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 2012  marzo 21 Mercoledì calendario

LA PROCURA DI ROMA INDAGA SUL CONTO DELLO IOR IN GERMANIA

La Procura di Roma sta indagando in Germania sulla banca del Vaticano, lo IOR. È questo l’ultimo colpo di scena che vede opposti da un lato il procuratore aggiunto Nello Rossi e il sostituto procuratore Stefano Rocco Fava e dall’altro il presidente e il direttore generale dell’Istituto Opere Religiose, rispettivamente Etto-re Gotti Tedeschi e Paolo Cipriani, indagati dal settembre del 2010 per violazione delle norme antiriciclaggio.
SIAMO DI FRONTE a una vera e propria partita a scacchi che va avanti ormai da un anno e mezzo, e che ora si sposta su uno scenario internazionale. Mentre il Vaticano cerca disperatamente di convincere gli ispettori dell’organismo internazionale Moneyval a farlo uscire dalla lista grigia degli stati poco virtuosi (il Comitato di Esperti per la valutazione delle misure di contrasto del riciclaggio è stato a Roma la settimana scorsa) i pm italiani inseguono le rotte delle sue finanze oscure fino in Germania dove lo IOR si è arroccato. I pm romani vogliono conoscere tutti i movimenti del conto corrente dello IOR presso la JP Morgan di Francoforte e hanno inoltrato una prima richiesta di rogatoria internazionale alle autorità tedesche tramite il ministero della giustizia.
Quattro mesi fa però le autorità federali tedesche hanno negato la loro collaborazione con una risposta cortese ma ferma, ispirata probabilmente più da ragioni politiche che tecniche. I magistrati romani non si sono dati per vinti e stanno tentando di ottenere il medesimo risultato utilizzando un canale alternativo: l’UIF, cioé l’Ufficio di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia, che ha già inoltrato la sua richiesta al corrispondente organismo tedesco.
Per capire la ragione di tanto interesse verso la filiale di Francoforte del colosso bancario americano bisogna partire da un dato: lo IOR, dopo decenni di ottimi rapporti, ha deciso di limitare drasticamente fin quasi allo zero l’operatività con le nostre banche. La vera ragione di questa scelta secondo gli investigatori italiani risiede nel mutato atteggiamento delle autorità del nostro paese nell’applicazione della normativa antiriciclaggio. Lo IOR, infatti, spesso opera non come una banca ma come una vera e propria società fiduciaria che scherma la reale proprietà dei fondi sui suoi conti correnti. Il caso di scuola è quello dei nove bonifici per 225 mila euro partiti da un conto IOR e destinati a un gruppo di catanesi vicini alla mafia. Quei soldi erano il provento di una truffa ma - grazie alla gentile collaborazione del nipote sacerdote di un mafioso - giungevano a Catania con la berretta papale a coprire la coppola.
Quando la Procura di Roma ha scoperto che lo schema veniva replicato da chiunque volesse nascondere l’origine dei suoi soldi grazie alla complicità di un sacerdote amico, è immediatamente corsa ai ripari.
ALL’IMPROVVISO nel 2010 lo IOR ha scoperto gli obblighi antiriciclaggio. Il nodo è venuto al pettine il 6 settembre del 2010 quando l’Istituto finanziario vaticano presieduto da Ettore Gotti Tedeschi ha ordinato al Credito Artigiano di trasferire 23 milioni alla Jp Morgan di
Francoforte ( 20 milioni) e alla Banca del Fucino per 3 milioni. Lo Ior pretendeva che la banca omettesse le comunicazioni previste dalla normativa antiriciclaggio italiana. Per questa ragione la
Procura chiese il sequestro e da allora indaga il presidente e il direttore generale dello IOR. Per sbloccare i fondi c’è voluto di fatto un motu proprio del Papa del dicembre del 2010. La nuova legge creava l’AIF, l’Autorità di Informazione Finanziaria che avrebbe dovuto collaborare con l’UIF italiano utilizzando propri poteri di ispezione sullo IOR e gli altri enti vaticani.
Inizialmente sembrava filare tutto liscio: la prima richiesta di informazioni inoltrata dal-l’UIF ottenne una risposta a tempo di record dall’AIF, presieduta da un cardinale autorevole come Attilio Nicora. Per premiare il cambio di direzione i pm romani nel giugno del 2011 diedero il
loro parere favorevole al dissequestro dei 23 milioni. Da quel momento però si è realizzato il detto popolare “passata la festa gabbato lo Santo”. Lo IOR non ha più fornito informazioni all’AIF sulle informazioni relative a rapporti precedenti all’aprile del 2011, data di entrata in vigore della legge. Poi il 25 gennaio un secondo colpo di scena: con un decreto il Vaticano, su input del Segretario di Stato Tarcisio Bertone, ingrana la retromarcia: l’Aif perde i poteri di ispezione che tornano sotto il dominio della Segreteria di Stato.
Nel frattempo la Banca d’Italia impone agli istituti italiani di chiedere allo IOR il nome del reale titolare dei soldi movimentati e la banca vaticana si disamora della penisola. Con una serie di bonifici per decine e decine di milioni di euro i soldi del Vaticano lasciano le banche italiane, come l’Unicredit ex Banca di Roma, e volano a Francoforte alla banca Jp Morgan.
LO IOR, per effettuare i suoi bonifici milionari che alimentano l’attività delle Congregazioni usa un conto acceso presso l’unico sportello della banca americana Jp Morgan in Italia. Il conto 1365 presso la filiale di Milano però si muove in modo particolare: in forza di una clausola contrattuale il saldo di fine giornata deve essere sempre riportato a zero e il suo contenuto refluisce sul conto Ior a Francoforte. Di fatto è il cavallo di Troia attraverso il quale lo IOR opera in Italia: i movimenti nell’arco di un anno e mezzo superano il miliardo e mezzo. Nell’ottobre 2011, la Procura di Roma scopre l’inghippo e chiede all’Uif - l’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia - di intervenire. Gli ispettori di Bankitalia chiedono informazioni sui reali intestatari dei soldi movimentati dallo IOR. JP Morgan gira le richieste allo Ior che risponde picche. Il 15 febbraio, per evitare guai, Jp Morgan comunica a IOR la chiusura definitiva del conto a far data dal 30 marzo 2012. Ora la banca del Vaticano si è ritirata a Francoforte, nella Germania di papa Ratzinger. Ma la Procura di Roma è arrivata fin lì.