Massimo Gaggi, Corriere della Sera 24/3/2012, 24 marzo 2012
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK — I giovani americani del Ventunesimo secolo guidano meno delle generazioni che li hanno preceduti, spesso non prendono nemmeno la patente e, anche quando vivono in città e zone rurali prive di servizi di trasporto pubblico dove non c’è alternativa all’uso di veicoli individuali, non hanno il mito dell’auto: ai sondaggisti che li interrogano sui marchi per loro più popolari, gli studenti snocciolano quelli del mondo digitale, dai computer e gli smartphone della Apple ai servizi di Google. E anche scarpe, abbigliamento e attrezzi sportivi della Nike. Ma nelle loro liste non c’è nemmeno un logo di una casa automobilistica.
I produttori di Detroit vivono una stagione di riscossa sul piano produttivo ma, a giudicare dalla composizione per classi di età della loro clientela, è meglio non parlare di «nuova giovinezza» (l’età media dell’acquirente di una vettura nuova varia, in genere, tra i 50 e i 55 anni). Per molti il cambiamento di gusti e abitudini dei millennials, i «nativi digitali», è soprattutto una materia d’analisi per i sociologi: il rombo del motore e le cromature che non affascinano più, che non sono più percepiti come un modo per affermare la propria personalità. Il mondo fisico della meccanica e del movimento spiazzato da quello virtuale delle tecnologie digitali e degli incontri sui social network che si portano a termine senza bisogno di muoversi da casa.
Roba da studiosi della società, certo. Ma anche tra i produttori di vetture c’è molta attenzione, allarmata attenzione, visto che questa disaffezione dei giovani può trasformarsi, da qui a qualche anno, in una nuova crisi della domanda. Ne sa qualcosa, ad esempio, la Toyota, il cui marchio Scion — vetture sbarazzine ed economiche, pensate proprio per una fascia di giovani trendy — ha perso quasi i due terzi del suo mercato: le vendite negli Usa sono passate dai 173 mila veicoli di cinque anni fa ai 49 mila del 2011.
Così i produttori cercano di correre ai ripari. La Ford ha puntato sul car sharing di ZipCar: in questo modo cerca di avvicinarsi a studenti che oggi possono solo affittare un veicolo per poche ore ma, magari, domani saranno il nuovo mercato della casa di Detroit. La Chrysler — anch’essa alle prese con un’età media degli acquirenti piuttosto elevata — ha messo in campo un mix di rimedi «fisici» e pubblicitari: dallo spot dell’anno scorso di cui era protagonista Eminem alla sostituzione, nei modelli destinati ai giovani, dei pannelli interni in legno con elementi in fibra di carbonio mentre, all’esterno, al posto delle cromature spuntano finiture in nero opaco, un colore più gradito ai giovani.
Ancora più in là è andata la General Motors che ha affidato lo studio di nuove strategie commerciali e di prodotto a Mtv Scratch, una società di consulenza aziendale e di rebranding che fa capo al gigante dell’entertainment Viacom (proprietario anche dell’omonimo canale televisivo Mtv). Ross Martin, 37enne vicepresidente della società, che in passato ha pubblicato libri di poesia e ha fatto il batterista in una band alternativa, ha raccontato al New York Times del conflitto di culture emerso nel confronto con GM, a cominciare dal suo primo impatto con la sede del gruppo nelle torri del Renaissance Center di Detroit, paragonate da Ross a Death Star, la malefica e cupa stazione spaziale di Guerre Stellari. Non è chiaro fino a che punto i produttori accetteranno i consigli dei consulenti: colori «metallici» e techno sono già stati introdotti, mentre si cerca di adattare l’abitacolo delle vetture alle esigenze di connettività dei giovani. Quanto alla proposta di cambiare l’approccio dei concessionari — meno venditori e più consulenti tecnologici, come nei negozi della Apple — si vedrà.
Per adesso i numeri restano assai poco tranquillizzanti: oggi meno dei due terzi dei diciottenni prende la patente, rispetto all’80 per cento di trent’anni fa e il 46 per cento dei giovani dai 18 ai 24 anni, interpellati in un sondaggio, dichiara che, obbligato a scegliere, preferirebbe un accesso a Internet piuttosto che il possesso di un’automobile.
I meno pessimisti ritengono che, anche se un coupé o una monovolume non sono più gli oggetti «sexy» di un tempo, i giovani non faranno a meno delle quattro ruote, pur senza mitizzarle. Se oggi guidano meno e acquistano meno vetture è perché la crisi spinge verso veicoli usati o induce molti studenti che vivono dei campus universitari a usare la bici. Mentre è sempre più frequente il caso dei ragazzi che, ottenuta la laurea ma non avendo ancora trovato un lavoro, finiscono per tornare a vivere coi genitori. E, a quel punto, si prende l’auto di papà, anche se piena di cromature.
Massimo Gaggi