Ken Auletta, Internazionale 23/3/2012, 23 marzo 2012
LA SIGNORA DELLE NOTIZIE (JILL ABRAMSON LA PRIMA DIRETTRICE DONNA A DIRIGERE IL NEW YORK TIMES)
Uscito sul New Yorker
Ha due figli, un cane e un tatuaggio sul braccio destro. Jill Abramson, 57 anni, newyorchese, è la prima donna a dirigere il New York Times. In un’epoca di grandi incertezze deve garantire un futuro al giornale più influente del mondo
TESTO DA SISTEMARE
Alle nove di mattina del 6 settembre, Jill Abramson stava viaggiando in metropolitana dal suo loft di Tribeca al centro di New York. Era il suo primo giorno come direttrice del New York Times e anche la prima volta, nei 160 anni di storia del giornale, che sulla gerenza sarebbe apparso il nome di una donna. Abramson racconta che era "emozionata" per l’evento storico, e "un po’ nervosa" perché sapeva che in redazione molti la temevano. Indossava un abito bianco e una giacca nera a iori bianchi con i bordi rossi. La sua carnagione, di solito pallida, era illuminata dal sole estivo, ma aveva due profonde occhiaie. Quando È entrata nella sede del giornale, ha fatto un cenno con la mano agli agenti della sicurezza e ha salutato i colleghi in ascensore, cosa che spesso si dimenticava di fare. La grande redazione era tranquilla – di solito non si anima prima delle dieci e mezzo – ma si percepiva la tensione. I pochi giornalisti che erano alla loro scrivania hanno guardato passare il nuovo capo in silenzio. Abramson ha posato la borsetta sul grande tavolo di formica bianca dove lavora, al centro della redazione al terzo piano. Qualcuno le aveva lasciato una busta chiusa con la scritta "Congratulazioni". Conteneva una lettera plastificata accompagnata da un biglietto. Nella lettera una bambina di nove anni di nome Alexandra Early spiegava che si arrabbiava sempre quando guardava la televisione: «Perché io sono una femmina e non ci sono abbastanza supereroine in tv». Il biglietto, invece, scritto da una redattrice del giornale, diceva: «Qualunque fine abbia fatto Alexandra Early, spero che abbia saputo del tuo nuovo incarico». Abramson, che oggi ha 57 anni, era già stata managing editor, líincarico pi˘ importante dopo quello di direttore, e molti in redazione erano intimiditi dai suoi modi, spesso considerati troppo bruschi. Era fredda e distaccata e, secondo loro, somigliava molto al geniale ma vulcanico Howell Raines, ex direttore del New York Times. Anche lui, nel 2001, aveva assunto líincarico subito dopo la festa del lavoro, che negli Stati Uniti si celebra il primo lunedÏ di settembre. Raines aveva dovuto dimettersi dopo meno di due anni, e molti ancora tremano al suo ricordo. PerciÚ Abramson ha deciso di fare una cosa che Raines non avrebbe mai fatto: entrando in redazione ha detto ìBuongiorno ai giornalisti della cronaca locale!î. Poi si Ë congratulata con líautore di un articolo di prima pagina sui criteri di ammissione degli studenti nelle scuole private di New York. Nellíemail che ha mandato a tutti i colleghi quel giorno, ha promesso che sarebbe stata spesso in redazione, avrebbe parlato con tutti e ascoltato le proposte di tutti. ìNon ne potrete pi˘ di me a forza di incontri, inviti a pranzo e riunioniî. Un tempo era impensabile che una donna potesse dirigere il New York Times. Quando nel 1962 Eileen Shanahan, che poi sarebbe diventata uníautorevole giornalista economica, si presentÚ al colloquio con Clifton Daniel, allíepoca managing editor del giornale, non osÚ dire che avrebbe voluto diventare direttrice. ìTutto quello che voglio Ë scrivere per il miglior giornale del mondoî, disse. ìBeneî, rispose Daniel mentre lei gli raccontava la sua storia, ìperchÈ posso assicurarle che nessuna donna lo diriger‡ maiî. Quarantíanni fa il New York Times considerava le donne, i neri e gli asiatici cittadini di seconda classe. Come racconta Nan Robertson nel suo libro The girls in the balcony: women, men and the New York Times, solo quaranta dei 425 redattori erano donne, e si occupavano tutte di cronaca locale. Non cíerano nÈ fotografe nÈ editorialiste, e líeditorial board, il gruppo di giornalisti che stabilisce la linea editoriale del giornale, era composto di soli uomini. Nessun giornalista nero andava oltre il ruolo di cronista Alla ine degli anni settanta, dopo aver affrontato diverse cause per discriminazione contro le donne e le minoranze, líeditore smise di assumere solo maschi bianchi. Nel 2010, il 41 per cento dei redattori e dei caporedattori erano donne, circa il 20 per cento dei dipendenti