Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 07/03/2012, 7 marzo 2012
LE TABACCHINE
In prima fila le più giovani e belle. Calze di seta sulle gambe affusolate, scarpette col cinturino, i riccioli della permanente che sfuggono dalle cuffiette o dai fazzoletti legati dietro la nuca, sguardi timidi, sorrisi smaliziati, bronci provocanti. Sullo sfondo sono in posa le meno avvenenti e le più anziane, con i volti provati da una vita dura. È difficile staccarsi dalle duecento donne che ti guardano da una fotografia grande come una parete, nella mostra che si inaugura oggi alla Casa delle Letterature (piazza dell’ Orologio 3), intitolata «Delle donne e del lavoro». Ideata da Maria Ida Gaeta, la rassegna presenta un percorso fotografico sul lavoro delle tabacchine nell’ Italia post-unitaria, attraverso le immagini delle operaie della Fattoria autonoma tabacchi, fondata a Città di Castello nel 1911. «Ho voluto aprire uno squarcio, attraverso le vicende delle tabacchine, sul lavoro e sulla condizione delle donne nella metà del secolo scorso», anticipa Gaeta. «Mentre, ad esempio, la figura della mondina è stata celebrata da capolavori come Riso amaro di Giuseppe De Santis, la figura della tabacchina è rimasta fino ad oggi inesplorata dal punto di vista narrativo». Eccole, dunque, le donne che manipolano le foglie del tabacco preparandole all’ impiego nelle manifatture di Stato, che le trasformeranno in sigari e sigarette. Nelle immagini scattate tra il 1920 e il 1960, e conservate negli archivi della Fattoria, appaiono avvolte in camicioni e grembiuli che nelle stampe in bianco e nero sembrano fatti di ruvida tela grigia. Invece «uscivano di casa con indosso la divisa azzurra, che prevedeva anche un grembiule marrone e un fazzoletto per tenere a freno i capelli». A restituirci i colori vivi delle tabacchine ci ha pensato Stefania Scateni nel suo primo intenso romanzo, uscito in questi giorni da Nottetempo. Si intitola «Dove sono» e racconta una saga familiare al femminile con parole capaci di rendere lieve il dolore più grave, fino a trasformarlo in un pulviscolo dorato. Guardando i volti delle fotografie sembra di riconoscere i personaggi del libro. La donna dell’ ultima fila, con quell’ espressione drammatica accentuata dall’ irregolarità dei lineamenti, non sarà forse Celeste, che scese dalle montagne a cercare lavoro, con le tre figlie, la gallina imbalsamata, la cassetta d’ abete con i resti della sua prima bambina? E quelle ragazze intente a comporre mannocchi, i mazzetti di foglie di tabacco, non saranno Tosca e Delfa, belle come la Loren e la Lollobrigida? «La povertà non oscurava il loro sguardo fiero, non lo sfiorava nemmeno. Le chiome, lavate con la cenere o con la liscivia, splendevano lo stesso e si gonfiavano al vento». In un altro scatto ecco la figlia più piccola, Assunta, entrata ai Tabacchi che non aveva ancora quindici anni, che si sentiva brutta e sgraziata e non portava neanche le scarpe, ma un paio di pianelle. Siccome era troppo giovane per ammannocchiare, l’ avevano mandata a curare il tropicale, «un tabacco che cresceva solo se lo si vestiva come con un abito da sposa, tutto in bianco, lunghi teli di garza che coprivano il campo come una tenda araba quadrata, capace di contenere un esercito di beduini a cavallo, e sotto cui le donne quasi svenivano per l’ umido torrido». Tra le foto c’ è anche quella di Annunziata, la mamma di Scateni. Una nuvola di capelli corvini avvolti sopra la testa in uno chignon portato come una corona. Gli occhi bassi sul lavoro, il portamento elegante, le mani leggere, «mani di velluto che se no si rovinano le foglie». A lei si è ispirata la scrittrice, e alle storie scovate nell’ archivio della Fattoria. Alle 18,30, all’ inaugurazione della mostra, Scateni presenterà il libro con letture di Teresa Ciabatti, Gaia Manzini, Sandra Petrignani, Giuseppina Torregrossa.
Lauretta Colonnelli