Ettore Livini, la Repubblica 24/3/2012, 24 marzo 2012
Non è andata liscia come al solito. Per la prima volta la "sala professori" si è animata di una discussione tutt´altro che accademica
Non è andata liscia come al solito. Per la prima volta la "sala professori" si è animata di una discussione tutt´altro che accademica. E nemmeno la chiusura delle porte, imposta da Monti, è servita a evitare che qualche urlo arrivasse all´esterno del Consiglio dei ministri. La riforma del lavoro accende anche gli algidi professori di Monti specie se, come nel caso di Fabrizio Barca, hanno alle spalle una storia familiare di sinistra che parte dalla Resistenza. E proprio Barca è il primo a sollevare obiezioni a Fornero, per non aver ancora preparato «un vero articolato» da sottoporre all´esame del Consiglio limitandosi a consegnare quella «bozza generica» già letta alle parti sociali. Un rilievo condiviso anche da Piero Giarda. Ma il problema è anche di merito, in particolare sull´articolo 18. Del resto era stato proprio Barca l´unico ministro a esternare in pubblico, qualche giorno fa, il suo dissenso: «Cosa fa un lavoratore per il quale è stato chiesto il licenziamento per motivi economici se invece ritiene di essere stato discriminato? Come tutelerà il proprio diritto? Penso anche ai lavoratori iscritti alla Fiom. Questa è la domanda cruciale». Barca apre un varco e ci si infilano anche altri. Andrea Riccardi, poi Renato Balduzzi. Il ministro della Salute è l´unico costituzionalista della compagnia e sono due giorni che si arrovella sulla riforma Fornero. Tra le altre cose fa notare che la riscrittura così radicale dell´articolo 18 potrebbe anche confliggere con l´articolo uno della Costituzione, quello che proclama la Repubblica «fondata sul lavoro». «Andiamoci piano», suggerisce Balduzzi. Il botta e risposta con Fornero si accende, deve intervenire Monti a difendere l´opera «equilibrata» del ministro del lavoro. Il Consiglio si divide tra falchi e colombe, qualcuno reclama ancora il decreto legge. Ma il premier spiega che no, «il decreto sarebbe politicamente una forzatura, anche il capo dello Stato ritiene migliore la strada del disegno di legge». A questo punto, vista la spaccatura, sarebbe stato Corrado Passera a suggerire un rinvio dell´approvazione della riforma a un´altra seduta, «per dare a tutti il tempo di approfondire e arrivare all´unanimità». Una versione smentita dall´interessato. E tuttavia la notizia filtra così. Tanto che Monti avrebbe dovuto agire d´imperio per superare l´impasse. «Se non riusciamo a chiudere oggi la discussione allora è meglio procedere con un voto. Ma io non posso accettare alcuna dilazione: immaginate come titolerebbero domani i giornali internazionali». Dunque la bozza Fornero viene approvata, «salvo intese». E il ministro si può sfogare rivendicando il lavoro svolto, la trattativa estenuante con le parti sociali, le nottate insonni. «Non vi immaginate quello che ho dovuto sopportare», confessa Fornero, che da due settimane è costretta a girare con dieci uomini di scorta. I colleghi applaudono, è l´unico momento in cui la tensione si scioglie. Il ministro dell´Interno, Anna Maria Cancellieri, la proclama «la nostra Giovanna d´Arco». Entrano i commessi con bevande e caffè. Ma è solo un momento, perché la battaglia si riaccende subito dopo con la delega fiscale. Quando Giarda se la prende con Vittorio Grilli perché il testo ancora non è pronto sembra di rivedere il film degli scontri tra Tremonti e i suoi colleghi, tenuti regolarmente all´oscuro dei provvedimenti fino a un minuto prima della riunione. Il ministro dei rapporti con il Parlamento ce l´ha con Grilli anche per un´altra vicenda. La Ragioneria generale, che dipende dal Tesoro, aveva infatti segnalato la mancanza di coperture per il decreto liberalizzazioni. Ma nessuno dell´Economia, tanto meno Grilli, era andato a spiegare la cosa a Montecitorio, lasciando Giarda a prendersi da solo gli insulti e i pesanti sarcasmi di mezzo Parlamento. Giarda è furibondo e arriva persino a minacciare le dimissioni. Quando Monti lascia prima del tempo la riunione, per andare a cena con Schifani a Milano, dovrebbe essere Giarda a presiedere al suo posto. Ma il ministro se ne va sbattendo la porta e tocca a Piero Gnudi impugnare la campanella del premier. L´elettricità è tanta. Scorre anche sulla linea Catricalà-Patroni Griffi. I due, solitamente tra i più compassati, litigano alzando la voce. Alla fine, con un rinvio sulla delega fiscale e un´approvazione «salvo intese», il Consiglio più lungo termina. Monti vola a Milano con Fornero per cenare, nella sua abitazione privata, con Renato Schifani e Ferruccio de Bortoli. E al presidente del Senato chiede «una corsia preferenziale» per avere la certezza che la riforma del lavoro sia legge «entro l´estate». Il decreto, reclamato dal Pdl, è stato infatti scartato su pressione di Napolitano. Ma anche Gianfranco Fini, a pranzo giovedì con il premier, aveva sconsigliato a Monti di servirsene per evitare l´accusa di un uso eccessivo della decretazione d´urgenza. «A questo punto - ragiona con i suoi il presidente della Camera - chi ancora oggi chiede il decreto lo fa solo per mettere in difficoltà il governo».