apparteneva alle minoranze, che occupavano il 13 per cento dei posti di responsabilit‡. A giugno del 2011 líeditore del giornale, Arthur Sulzberger Jr., ha nominato Jill Abramson direttrice e Dean Baquet, un nero, managing editor. Quel giorno, molte delle persone riunite per líannuncio hanno rilettuto su come erano cambiate le cose. Alcune donne hanno pianto. Susan Chira, una vice managing editor, non ha potuto fare a meno di ricordare che quando era entrata al New York Times, nel 1981, molte donne erano ìtristi, amareggiate e arrabbiate, perchÈ nonostante il loro talento non riuscivano a fare carrieraî. I direttori molestavano le ragazze. ì» incredibile quanta strada abbiamo fatto. Quando ho saputo della nomina di Jill, ho avuto un brivido. Una donna che ottiene un incarico del genere per merito Ë da ammirare. Non Ë stata una cosa simbolica. Jill ha studiato per avere quel posto. Se líË guadagnatoî. Pioniere La prima cosa che le persone notano di Jill Abramson Ë la voce. » líequivalente di un clacson a trombetta, con un accento che Ë una strana combinazione tra líaristocratico e il popolare. In redazione, la sua abitudine di allungare le parole e di enfatizzare líultima parola di ogni frase Ë oggetto di molti commenti e abili imitazioni. Quando Ë andata in tv dopo la sua nomina a direttrice, il blogger Ben Trawick-Smith ha scritto: ìLogopedisti ed esperti di fonetica, datevi da fare. Cosa cíË che non va nella voce di Abramson?î. Sono arrivate valanghe di risposte. Qualcuno ha ipotizzato che Abramson, come i politici, ha imparato a non fare pause tra una frase e líaltra per non essere interrotta. Qualcun altro ha detto che probabilmente ha preso quellíaccento per non sembrare troppo newyorchese quando studiava a Harvard. La scrittrice Amy Wilentz, che aveva diviso la stanza al college con lei, ha detto che probabilmente cerca di imitare Bob Dylan. Nessuno di loro ha ragione, perchÈ la sorella di Jill, Jane, ha esattamente la stessa voce, come líaveva sua madre, Dovie Abramson. La famiglia viveva allíArdsley, un palazzo liberty tra la 92a strada e Central park west. Suo padre, Norman, un ricco importatore di tessuti, era un uomo fisicamente imponente che non si era mai laureato. Aveva una personalit‡ esuberante e incoraggiava le iglie a eccellere. Dovie Abramson, che invece era laureata alla Barnard, leggeva alle iglie Piccole donne, libri di poesia, Dickens, e le portava a teatro e a vedere ilm dellíorrore. La famiglia aveva una tale ammirazione per il New York Times che a un certo punto se ne faceva consegnare a casa due copie. ìIl Times era la nostra religioneî, ha raccontato Abramson pi˘ di una volta. Dopo aver frequentato la Ethical culture school, una scuola privata di Central park west frequentata da molti ebrei non praticanti, nel 1972 Jill fu ammessa a Harvard. ìLa nostra fu la prima classe che potÈ decidere se vivere al campus del Radclife, líex istituto femminile, o a quello di Harvardî, ricorda una sua compagna di corso, Alison Mitchell, che oggi lavora al domenicale del New York Times. ìIo e Jill scegliemmo Harvard. A quei tempi, quando entravi alla mensa non cíerano altre donne. Ci sentivamo delle femministe che stavano invadendo il mondo degli uomini. Molte ragazze che erano al Radclife pensavano che fossimo delle traditrici, ma noi ci sentivamo pioniereî. Al primo anno di universit‡, invece di cercare di entrare allíHarvard Crimson, il quotidiano uiciale del college, Abramson scriveva schede biografiche e recensioni teatrali per il settimanale del campus, The Independent. Nellíagosto del 1973, líestate del suo secondo anno di universit‡, i genitori di Jill aittarono una casa a Nantucket, vicino a Cape Cod, dove lei lavorÚ in un negozio di formaggi e come cameriera in un bar. Mentre erano lÏ, Joseph Kennedy ebbe il famoso incidente con la jeep in cui una ragazza rimase paralizzata. Erano passati solo quattro anni dalla tragedia di Chappaquiddick, quando il senatore Edward Kennedy era precipitato con líauto da un ponte uccidendo la donna che era con lui. Nantucket era irraggiungibile per la nebbia ma i giornali avevano un bisogno disperato di conoscere i dettagli dellíaccaduto. Un amico della sorella di Jill che lavorava nella redazione di Time a Boston chiese a Jill di scoprire cosíera successo. Per i tre anni successivi Jill collaborÚ alla rivista come freelance. Ma il giornalismo non era la sua unica passione. Durante il secondo anno allíuniversit‡ partecipÚ alla messa in scena di Febbre da ieno di NoÎl