dossier, dichiarano complessivamente circa 11 milioni di iscritti tra i lavoratori attivi, e resta fuori pure qualche sigla minore. Bene, i lavoratori dipendenti in Italia sono 17 milioni (che scendono a 15 togliendo quelli a tempo determinato). Se fossero veri i dati dichiarati, il 65% dovrebbe avere una tessera sindacale. Possibile?». [6]
Nel settore privato ciascuno può dichiarare quello che vuole e nessuno controlla. Marro: «Non è così nel pubblico impiego e per i pensionati. Nel primo caso l’Aran (agenzia governativa) certifica gli iscritti attraverso le deleghe alle trattenute sindacali in busta paga. Per i pensionati la stessa cosa fa l’Inps. La Confsal confrontando i dati dichiarati dai principali sindacati sui pensionati e le deleghe all’Inps e agli altri enti ha appunto scoperto che complessivamente ci sarebbero 1,2 milioni di iscritti in meno». Secondo Confsal, il problema riguarderebbe Cgil, Cisl e Uil solo per il 15%, mentre l’Ugl tessererebbe un fantasma su due gonfiando gli iscritti da 63.000 a 643.000. Il segretario Giovanni Centrella: «Non consento a nessuno di infangare l’Ugl». [6]
Fantasmi a parte, con la concertazione le confederazioni si sono assunte il ruolo di trovare una sintesi tra interessi generali. Sergio Chiamparino, ex sindaco di Torino: «Ma questo non è un compito loro. La titolarità è della politica». [1] Susanna Camusso, segretario della Cgil, vuole/vorrebbe/voleva fare del sindacato un interlocutore essenziale del governo. Eugenio Scalfari: «L’emergenza economica impone al governo gravissimi compiti che producono una diffusa impopolarità e crescenti resistenze. In questa situazione un sindacato forte è l’interlocutore indispensabile a condizione che sia capace di darsi un programma nazionale che anteponga l’interesse generale del Paese al “particulare” delle singole categorie». [7]
La Cgil (la Cisl, la Uil) vorrebbe un’agenda scritta non dal governo ma dai sindacati. Scalfari: «Questa richiesta presuppone una forza che in questa situazione il sindacato non ha. Forse l’avrebbe se la crisi riguardasse soltanto l’Italia, ma riguarda il mondo intero, riguarda l’Europa e in generale i paesi di antica opulenza che sono costretti a confrontare i loro costi di produzione con quelli infinitamente più bassi dei Paesi di nuova ricchezza, i diritti sindacali con quelli di fatto inesistenti dei Paesi poveri, i diritti di cittadinanza con quelli anch’essi inesistenti dell’immensa platea dei migranti. Ecco perché l’agenda dei problemi, delle domande, delle richieste, non può essere scritta né dai sindacati né dai governi: è scritta dall’emergenza e dalla necessità di farvi fronte». [7]
Negli ultimi giorni il dibattito si è concentrato sulla riforma dell’art. 18 e sui cosiddetti “licenziamenti facili”. Contrari Cgil e Uil, favorevole la Cisl (almeno in un primo tempo, poi più cauta). Roberto Mania: «Molto di più che un classico scontro tra governo e confederazioni. È un passaggio che può segnare la storia di Cgil, Cisl e Uil». [8] Il 12 dicembre (riforma delle pensioni), dopo sei anni di polemiche e accordi separati, accuse reciproche, assalti alle sedi delle altre organizzazioni, Cgil, Cisl e Uil avevano deciso il primo sciopero unitario dal 25 novembre 2005. Che l’unità fosse fragile, l’aveva ammesso la stessa Camusso: «Dire che si possono cancellare gli anni di divisioni del recente passato è molto complicato». [9]
Bonanni, più volte silenzioso, in questi giorni ha invitato i colleghi a discutere nel merito senza pregiudizi, perché comunque il governo non si fermerà (dialogo tra sordi), poi ha dato «la colpa alla Cgil, alla sua competizione con il Pd» (Mania). [8] Oltre che col Pd, la Cgil è in competizione con la Fiom, la cui linea è cambiata da quando, il 1° giugno 2010, è stato eletto segretario Maurizio Landini. Giampaolo Pansa: «Siamo di fronte a un sindacato di categoria che radicalizza i propri obiettivi generali. Sino a far pensare che il suo destino sia diventare un partito». [10] Il problema non riguarda più solo la Cgil. Paolo Griseri: «Ci sono fabbriche in cui Fim e Uilm scioperano con la Fiom, una bestemmia fino a ieri». [11]
«La flessibilità è entrata nel mondo dei giovani: ogni famiglia lo sa e non lo perdona al sindacato», dicono i critici del sindacato (Berta). [1] Camusso: «Senza investimenti, si è scelto di produrre precarietà, traducendo l’idea di flessibilità invece che nella ricerca di maggior qualità del lavoro, di accrescimento professionale dei lavoratori, in quella precarietà che ha trasferito su lavoratori e lavoratrici le conseguenze alla via bassa dello sviluppo. In sintesi: lo spostamento sui lavoratori dei rischi del fare impresa». [12] In Italia esiste però anche un «mondo collaborativo ed efficiente»: è il caso, ad esempio, di Luxottica, « non a caso una delle nostre aziende di maggior successo nel mondo» (Claudio Borghi). [13]
A gennaio i 600 lavoratori del Centro distributivo di Sedico (Belluno, arrivano tutti gli occhiali prodotti nei 6 stabilimenti italiani) hanno accettato senza un minuto di sciopero un accordo che prevede l’ingresso in fabbrica alle 5 del mattino. Dario Di Vico: «La Luxottica aveva la necessità di aumentare la produttività di Sedico facendo girare gli impianti non più solo dalle 8 alle 17 ma dalle 5 del mattino alle 20. Con l’ok dei sindacati confederali si è deciso di iniziare una consultazione tra i lavoratori. Sono state così avviate due sessioni di workshop (anche il lessico sindacale cambia!) per coinvolgerli e raccogliere indicazioni sugli orari e le esigenze personali». [14]
Accettando il percorso proposto da Luxottica, i sindacati di categoria hanno dimostrato pragmatismo e maturità. Di Vico: «Hanno scelto un metodo che porta alla consultazione preventiva dei lavoratori, alla costruzione di una soluzione condivisa dentro uno schema di collaborazione tra azienda e sindacato che può far invidia all’osannato modello tedesco. È vero che alla fine è stato stipulato un accordo tradizionale ma il percorso è stato innovativo e costituisce un precedente di grande valore. Il sindacato avrebbe potuto rivendicare i suoi diritti di primogenitura organizzativa, negoziare “da solo” e invece ha capito che la consultazione preventiva avrebbe comunque rafforzato il suo radicamento e il clima di fabbrica». [14]
Note: [1] Lina Palmerini, Il Sole 24 Ore 14/12/2011; [2] cgil.it; [3] cisl.it; [4] uil.it; [5] Enrico Marro, Corriere della Sera 3/5/2011; [6] Enrico Marro, Corriere della Sera 23/2; [7] Eugenio Scalfari, la Repubblica 29/1; [8] Roberto Mania, la Repubblica 18/3; [9] Paolo Griseri, la Repubblica 8/12/2011; [10] Giampaolo Pansa, Libero 11/3; [11] Paolo Griseri, la Repubblica 24/3; [12] Susanna Camusso, la Repubblica 30/1; [13] Claudio Borghi, Il Giornale 16/1; [14] Dario Di Vico, Corriere della Sera 15/1.