Enrico Marro, Corriere della Sera 23/03/2012, 23 marzo 2012
LA GRANDE SVOLTA DEL LAVORO FLESSIBILE
La riforma del mercato del lavoro Monti-Fornero segna una svolta nel metodo e nei contenuti (se positiva o meno lo diranno i fatti). Nel metodo perché sancisce la fine della concertazione, che dall’inizio degli anni Novanta ha attribuito ai sindacati un potere di codecisione sulle questioni di politica del lavoro e del welfare. Nei contenuti perché abbatte il totem dell’articolo 18, la norma dello Statuto dei lavoratori del 1970 che garantisce il diritto al reintegro nel posto di lavoro a chi viene licenziato senza giusta causa o giustificato motivo nelle aziende con più di 15 dipendenti.
Una tutela assoluta sancita nella legge al termine dell’«autunno caldo» del 1969, una stagione di lotte sindacali per l’affermazione dei diritti e il miglioramento delle condizioni dei lavoratori in un’Italia profondamente diversa, trainata dal lavoro nelle grandi fabbriche, sia private sia delle partecipazioni statali, in un mondo non globalizzato.
Fin dagli anni Ottanta gli studiosi si sono interrogati sui problemi creati dall’articolo 18. Nel quale, per esempio, si è vista una delle cause del nanismo delle aziende italiane e un ostacolo agli investimenti dall’estero. Ma non mancano anche le critiche di parte sindacale. Già nel 1985 il Cnel, il parlamentino delle parti sociali, approvò un documento preparato dalla Commissione Lavoro, della quale facevano parte figure storiche del sindacato come Boni, Benvenuto e Lama, dove si addebitavano all’articolo 18 «assurde disparità di trattamento», perché «contrappone un’area ristretta di lavoratori iperprotetti a un’area molto più vasta di lavoratori privi di qualunque protezione», quelli delle aziende fino a 15 dipendenti, e si affermava: «L’esperienza applicativa dell’articolo 18 dello Statuto non suggerisce un giudizio positivo sull’istituto della reintegrazione, che nei termini generali in cui è previsto nel nostro diritto non trova riscontro in alcun altro ordinamento». La commissione proponeva quindi, guardando anche allora al modello tedesco, di limitare il diritto al reintegro ai soli licenziamenti discriminatori come era previsto (si spiega nel documento)nel testo originario dello Statuto presentato dal ministro del Lavoro Giacomo Brodolini, poi modificato in Parlamento. Per gli altri licenziamenti si suggeriva invece la riassunzione o l’indennizzo a scelta del datore di lavoro. Tutte queste regole il Cnel le proponeva però per le aziende con più di 5 dipendenti.
Ma bisogna arrivare alla fine del 2001 per vedere il primo vero tentativo di riforma, quando il governo Berlusconi approva il disegno di legge delega 848. Che prevede, tra l’altro, la sospensione dell’articolo 18 (sostituzione del diritto al reintegro col risarcimento) in tre casi: per le aziende escono dal nero; per quelle che, assumendo, superano i 15 dipendenti; quando i contratti a termine vengono trasformati a tempo indeterminato. La sospensione è sperimentale per 4 anni. Contro questo provvedimento la Cgil e la sinistra ingaggiano una battaglia senza precedenti, che culmina nella manifestazione oceanica della Cgil di Sergio Cofferati al Circo Massimo il 23 marzo 2002, che indurrà il governo a stralciare gli articoli sui licenziamenti.
Ancora un governo Berlusconi, nel 2010, prova a intervenire sull’articolo 18, ma in maniera indiretta, con il collegato lavoro del ministro Sacconi che prevede la «clausola compromissoria» con cui al momento dell’assunzione azienda e lavoratore si impegnano a demandare a un arbitro, che decide secondo equità, anziché al giudice le possibili controversie, comprese quelle sui licenziamenti. Ma qui è il presidente della Repubblica Napolitano a intervenire costringendo il governo a far marcia indietro. Ma passa meno di un anno e, nella manovra di Ferragosto (dl 138 del 2011) compare l’articolo 8 che autorizza aziende e sindacati a stipulare accordi riguardanti anche le conseguenze del licenziamento (tranne quello discriminatorio) in deroga all’articolo 18. Il provvedimento viene approvato, ma il 22 settembre Confindustria, Cgil, Cisl, Uil e Ugl si impegnano formalmente a non utilizzare l’articolo 8 per quanto riguarda i licenziamenti. L’articolo 18 è salvo. Ma dura poco.