Coward. In quellíoccasione conobbe Henry Little Griggs III, che suonava il piano tra un atto e líaltro. Fecero subito coppia. Griggs era un patito del giornalismo, timido ma simpatico. Veniva da una vecchia famiglia di protestanti di Madison, nel Connecticut. Gli amici lo descrivono come un tipo tranquillo e meno ambizioso di Jill. Dopo essersi laureata a Harvard, Abramson rimase un anno nella redazione di Time a Boston, per poi trasferirsi in Virginia, dove lei e Griggs collaborarono alla campagna elettorale per la carica di governatore del democratico Henry Howell. Quando Howell perse le elezioni, si trasferirono a Columbia, in South Carolina, dove Griggs aveva trovato lavoro come consulente politico. Abramson fu assunta da uníagenzia pubblicitaria per la campagna elettorale di altri democratici del sud dopo la vittoria di Jimmy Carter alle presidenziali del 1976. Tra gli altri, cíera il candidato dellíArkansas Bill Clinton. Allíepoca delle presidenziali del 1980, Jill tornÚ al giornalismo, come redattrice per la Nbc. Durante quella campagna conobbe Steven Brill, che aveva appena fondato una rivista sul mondo dellíavvocatura, The American Lawyer. Nel 1981 Brill la assunse come reporter. Era un tipo irascibile, ricorda Stephen Adler, un altro collaboratore della rivista. ìIl primo articolo che mi trovai a correggere era di Jill. Steve aveva scritto in cima alla pagina: ëPessimo inizioí. A volte scriveva: ëLíinglese Ë per caso la tua seconda lingua?íî. Abramson e Griggs si sposarono nel 1981 ed ebbero due igli, Cornelia e Will. Nel 1986 Jill fu chiamata a dirigere un altro giornale di Brill, Legal Times, che aveva sede a Washington, dove Griggs era addetto stampa dellíAmerican federation of state, county and municipal employees, un sindacato dei dipendenti pubblici. Brill era un capo molto esigente, che urlava pi˘ che parlare. Ma lui e Abramson andavano abbastanza díaccordo. Un colloquio diverso Nel 1986 Abramson pubblicÚ il suo primo libro, scritto con Barbara Franklin, una collega dellíAmerican Lawyer, intitolato Where are they now: the story of the women of Harvard law 1974. Il libro raccontava le diicolt‡ e le delusioni delle laureate in legge in un mondo del lavoro dominato dagli uomini. Líanno successivo Norman Pearlstine, il vicedirettore del Wall Street Journal, decise che il giornale doveva occuparsi di pi˘ di questioni legali. ìCome managing editor, avevo il dovere di assumere chiunque avesse resistito per un anno a lavorare con Steve Brillî, racconta Pearlstine. Abramson fu invitata a un colloquio con il capo della redazione di Washington, Al Hunt, che accettÚ di vederla solo per accontentare Pearlstine. Hunt si aspettava di sbrigare una formalit‡, invece si rivelÚ ìun colloquio diverso da tutti gli altriî. ìJill tirÚ fuori sette o otto idee favolose che non ci erano mai venute in menteî, ricorda Hunt. ìHo avuto colloqui di lavoro con centinaia di aspiranti giornalisti, ma quello Ë stato sicuramente il pi˘ memorabileî. Abramson condusse molte inchieste che inirono in prima pagina e nel 1993 fu promossa vicecapo della redazione di Washington. Mentre era al Wall Street Journal, riprese líamicizia con una vecchia compagna di studi, Jane Mayer, che oggi lavora per il New Yorker. Nel 1991 decisero di scrivere insieme un libro sul giudice Clarence Thomas, che durante le audizioni per confermare la sua nomina alla corte suprema era stato accusato di molestie sessuali dalla sua collaboratrice Anita Hill. Thomas si dichiarava innocente e si deiniva vittima di un ìlinciaggio mediaticoî. Abramson e Mayer decisero di scoprire chi mentiva. Nel loro libro, Strange justice: the selling of Clarence Thomas, spiegarono che Thomas mentiva e intervistarono tre donne che erano state molestate dal giudice. Alla ine delle audizioni, Abramson scrisse un biglietto a Maureen Dowd, che aveva seguito il caso per il New York Times, per complimentarsi con lei. Dowd, che poi sarebbe diventata uníeditorialista del quotidiano, le rispose a sua volta. Cercava donne che scrivessero per il New York Times. ìNe conosci qualcuna speciale?î, le chiese. ìSÏ, io!