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 2012  marzo 21 Mercoledì calendario

CINA, BRACCIO DI FERRO AL VERTICE

La lotta politica all’interno del Partito comunista cinese tra riformisti e "neomaoisti", come sono oggi etichettati i due schieramenti, sembra aver fatto un salto di qualità, secondo le voci che circolavano ieri a Pechino. La battaglia intorno al destino di Bo Xilai, l’ex capo del Pc di Chongqing destituito il 15 marzo, è la più dura almeno dal 1995, da quando Chen Xitong venne rimosso come capo del partito di Pechino e arrestato per corruzione.
Infatti, mentre insoliti schieramenti di polizia presidiavano gli incroci principali della Chang’anjie, il vialone che taglia la capitale da Est a Ovest, ieri voci riferivano di un duro scontro sul futuro di Bo tra il premier Wen Jiabao e altri membri del Politburo ristretto, il gruppo dei nove al vertice della politica cinese. Uno scontro che avviene in un momento delicato del Paese alle prese con la frenata dell’economia.
Diversamente da altre lotte politiche degli anni passati, incentrate su questioni di potere di singole persone ed errori politici limitati (per esempio Cheng Liangyu, fu deposto nel 2006 come capo di Shanghai per un caso di corruzione di miliardi) con Bo, come per Tian’anmen nel 1989, esiste un problema di scelta politica.
I due schieramenti, infatti, sono a grandi linee uno a favore di un approfondimento delle riforme economiche e politiche, come ha annunciato Wen nella conferenza stampa del 14, oppure per una forma di ritorno a un populismo neomaoista, come sostenuto da Bo a Chongqing.
La deposizione di Bo il 15 avrebbe dovuto mettere fine alla battaglia, ma così pare non sia stato. La difficoltà a trovare una soluzione di compromesso rischia di allargare il contagio. Qualunque soluzione si trovi su Bo, questo diventa la bussola per organizzare la linea politica e il gruppo dirigente che dovrà uscire dalla Cina al prossimo Congresso di ottobre e che governerà il Paese per i prossimi dieci anni. La posta in gioco è altissima mentre le idee su cosa fare sono divergenti e gli attori della partita si sono moltiplicati rispetto al passato.
In questo gruppo dirigente il segretario Hu Jintao ha meno potere del suo predecessore Jiang Zemin, il quale a sua volta aveva meno potere di Deng. Jiang inoltre nei fatti prese il potere nel 1995, l’anno in cui Deng andò in coma e Chen Yun, un altro grande leader, morì.
Viceversa Hu ha trascorso tutto il suo periodo di Governo, dal 2002 quando fu nominato segretario generale a oggi, con il vecchio gruppo dirigente cinese tutto presente e attivo. Non è chiaro se sia un problema di personalità o di inceppi formali. Non è chiaro che potere di veto o di approvazione finale abbiano i vecchi leader sui nuovi.
Alla fine dell’anno il vicepresidente Xi Jinping dovrebbe prendere il potere con ben due gruppi dirigenti ancora vivi e attivi, quello di Jiang e di Hu, e oggi da fuori non si sa che potere avranno costoro sui nuovi leader. Neanche si sa se Hu, come fece Jiang dal 2002 al 2004, resterà presidente della commissione militare centrale, il vero ultimo centro di potere della Cina.
La battaglia su Bo si concentrerebbe anche su questo. Tra l’altro è possibile che Xi stesso sia stato favorevole alla deposizione di Bo: troppo ingombrante e ingovernabile, avrebbe dato ulteriore ombra a un presidente potenzialmente già sotto tante tutele. A questo punto una retromarcia su Bo potrebbe avere conseguenze gravissime. Di fatto metterebbe in mora almeno il premier. Ciò è difficile ma non impossibile. Più probabile, almeno a oggi, è l’introduzione di misure più radicali contro Bo e i suoi alleati. Il fatto che non si siano rassegnati a incassare il colpo indica che si sentono forti nell’apparato.
Diventa quindi fondamentale nelle prossime ore che a Pechino si trovi una soluzione politica tra i vari attori. Ciò dipende da quanto coeso è in realtà il gruppo dirigente. Se, come fu nel caso di Tian’anmen nel 1989 o con la "Banda dei 4" nel 1976, non si trova unità di intenti, allora la lotta politica finora interna potrebbe uscire dal palazzo con conseguenze imprevedibili.