Isidoro Trovato, Corriere della Sera 23/3/2012, 23 marzo 2012
Finalmente una Terza Via: l’Indennizzo del Licenziato – «È una riforma quasi perfetta, vale un otto pieno»
Finalmente una Terza Via: l’Indennizzo del Licenziato – «È una riforma quasi perfetta, vale un otto pieno». Non ha dubbi Salvatore Trifirò, avvocato giuslavorista di lungo corso e profondo conoscitore delle dinamiche sui licenziamenti. «Tutti sanno che ormai dagli anni 70 non si utilizza quasi più il reintegro nel posto di lavoro. I numeri sono talmente bassi da non avere più rilevanza. Eppure in questi decenni il sistema di garanzia ha sempre retto e non si sono registrati abusi». Però i sindacati (e non solo la Cgil) non ci stanno, sostengono che intaccare l’efficacia dell’articolo 18 significa rinunciare a una norma di civiltà che serve anche e soprattutto da deterrente agli abusi. «Non è così — ribadisce Trifirò — il vero problema del nostro sistema era che il giudice fosse posto davanti a un’unica alternativa: o reintegrare i dipendente o confermare il licenziamento. Adesso, finalmente, esiste una terza via: la possibilità di un indennizzo con un numero di mensilità variabile e valutato di caso in caso. L’unico aspetto migliorabile riguarda la conciliazione obbligatoria posta come prima fase in caso di licenziamento per motivi economici: si tratta di un passaggio che può creare problemi e allungare i tempi del contenzioso. E invece la rapidità è un aspetto fondamentale: in Italia i processi sui licenziamenti non sono moltissimi e quindi dovrebbero durare in media 15/20 giorni». *** Smantellata la Legge Biagi o il Posto Fisso o Nulla «Servirebbero due voti: uno politico e uno tecnico». Michele Tiraboschi, economista, direttore del centro studi Marco Biagi e collaboratore di Maurizio Sacconi al dicastero lavoro offre un duplice giudizio della nuova riforma. «Dal punto di vista politico merita un sette pieno: per il coraggio di aver saputo riformare saltando la concertazione, per la capacità di aver cambiato un’epoca affermando l’improrogabilità di certe scelte davanti all’estenuante protrarsi di trattative senza sbocco. Dal punto di vista tecnico però è una riforma sbagliata che merita una grave insufficienza. L’articolo 18 viene disciplinato in modo troppo generico ed è destinato ad alimentare nuovo contenzioso». Ma la ragione di maggiore delusione è probabilmente legata all’aspetto che riguarda la riforma dell’accesso al lavoro, quella che Tiraboschi conosce più da vicino. «Hanno praticamente smantellato la legge Biagi — afferma — si assisterà a un salto indietro di dieci anni. I contratti flessibili non verranno riconfermati e si perderanno dieci anni di lavoro di un sistema che aveva introdotto fluidità. Bisogna, semmai, completare il lavoro di Biagi e aumentare diritti e tutele ai lavoratori flessibili. Invece così si dice o tempo indeterminato o niente. E meno male che il posto fisso era considerato monotono». *** il Sistema Attuale non era più Sostenibile «Complessivamente si tratta di un testo apprezzabile ma con ampi margini di miglioramento. Meriterebbe un sette pieno». Franco Toffoletto, avvocato giuslavorista, da anni sostiene la necessità di modificare l’articolo 18. «Eravamo dentro un sistema insostenibile — afferma — la durata dei processi troppo lunga, l’incertezza del diritto e l’impossibilità del giudice di trovare soluzione terze al licenziamento o al reintegro. Adesso quest’ultima, grave, lacuna è stata colmata. Ma resta tanto da migliorare». L’aspetto più ostico per i giuslavoristi è il passaggio attraverso una conciliazione preliminare nel caso di licenziamenti per motivi economici. «È un passaggio insensato — ribadisce Toffoletto — porterà lungaggini e incertezze. Invece questa riforma deve garantire certezza di diritto e tempi ragionevoli. Anche se, è bene ricordarlo, non si può ambire a grandi velocizzazioni senza investire nelle cancellerie e nel personale dei tribunali». Un po’ meno positivo il giudizio sulla parte che riguarda i contratti e la stabilizzazione del lavoro precario. «Mi sembra molto problematico il passaggio sulle partite Iva — osserva — sarà difficile gestire giuridicamente il passaggio al contratto