î, rispose Abramson. Dowd lo riferÏ al capo della redazione di Washington, Michael Oreskes, che invitÚ Abramson a pranzo. Jill entrÚ al New York Times nel settembre del 1997 e nel dicembre del 2000 prese il posto di Oreskes. Fu líinizio di un buon periodo nella vita di Jill. Era la prima donna a dirigere la redazione di Washington, era molto esigente ma anche apprezzata dalla maggior parte dei giornalisti. Dowd rimase colpita dalla sua enorme curiosit‡. ìSe cíera uníeclissi di luna alle tre di notte che si vedeva meglio da un ponte nel Maryland, lei voleva andare lÏî. A settembre di quellíanno, preoccupato che il giornale si stesse impigrendo, Sulzberger scelse Howell Raines, un uomo dalla personalit‡ forte e decisa che aveva diretto le pagine degli editoriali, per succedere a Joseph Lelyveld, un direttore freddo e distaccato che aveva passato tutta la vita al New York Times. Lelyveld aveva indicato Bill Keller, ma Keller, a diferenza di Raines, non aveva un rapporto stretto con líeditore. Howell Raines si ritrovÚ a dirigere il giornale qualche giorno prima dellí11 settembre, e nei mesi immediatamente successivi sembrÚ la scelta giusta. Raines seppe trascinare la redazione facendola lavorare in modo spettacolare. Quella primavera il New York Times vinse sette premi Pulitzer. Fu il momento del massimo trionfo di Raines. Ma la sua caduta era vicina. Raines aveva lavorato nella redazione di Washington, era stato corrispondente politico e aveva vinto un premio Pulitzer. Allíinizio, racconta Mayer, Abramson era entusiasta, perchÈ il nuovo direttore era favorevole a introdurre pi˘ approfondimenti politici e un giornalismo díinchiesta pi˘ aggressivo. Ma dopo un poí Raines cominciÚ ad analizzare in modo puntiglioso il lavoro di Abramson. Durante la riunione per decidere la prima pagina, spesso la interrompeva per urlarle al telefono che le sue idee erano deboli e che si occupava troppo poco dellí11 settembre. Un vecchio redattore che ha lavorato a stretto contatto con Abramson e Raines ha descritto cosÏ il loro rapporto: ìHowell era convinto che lei non andasse bene come capo della redazione di Washington e lei aveva la sensazione che lui le rendesse impossibile fare un buon lavoroî. Líeroina della redazione Alla ine del 2002 Jill Abramson era disperata e prese in considerazione líidea di accettare uníoferta del Washington Post. Alla ine, ricorda, andÚ a parlare con Sulzberger per dirgli che non poteva continuare a lavorare con Raines. In parole povere, era un ultimatum: se lui non líavesse lasciata in pace se ne sarebbe andata. Era insolito per il New York Times che qualcuno andasse a lamentarsi direttamente dallíeditore, ed era ancora pi˘ strano che líeditore decidesse di intervenire. La visita di Abramson a New York provocÚ una telefonata di Janet Robinson, líamministratrice delegata della Times Company. ìAvevo sentito dire che Jill non era contenta e voleva andarseneî, ricorda Robinson. ìLa chiamai e le dissi: ëStai facendo un ottimo lavoroí. Si sentiva costretta in un braccio di ferro, perciÚ le dissi: ëDovranno passare sul mio cadavere prima di mandarti via dal giornale!í. Se non sostengo i nostri dipendenti, soprattutto le donne, signiica che non sto facendo il mio lavoroî. Robinson parlÚ anche con Raines, ìcercando di mediareî, dice. Abramson le raccontÚ quanto fosse dificile lavorare con Raines. Nel marzo del 2003 Sulzberger li invitÚ entrambi nel suo uicio. Ricorda di aver aperto quella ìconsulenza matrimonialeî dicendo: ìNon ci alzeremo di qui inchÈ non avrÚ capito cosa sta succedendo tra voi dueî. Quello stesso mese si venne a sapere che un giovane reporter di nome Jayson Blair aveva inventato delle notizie. Lo scandalo si aggiunse alle lamentele di altri redattori che accusavano Raines di essere diventato sprezzante nei loro confronti. Sulzberger si rese conto che era necessario un cambiamento. Quando Raines se ne andÚ, Abramson diventÚ líeroina della redazione. ìJill era stata molto coraggiosa a parlare apertamenteî, dice Susan Chira, che Raines aveva retrocesso dalla direzione della Week in review a un posto di minore responsabilit‡. ìMolti di noi erano terrorizzati da Howellî. Ma cíË anche chi critica il modo in cui Abramson gestiva la redazione di Washington. In quel periodo il New York Times aveva creduto alla notizia che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa. E perino i sostenitori pi˘ accesi di Abramson dicono che a volte era troppo brusca e interrompeva i suoi interlocutori a met‡ di una frase. I redattori che non soddisfacevano i suoi standard venivano spesso rimproverati, a volte in pubblico. Abramson aveva i suoi preferiti ed era lunatica. Qualcuno la trovava egocentrica, incline a citare se stessa e a dire cose come: ìDovete leggere il mio libroî. A partire da queste ansie e lamentele, si cominciÚ a sussurrare che la donna che aveva fatto fuori Raines fosse in realt‡ molto simile a lui. Dopo due anni di quello che lui chiama ìun felice esilioî come columnist e giornalista del New York Times Magazine, Bill Keller ottenne il posto che gli era stato negato nel 2001. Keller sapeva che il giornale doveva risolvere dei problemi di gestione. Le commissioni interne dicevano che con un maggior controllo Jayson Blair non avrebbe potuto fare quello che aveva fatto. CosÏ, per la prima volta, Keller nominÚ due managing editor: Abramson per la raccolta di notizie e John M. Geddes per tutto il resto, compresa la produzione del giornale e il controllo del budget. Keller conosceva bene Geddes, ma era la prima volta che lavorava con Abramson. ìAllíinizio non ci conoscevamoî, dice. Lui era quasi sempre stato corrispondente dallíestero, mentre lei si era dedicata al giornalismo díinchiesta. ìI miei scoop sono pi˘ che altro interpretazioniî, ha detto una volta Keller. Sam Tanenhaus, il direttore della sezione di critica letteraria, spiega: ìUn corrispondente dallíestero ad alto livello Ë essenzialmente un testimone. Riporta le notizie. Il reporter investigativo invece cerca di arrivare al fondo di una notiziaî. Keller e Abramson consideravano complementari i loro diversi interessi e temperamenti. ìEra meraviglioso lavorare con leiî, dice Keller. ìCon la sua precisione, Jill portava le riunioni di redazione a un livello straordinario. Quasi tutti i giorni arrivava che aveva gi‡ letto tuttoî. Insisteva con i redattori perchÈ ampliassero il contesto e scavassero nelle motivazioni delle persone. Alla riunione delle dieci per decidere la prima pagina Keller essenzialmente ascoltava, mentre lei continuava a fare domande. ìJill Ë un poí pi˘ competitivaî, osserva Geddes. Diceva: ìGli altri hanno pubblicato questa notizia stamattina. Noi che facciamo?î. Ma la sua lealt‡ nei confronti di Keller era indiscutibile. A maggio del 2007, proprio la settimana in cui suo iglio Will si laureava alla New York university, Abramson stava andando allíHarvard Club per fare un poí di ginnastica quando, allíincrocio tra la 42a e la Settima avenue un grosso camion passÚ con il rosso e la travolse. Con una ruota anteriore le schiacciÚ il piede destro e con quella posteriore le passÚ sopra fratturandole il femore, il bacino e provocandole diverse lesioni agli organi interni. Uníambulanza la portÚ di corsa al reparto di traumatologia del Bellevue hospital, dove un medico disse che se la ruota posteriore le avesse preso la gamba qualche centimetro pi˘ sopra sarebbe morta. In sala operatoria le fecero diverse trasfusioni, le inilarono una protesi di titanio nella gamba e le dissero che doveva restare a letto sei settimane. Seguirono molti mesi di antidoloriici, riabilitazione e isioterapia, che le permisero di passare dalla sedia a rotelle alle stampelle e inine al bastone. Secondo il suo pi˘ vecchio amico, Jim Lax, un medico, in quel periodo Abramson sofrÏ di una sorta di stress post-traumatico, con attacchi di ansia e di depressione. Nove settimane dopo líincidente, tornÚ a lavorare sulla sedia a rotelle. Nel frattempo il New York Times aveva lasciato la vecchia sede sulla 43a strada per trasferirsi nellíelegante ediicio progettato da Renzo Piano sullíOttava avenue, tra la 40a e la 41a 0vest. Líarchitetto aveva disegnato gli uici tutti uguali, con gli stessi mobili e la stessa moquette grigia. I mobili di Abramson erano spariti. ìNon cíera pi˘ niente di mioî, ricorda. ìAndai da Arthur e gli dissi: ëPer me farebbe una grande diferenza se potessi riavere la mia robaí. Lui si mise a ridere, ma nel mio stato non poteva dirmi di noî. Le riportarono i suoi vecchi mobili: il divano ricoperto di stofa verde con il cuscino a forma di cane, il tappeto persiano che avrebbe coperto una parte della moquette, lo scafale dei libri, il berretto degli Yankee e le foto di Babe Ruth, di Keith Richards e di E. B. White con il suo cane. Nella primavera del 2010, nel tentativo di salvare il futuro del giornale (e forse anche il suo), Abramson rinunciÚ provvisoriamente al suo incarico di managing editor per occuparsi dei contenuti del sito. PassÚ quasi tutto il tempo in una zona del terzo piano vicino alla redazione online. La sua ìvacanzaî coincise con la decisione dellíazienda di ridiscutere il modo in cui il giornale doveva far pagare líedizione online. Abramson rimase sorpresa di quanto poco integrate fossero le due parti della redazione. Le riunioni per scegliere i sei articoli della prima pagina erano faticosissime e rimaneva poco tempo per