A novembre il governo Berlusconi cade. Arriva Mario Monti, che annuncia tra le sue priorità la riforma del lavoro. Il 18 dicembre, nella prima intervista da ministro del Lavoro, Elsa Fornero dice al Corriere che l’obiettivo è combattere la precarietà, allargare la rete degli ammortizzatori, ma che si discuterà anche dell’articolo 18, perché non ci possono essere «totem». Dopo 42 anni di onorato servizio la norma simbolo dello Statuto va in pensione. E muore il posto fisso.
Enrico Marro
Licenziamenti
Il licenziamento potrà avvenire per motivi economici, attinenti all’ attività produttiva e all’ organizzazione del lavoro. Possono poi esserci i licenziamenti per motivi disciplinari, e per questi il giudice potrà decidere se serve un indennizzo o il reintegro. Per il licenziamento valutato discriminatorio il giudice decide il reintegro
Indennità
La misura dell’ indennità in caso di licenziamento sarà decisa dal giudice, per una durata fra i 15 e i 27 mesi. L’ Aspi, Assicurazione sociale per l’ impiego, entrerà a regime nel 2017 rimpiazzando l’ indennità di mobilità. Dovrebbe partire dal 70% per gli stipendi fino a 1.250 euro. Il limite massimo è fissato a 1.119 euro al mese
Precari
Per i giovani precari lo strumento principale d’ inserimento diventa l’ apprendistato, ma le aziende potranno ricorrervi solo se poi assumono una parte degli apprendisti. Per il lavoro a tempo determinato ci sarà un contributo extra dell’ 1,4%, in parte recuperabile in caso di stabilizzazione. Stretta sul falso lavoro autonomo in realtà subordinato
Giudice
Il ruolo del giudice resta centrale nelle controversie di lavoro. Sarà infatti il magistrato (salvo ulteriori modifiche) a decidere sulle indennità prevista in caso di licenziamento per motivi economici. Deciderà sull’ attribuzione e sull’ entità che può andare da un minimo di 15 mesi a un massimo di 27 mesi
Termine
La riforma non elimina ma di fatto disincentiva i contratti a termine attraverso la penalizzazione dell’ 1,4% di versamenti contributivi in più. Questi in parte potranno essere rimborsati se il lavoratore viene stabilizzato. Alcuni temono che le imprese comprimano i salari netti per finanziare l’ 1,4% in più di contributi
Ammortizzatori
Resta la cassa integrazione, ma con alcune modifiche. Anche la cassa integrazione straordinaria rimane ma, dice il ministro Elsa Fornero, sarà «ripulita»: non varrà per cessazione di attività e di mobilità. In caso di cessazione di fatto dell’ attività dell’ impresa, si passa dalla Cig a mobilità e Aspi
Tutele
Fra le tutele inserite spiccano quelle a favore delle donne: viene istituito il divieto di firmare le dimissioni in bianco al momento dell’ assunzione. Si inserisce anche la paternità obbligatoria in via sperimentale per tre anni. Le tutele sui licenziamenti sono demandate al giudice: reintegro sui discriminatori o indennizzi in altri casi
Donne
Per le donne arriva una maggiore tutela in caso di maternità. La riforma infatti prevede una stretta sulle dimissioni in bianco che alcune aziende fanno firmare alle lavoratrici assunte. Una condizione illegale che di fatto rende molto rischiosa sotto il profilo lavorativo un’ eventuale maternità, che «costringe» le donne alle dimissioni