Furiop Colombo, il Fatto Quotidiano 23/3/2012, 23 marzo 2012
CARO TONINO, MI RICORDO I TUOI AMARCORD
C’erano giorni in cui si lavorava al grande tavolo di casa Antonioni, vista sul Tevere e profumi dalla cucina. Noi avevamo un pacchetto di fogli bianchi e i fogli restavano bianchi a lungo. Era tipico di Antonioni di sospendere, in tempo di lavoro, il suo dialogo di scherzo e di paradosso continuo con i suoi amici e commensali, per assumere un tono secco e preciso, solo sì e no. Quasi sempre no. Voleva dire: “Non ci siamo”. Poi spiegava. E raccontava un altro film, non quello di cui avevamo parlato e che ci eravamo raccontati la sera prima. A Calvino interessava osservare un personaggio come Antonioni in azione. Che io ricordi, quella è stata l’ultima mattina in cui (espressione sua) Calvino “si è presentato al lavoro” per la sceneggiatura di un film che prendeva lo spunto iniziale da un testo suo, e che avrebbe avuto come protagonista l’ex imperatrice Soraya. In momenti come questi entrava in scena (la frase va presa in senso letterale) Tonino Guerra.
TONINO avrebbe potuto essere stato inventato da Steve Jobs o direttamente da Dio. Era facile da maneggiare, in apparenza di una semplicità disorientante. Portava la presenza di qualcuno dotato di una dose speciale di empatia, emanava ondate di “buone vibrazioni” (avrebbero detto a New York in quegli stessi giorni). Ma non regalava amicizia. Sull’amicizia era parsimonioso. Ho visto Tonino ri-raccontare ad Antonioni la stessa storia su cui Calvino e io avevamo lavorato invano, che Antonioni aveva rivoltato e rimontato pezzo per pezzo. Ne ha fatto venire fuori tutta un’altra storia, una fiaba inventata sul momento come se venisse da un tesoro di tradizione folkloristica, da uno sconosciuto Mille e una notte, e che tutti (forse non Calvino, che rideva sospettoso come in quegli spettacoli di magia in cui sai che c’è il trucco, ma non hai fatto in tempo a vederlo) abbiamo trovato bellissima, persuasi che fosse la versione giusta di ciò che avevamo pensato noi. Il fatto è che Tonino Guerra raccontava in piccolo un dettaglio visto, una frase rimasta in mente, l’accenno a un gesto curioso e bizzarro, una cosa che si faceva “allora” (“adesso sembra pazzesco, ma allora nessuno ci faceva caso”). Lasciava intravedere uno spazio che è come la natura: se continui ad andare c’è ancora terra, c’è ancora cielo e ci saranno sempre altre persone, con vite e gruppi e modi di dire e di fare che continueranno la storia in un modo sempre diverso. Bastava avere voglia di andare avanti. Lui, da parte sua, non era e non è mai stato stanco di andare. Mi hanno chiesto: ma il Tonino Guerra di Michelangelo Antonioni era lo stesso Tonino Guerra di Francesco Rosi? La differenza fra i due registi, visionario uno, interessato soprattutto a ciò che potrebbe essere; cronaca e storia l’altro, con l’intento di rivelare che cosa c’è dietro il realmente accaduto, non potrebbe essere più grande. Ho visto Tonino Guerra al lavoro con Antonioni che preparava Zabriskie Point. Il film è tutto americano, io vivevo in America, allora, e leggevo con stupore le pagine che Tonino mandava ad Antonioni su un Paese di cui (potevi dire se non lo conoscevi) non sapeva nulla. E ho visto Tonino lavorare al Caso Mattei di Francesco Rosi (film al quale ho partecipato nel ruolo di assistente di Enrico Mattei-Gian Maria Volonté). Ho chiesto In questi giorni a Francesco Rosi: “Ma come faceva? Tonino Guerra non conosceva la mafia o il malgoverno o il mondo di Mattei”. “Lui veniva, si metteva li, parlavamo”, mi ha risposto Rosi. Con lui, tutto fatti e documenti della tormentata società civile italiana, Tonino Guerra ha partecipato, in un modo o nell’altro, a nove film.
UN MISTERIOSO filo di ragionevolezza pratica e contadina si intrecciava con spazi colorati di fantasia, il gesto abituale con l’assurdo (e, più spesso, l’assurdo del gesto abituale), una sorta di caleidoscopio mentale che può comporre sempre nuove storie senza perdere il filo. C’è stato un periodo romano in cui Tonino Guerra ha abitato in un ultimo piano di Piazzale Clodio. Aveva già fatto levitare tutto il mondo fiabesco e profetico di Federico Fellini, trasformandolo in immaginazione del mondo. Il presidente Mao aveva già tradotto in cinese le sue poesie. Ricordo una sera tardi in cui lui ha insistito. C’era la luna e Tonino Guerra voleva leggere ai suoi amici, sulla sua terrazza, versi e storie che aveva appena scritto e che stavano traducendo in russo . Immaginate che tutto ciò si possa fare per amore del racconto, della poesia appena nata e non di se stesso. Immaginate che, nel farlo, l’autore riesca a cambiare, senza mostrare di volerlo o saperlo, il senso di tutto ciò che vedete intorno.
E avrete un’idea del mite e festoso alieno Tonino Guerra, che è appena tornato nel pianeta di Pennabilli (dal nome di una bella cittadina in Romagna dove Tonino Guerra ha felicemente vissuto e lavorato per qualche decennio).