pensare a cosa mettere in homepage. Alcuni giornalisti del New York Times sono ancora convinti che le sue conoscenze del web siano piuttosto scarse, ma Abramson ha capito che il web Ë fondamentale per il futuro del giornale e vuole che le persone che lavorano per il sito collaborino con quelle che sono in redazione in tutti i settori. Oggi durante la riunione per la prima pagina la homepage del New York Times Ë proiettata su un grande schermo e i redattori decidono immediatamente quali articoli mettere online. Nellíestate del 2010 Bill Keller disse a sua moglie Emma che voleva tornare a scrivere. Lei gli rispose che era il momento sbagliato, e la stessa cosa gli disse Abramson. ìRimasi sbalorditaî, racconta oggi. La direzione di Keller Ë stata caratterizzata da tre crisi: quella morale, quella economica e quella digitale. ì» diventato direttore in un momento molto diicile, dopo tutto quello che avevamo passato con Howell e Jayson Blairî, dice Sulzberger. ìBill Ë arrivato e ha ridato stabilit‡ alla redazioneî. Era una presenza tranquillizzante. Il comportamento equilibrato di Keller ha contribuito ad attutire lo tsunami economico che ha colpito il New York Times e tutti gli altri giornali americani. Tra il 2006 e il 2010, líazienda ha tagliato le spese di 850 milioni di dollari. Il budget di 200 milioni di dollari della redazione Ë stato ridotto del 10 per cento. Le sezioni del quotidiano sono diminuite da sei a quattro. La propriet‡ Ë stata costretta a vendere, o aittare, alcuni piani della nuova sede. Il prezzo delle azioni Ë calato a picco. Sulzberger ha dovuto accettare un prestito da uno degli uomini pi˘ ricchi del mondo, líimprenditore messicano Carlos Slim, pagando un tasso di interesse da usura del 14 per cento. Quando disse a sua moglie e a Jill che voleva andarsene, Keller aveva superato la crisi morale e quella economica, ma líazienda era tutta presa dal dibattito su come far pagare líedizione online. Dopo aver parlato con il consiglio díamministrazione, Keller decise che prima di lasciare la direzione doveva risolvere la questione. La favorita A marzo del 2011 il New York Times ha lanciato il suo piano di abbonamenti online, chiedendo ai lettori che non erano ancora abbonati al giornale di pagare 35 dollari al mese per líedizione digitale. Le reazioni iniziali sono state incoraggianti. Nei primi tre mesi 281mila persone si sono abbonate. A maggio Keller Ë andato da Sulzberger e gli ha detto: ìArthur, ho diretto il New York Times per pi˘ tempo di Joseph Lelyveld e di Max Frankel. Penso che sia arrivato il momento di cedere le redini a qualcun altroî. Per un editore, non cíË decisione pi˘ importante di quella di scegliere un direttore. Sulzberger ha chiesto a varie persone di suggerirgli un nome. Ha stabilito subito che non avrebbe cercato fuori del gruppo Times e ha individuato tre candidati che conosceva abbastanza bene: Abramson, il capo della redazione di Washington Dean Baquet e il direttore del Boston Globe Martin Baron (anche il Globe appartiene al gruppo Times). Sapeva che tutti e tre i candidati erano paladini del ìbuon giornalismoî, perciÚ il fattore decisivo sarebbe stato la ìdisponibilit‡ e la capacit‡ di andare avanti sulla strada del digitaleî. » andato a pranzo con ognuno di loro. Abramson era la favorita. » stata sincera con Sulzberger a proposito dei suoi punti deboli. ìGli ho detto che dovevo imparare ad ascoltare di pi˘, parlare di meno e non interrompereî, ricorda. Hanno parlato di quello che avrebbe fatto se fosse diventata direttrice e lei ha detto che ìsarebbe stata sempre in redazioneî a parlare con le persone. Ha stilato una specie di memorandum su quello che si proponeva di fare se avesse ottenuto il posto. Avrebbe portato avanti la ìmissione fondamentaleî del giornale, che era quella di mantenere un livello di eccellenza. Diversamente da Howell Raines, che voleva rivoluzionare la redazione, lei era a favore della continuit‡. Avrebbe creato un gruppo di punta ìcon alcune persone nuoveî, ma le sue innovazioni sarebbero state soprattutto nel campo del digitale. Era proprio quello che Sulzberger voleva sentirsi dire. Una mattina alle otto e un quarto, due settimane dopo il loro incontro, nel loft di Jill Abramson ha squillato il telefono. Sulzberger la chiamava dallíEuropa. ìHo una sorpresa per teî, ha detto. Lei era ìestremamente nervosaî, e gli ha chiesto: ìBella o brutta?