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 2012  marzo 21 Mercoledì calendario

Come non far pubblicità ai propri libri - Appena qualcuno sa che sta per uscire un tuo li­bro, anziché preoccu­parsi di leggerlo, ti do­manda subito: «Dove lo presen­ti? »

Come non far pubblicità ai propri libri - Appena qualcuno sa che sta per uscire un tuo li­bro, anziché preoccu­parsi di leggerlo, ti do­manda subito: «Dove lo presen­ti? ». Io rispondo sempre che non lo presento da nessuna parte, si pre­senta da solo, e ci restano tutti ma­lissimo, come se gli facessi un di­spetto. Forse perché la gente pen­sa che sia meglio venire a una pre­sentazione che doversi leggere un libro. Anche alla Mondadori le si­gnorine ufficie stampe sono quasi sdilinquite quando ho annunciato che non mi interessa fare presenta­zioni de L’inumano , anzi se me le ri­sparmiano è meglio, e una ha escla­mato: «Non si è mai sentito! Tutti vogliono fare le presentazioni!». Se domandate a qualsiasi addetto ai lavori a chi servano le presentazio­ni, chiunque ti risponde all’auto­re, non certo al libro. È una legge scientifica: tanto più un’opera è importante, tanto me­no uno scrittore ha voglia di presen­tarla. Non solo per il principio leo­pardiano che se uno scrittore cono­scesse uno a uno i propri lettori non scriverebbe mai, ma anche per il contrario: sono talmen­te vivo nella mia scrittura che a vedermi dal vivo non pos­sono non restarci male. Oltretut­to se avessi potuto parlare della mia opera ne avrei parlato senza scriverla, quindi il parlarne può so­lo togliere. Tuttavia le presentazioni sono sociologicamenteutiliproprioper­ch­é rappresentano la cartina torna­sole di questo principio misurabi­le: l’importanza di un libro è inver­samente proporzionale al numero delle presentazioni dello stesso. Se sei uno scrittore vero hai messo tal­mente te stesso nella tua opera da non avere nessuna voglia di par­larne tu per primo, tanto meno di sentirne parlare un terzo che è lì so­lo per far piacere a te e si sforza di non sbadigliare mentre spiega al pubblico convenuto, quando c’è, che l’autore ha scritto il libro più bello del mondo. La cosa triste è che perfino il pubblico, essendo per lo più formato da amici o paren­ti più o meno stretti dell’autore, si sforza di non sbadigliare. Se studiate le combinazioni di presentatori e presentati avrete an­che una mappa delle relazioni edi­toriali e delle relative marchette: sono tutti rapporti orali reciproci e neppure quando sono di sinistra rappresentano il ’68 ma sempre pornograficamente dei 69 sfalsati nel tempo, io ti do presentandoti oggi tu me lo ut des presentando­mi tra sei mesi. In linea di massima i siciliani presentano i siciliani, i sardi i sardi, i pugliesi i pugliesi e i T i Q. Voler essere presentati è una ma­lattia composta da varie patologie: se per l’autore è la sindrome da tesi di laurea, per il piccolo editore è la sindrome del venditore porta a por­ta. Infatti, mentre se chiedete ai grossi editori quanto conta una presentazione per la sorte com­merciale del libro vi rispondono ze­ro, se chiedete ai piccoli editori vi dicono moltissimo:è l’unico posto dove possono vendere tre copie al­meno ai familiari dell’autore. Non mancano editori inesistenti, mai visti in libreria, che si vedono solo nelle presentazioni: tanto paga tutto l’autore. A parte le diagnosi cliniche, ci sono di­verse spiegazioni antropologiche e so­ciali, nessuna alter­nativa all’altra, tutte complementari, tut­te penose. In linea di massima gli auto­ri desiderano pr­esentare i propri li­bri perché vogliono essere presen­tati loro, in carne e ossa, è un modo come un altro per cercare di esiste­re fuori da Facebook e gli altri so­cial network, il libro è secondario: lo hanno scritto apposta per pre­sentarlo, quindi è il libro che serve a presentare l’autore,mai il contra­rio. Nelle provincie italiane ci sono le presentazioni più belle per­ché sfigatissime, piene di pro­fessori e studiosi sconosciutis­simi, sembrano i professori ospiti de L’infedele di Gad Ler­ner che tra l’altro credo sia­no dei figuranti, nessuno li ha mai visti da nessuna par­te. Il massimo della presen­tazione di provincia è far in­tervenire qualche rappresentante comunale, essere riveriti dall’am­ministrazione locale. Infatti se per i giovani autori preferibilmente Ei­n­audi presentare un libro è un mo­do per far carriera, per gli autori di provincia over cinquanta è il neore­alismo fuoritempo massimo: mi ha presentato il professor XY. Tal­volta i più intraprendenti riescono perfino a far intervenire l’onorevo­le XY o a presentare il libro in una sala del Senato. In ogni caso l’ico­nografia classica di ogni presenta­zione che si rispetti è questa, sap­piatelo, almeno se la vedete anche da lontano fate in tempo a scappa­re: l’autore sta al centro,cristologi­camente, e ai lati due facce da mor­to si passano mestamente un mi­crofono, come fosse un lumino. So­litamente la sala è così piccola che non ci sarebbe bisogno di nessun microfono ma vogliono parlare lo stesso al microfono, per amplifica­re il nulla, come quelli che registra­no le voci dei morti: l’autore crede che sia la sua festa, non ha capito che è il suo funerale, la certificazio­n­e tridimensionale della sua ine­sistenza. Sevoletecapirevisiva­mente quanto sono ridicole le presentazioni andate a vedere quante presentazioni hanno fatto Joyce o Kafka o Flau­bert, o immaginate un genio vero presentato da un auto­re italiano: «Antonio Scurati presenta Alla ricerca del tem­po perduto . Sarà presente l’autore».Che poi,a pensarci adesso, anche queste formule standard sono ancora più pateti­che e rivelatrici: «Sarà presente l’autore»,che si­gnifica? Come se avesse potuto esserci la presen­tazione anche senza l’autore che ha rotto le palle a voi, agli amici, agli amici degli amici, ai parenti, al­la fidanzata, alle ex fidanzate, a chiunque per organizzare la sua presentazione di merda, e poi vor­rebbe pure non essere presente?