subordinato per i lavoratori autonomi che lavorano abitualmente con un unico committente». *** Ritorno al Passato Grande Potere ai Giudici «I voti io preferisco darli solo ai miei studenti». Si schermisce Tito Boeri, economista e promotore egli stesso di una legge di riforma del mercato del lavoro. «Indubbiamente si poteva fare molto di più e molto meglio — si sbilancia — però c’è un dato positivo inoppugnabile: il metodo. Non sempre le parti sociali rappresentano tutti e comunque i negoziati non possono andare avanti all’infinito. Però il provvedimento è gattopardesco: si cambiano molte cose per non cambiare nulla. Anzi, c’è un ritorno al passato con un grande potere in mano ai giudici. E in più aumenterà l’incertezza per le imprese e la durata dei contenziosi. Di contro, si indeboliscono le tutele per i lavoratori. Insomma sembra un testo destinato a scontentare tutti». Sul fronte della contrattualistica invece è stato premiato l’apprendistato e l’idea del contratto prevalente ma con uno schema ben diverso da quello ipotizzato dalla proposta Boeri. «Il nostro era un progetto a costo zero — osserva — questo invece costerà parecchio. Non è detto che non funzioni ma se bisognava spendere dei soldi, forse si poteva puntare a ridurre il costo del lavoro per incentivare l’occupazione. E invece questo testo lo aumenterà soprattutto per i contratti a tempo determinato». *** C’è un Diritto al Lavoro non un Obbligo di Assumere «La mia valutazione è nel complesso positiva: la riforma merita un 7,5 perché giustamente privilegia la prospettiva di medio-lungo periodo rispetto a quella di breve». È ottimista Marcello Giustiniani, giuslavorista dello studio Bonelli, Erede, Pappalardo. «Al “diritto al lavoro” pur previsto dalla Costituzione, non fa purtroppo da contraltare un “obbligo di dare lavoro” in capo al singolo imprenditore, bensì invece una valutazione di convenienza, oggi, a differenza che nel 1970, senza confini: deve convenire dare lavoro anziché non darlo; e deve convenire farlo in Italia anziché altrove». Però esiste un innegabile costo sociale immediato della riforma «È vero — ammette Giustiniani — ma la scommessa è che l’investimento alla lunga renda. Taluni aspetti della nuova disciplina sono oggettivamente poco lineari: la libera scelta, delegata al giudice, tra indennità e reintegrazione nel caso di illegittimità del licenziamento per motivi personali è confusiva. I nostri clienti stranieri, che chiedono semplicità e certezza, di ciò non saranno felici. Desta qualche perplessità anche la misura dell’indennizzo per il licenziamento ingiustificato: superiore a quei due anni, che, nella nostra esperienza, già oggi costituiscono il benchmark delle transazioni di una causa di reintegrazione. Forse non sono dettagli, ma, come si dice, il meglio è nemico del bene». *** Aumentano l’Incertezza e la Durata dei Processi – «Appena sotto la sufficienza. Ma non è un giudizio definitivo». Pietro Garibaldi non vorrebbe esprimere valutazioni su dei «colleghi». Anche lui infatti ha a lungo studiato un progetto di riforma del lavoro. «Questa appena varata — afferma Garibaldi — è una riforma molto vasta che ha il merito di abbracciare praticamente tutti i nodi che riguardano i temi occupazionali: dalla flessibilità, alla precarietà, dagli ammortizzatori sociali ai licenziamenti. Solo l’essere riusciti ad affrontare una tematica tanto vasta merito un voto alto». Che però si abbassa quando si entra nel merito. «In effetti su un fronte tanto ampio il testo sembra poco incisivo: appare evidente ai più che l’articolo 18 rischia di aumentare l’incertezza e la durata dei processi. In compenso il contratto dominante riguarda solo i giovani fino a 29 anni e può essere interrotto senza il riconoscimento di alcun indennizzo. Tutti aspetti che lasciano molte perplessità». Il maggiore dissenso però è quello che arriva dalla disciplina dei contratti flessibili. «In effetti — concorda Garibaldi — ci sono diversi elementi non condivisibili: l’aumento del costo dei contratti intermittenti rischia di ricadere sulle spalle dei lavoratori. E poi, giusto l’obiettivo di regolarizzare le finte partite Iva ma il metodo appare alquanto lacunoso».