î. Quando lui le ha oferto líincarico, lei ha risposto: ìSar‡ un onoreî. Prima di precipitarsi in citt‡, ha chiamato sua sorella. Qualche giorno dopo ha nominato Baquet managing editor. Nel 2007 era stata tra quelli che lo avevano convinto a tornare al New York Times. Si parlavano spesso e si scambiavano consigli sui romanzi da leggere. Lui aveva pi˘ esperienza nel campo della sicurezza nazionale e aveva tutte le qualit‡ di un abile politico senza i lati negativi. ìSe accetti líincaricoî, gli ha detto Abramson, ìfarai felice tutta la redazioneî. Anche Sulzberger era contento. Baquet era stato scelto da lei, dice un manager della societ‡, ma Sulzberger desiderava moltissimo vedere un afroamericano alla guida del giornale accanto a una donna. ìArthur vuole lasciare il segno, e Jill Ë stata abbastanza intelligente da capirloî. Líannuncio Ë stato dato nella grande sala del terzo piano il 2 giugno. Nel corso dellíestate, Abramson Ë andata dai redattori delle varie sezioni chiedendo: ìCosa deve fare di pi˘ e di meno chi dirige questo giornale?î. Quasi tutti le hanno risposto le stesse cose: ìLa prima era che dovevamo essere pi˘ vicini ai redattori. Molti pensavano che io, Bill e John Geddes non andavamo abbastanza in giro a discutere con le persone del loro lavoro. Io in particolare. Dovevo essere meno scostanteî. Ma non Ë normale che un direttore incuta timore? Certo che Ë normale, dice lei. ìMa evidentemente quando faccio troppe domande do líimpressione di giudicare male le persone. Quando erano piccoli, i miei igli mi dicevano ëSmetti di strillare!í, e non credo di aver mai alzato la voce con loroî. Abramson aveva in mente di applicare alla redazione ìlíaddestramento positivoî che usava con il suo cane Scout. Nel suo libro The puppy diaries, in cui spiega come ha allevato il cane, Abramson racconta che lei e suo marito preferivano usare ìlíincoraggiamento invece delle punizioniî, e quando si comportava bene, lo premiavano con un biscotto. ìNei rapporti con i cani e con le redazioni, gli elogi e gli incoraggiamenti funzionano meglio delle criticheî, aferma. Non tutti i redattori, perÚ, sono facili da addestrare come Scout. Alla ine di giugno, Abramson e Baquet sono andati in Pakistan e in Afghanistan per passare un poí di tempo con i corrispondenti e incontrare le autorit‡ locali. Nessuno dei due Ë mai stato corrispondente e con quel viaggio volevano manifestare il loro sostegno alle redazioni estere. Per tutto il tempo, Abramson e Baquet hanno parlato di come far nascere una nuova generazione di redattori e rinnovare il giornale cambiando i responsabili di alcune sezioni. Avrebbero preso quelle decisioni dopo essersi consultati con due persone che avevano conservato il loro incarico, John Geddes e William Schmidt. Il primo cambiamento Ë avvenuto alla ine di luglio, quando Abramson ha nominato David Leonhardt, un giornalista economico di 38 anni che aveva vinto il premio Pulitzer, al posto di Baquet a Washington. Líeditorialista economico e direttore della sezione díinformazione inanziaria Dealbook, Andrew Ross Sorkin, che ha 34 anni, la deinisce ìuna decisione totalmente inaspettataî: ìHa preso un giovane senza esperienza di direzione e lo ha messo a capo dellíuicio di Washington. Non Ë pi˘ ëil solito vecchio New York Timesíî. Abramson sostiene che dedicher‡ pi˘ spazio al giornalismo díinchiesta, pi˘ attenzione alla politica, alla cultura e alla ricerca di quello che si nasconde dietro le dichiarazioni uiciali. Durante la prima settimana ha girato spesso per i tre piani della redazione facendo i complimenti a tutti. Il 12 settembre si Ë fermata nella redazione della cronaca locale e ha dichiarato: ìVolevo solo dirvi che state facendo un magniico lavoroî. Si riferiva in particolare allíarticolo di Robert McFadden sul decimo anniversario dellí11 settembre. Poi Ë scesa al piano di sotto e si Ë seduta accanto a una giovane giornalista economica, Louise Story, per dirle: ìIl tuo pezzo di oggi era fantasticoî. Alla riunione della prima pagina ha elogiato tutti. ìCe la sta mettendo tuttaî, dice un redattore. ìNon so quanto durer‡î. Una sola corsa Il problema principale del New York Times Ë economico. Riuscir‡ il gruppo, che ricava il 90 per cento dei suoi introiti dal New York Times e da altri 17 quotidiani, a superare la crisi che colpisce tutti i giornali? Negli ultimi cinque anni ha perso soldi, ma nel 2010 ha visto risalire i proitti a 234 milioni di dollari. Dal 2006 a oggi ha dimezzato i debiti e ha restituito il prestito a Carlos Slim. ì» ancora troppo presto per cantare vittoriaî, dice Sulzberger a proposito degli abbonamenti online. ìMa sono andati molto meglio di quanto ci aspettassimoî. Nonostante questo, il rendiconto inanziario della societ‡ per il secondo trimestre del 2011 parlava di perdite per 120 milioni di dollari e di un calo delle entrate del 2 per cento. Mentre la pubblicit‡ sullíedizione digitale Ë aumentata, quella sullíedizione cartacea Ë diminuita al doppio della velocit‡. ìStiamo navigando sullíoceanoî, dice il caporedattore finanziario Lawrence Ingrassia, ìe ancora non sappiamo cosa cíË dallíaltra parteî. Quello che Abramson sa per certo, come ha scritto nel memorandum che ha mandato a Sulzberger, Ë che dovr‡ trasformare il New York Times in qualcosa di pi˘ di un giornale. Dovr‡ lanciare nuove iniziative multimediali: audio, video, archivi. E coinvolgere di pi˘ i lettori. Il New York Times deve fare dei notiziari online? Lavorare di pi˘ con Facebook e Twitter? Pubblicare ebook? ìQueste sono le questioni strategiche che Jill dovr‡ affrontareî, dice líex direttore del New York Times Magazine Gerald Marzorati. ìNon siamo pi˘ solo un giornaleî. Dato che i giornalisti del New York Times scrivono sia sullíedizione cartacea sia su quella digitale, non mandano pi˘ un solo articolo nel tardo pomeriggio per líedizione del giorno dopo, ma devono spedire articoli per il sito pi˘ volte al giorno, e mantenere la qualit‡ anche se il tempo Ë poco. ìLa sida Ë evitare che commettano errori, che si brucino, che rinuncino alla qualit‡î, dice Baquet. La sovrapposizione tra la versione cartacea e quella online crea un altro problema: decidere quanto spazio dare alle opinioni. Oggi il New York Times le pubblica nella pagina degli editoriali, nella sezione inanza, in quella politica, sotto forma di ìanalisi delle notizieî, e nella Sunday review, di cui si occupa il responsabile della pagina degli editoriali Andrew Rosenthal. Molti redattori si preoccupano del fatto che sul quotidiano ci sono troppi punti di vista personali. Il padre di Andrew, A. M. Rosenthal, Ë stato direttore del New York Times e sorvegliava con attenzione le opinioni. E oggi Andrew Rosenthal Ë pi˘ preoccupato di tutti: ìI lettori sono confusi. Se mescoliamo notizie e opinioni, rischiamo di togliere credibilit‡ alle informazioni, soprattutto in questo periodo di forte polarizzazioneî. Se traspaiono le idee del giornalista, si conferma la critica spesso rivolta al New York Times di essere dalla parte dei democratici, critica aggravata dallíaver aidato la direzione a una donna cresciuta in una famiglia liberal nel West side di Manhattan, una giornalista che ha lavorato per i democratici del sud e ha accusato il giudice conservatore Clarence Thomas di mentire. Quando chiedo ad Abramson se pensa che il New York Times sia parziale, risponde: ìPenso che faccia di tutto per non esserloî. Ma aggiunge che il giornale, come scrisse il garante dei lettori in un editoriale sette anni fa, ha una visione essenzialmente metropolitana, che a volte appare evidente negli articoli a tema sociale. Comunque Ë profondamente convinta che il giornale ofra le stesse opportunit‡ ai democratici e ai repubblicani. Quando le chiedo della sua formazione, risponde: ìDurante le riunioni di redazione, spesso sono io a sollevare líobiezione che la nostra scelta di notizie Ë troppo newyorchese, troppo limitata. Tutti gli anni che ho passato a Washington, e sono stata attaccata dai conservatori, mi hanno aiutato a capire come puÚ essere interpretato un articolo nel resto degli Stati Unitiî. Al tempo stesso, perÚ, Abramson Ë orgogliosa di essere una newyorchese. Nel 2003, per festeggiare il suo ritorno in citt‡, si fece fare un piccolo tatuaggio sulla spalla destra. Riproduce un vecchio gettone della metropolitana. Voleva essere, dice, un tributo alla metropolitana, che lei usa spesso e che associa alla sua citt‡. Ed era un modo per dire che era ìtornata a New York per sempreî. La frase incisa sulla moneta, aggiunge, rilette la sua ilosoia di vita: ìValido per una sola corsaî. E implicitamente le ricorda la sida che deve afrontare se vuole trasformare il giornale. Líepoca in cui la sua famiglia riceveva due copie del New York Times Ë inita da tempo. Come sono initi i giorni in cui serviva un gettone per superare i tornelli della metropolitana. u bt Ken Auletta scrive per il New Yorker dal 1993. Si occupa di informazione e ha raccontato i personaggi e le aziende pi˘ importanti del nostro tempo, da Bill Gates a Rupert Murdoch, dalla Time Warner al New York Times. Il suo ultimo libro Ë Efetto Google (Garzanti 2010).