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 2012  marzo 21 Mercoledì calendario

Il comandante del peschereccio: non so se spararono dalla «Lexie» - E adesso il proprietario del pe­schereccio che sarebbe stato col­pito dalle raffiche dei marò cam­bia idea

Il comandante del peschereccio: non so se spararono dalla «Lexie» - E adesso il proprietario del pe­schereccio che sarebbe stato col­pito dalle raffiche dei marò cam­bia idea. In un’intervista al setti­manale Oggi dichiara candida­mente: «Nessuna certezza che la petroliera da cui sparavano fosse l’Enrica Lexie». I due fucilieri di marina Massi­miliano Latorre e Salvatore Giro­ne restano, però, in carcere. E lu­nedì l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, capo di stato maggiore della Marina, nel suo discorso al rientro a casa dall’Afghanistan dei «leoni» del San Marco ha ricor­dato come i soldati italiani abbia­no salvato 12 tecnici indiani presi in ostaggio dai talebani. Nel numero di Oggi in edicola parla per la prima volta Freddy Bo­sco, capitano del peschereccio «St. Anthony», l’imbarcazione su cui si trovavano i due pescatori uc­cisi il 15 febbraio. «Noi non abbia­mo letto il nome della nave. C’era­no pallottole dappertutto, erava­mo terrorizzati - dichiara Bosco - . Abbiamo solo visto che era una na­ve rossa e nera. È stata la polizia, a terra, a dirci quel nome». In prati­ca i simpatici agenti dello stato del Kerala avrebbero imbeccato il co­mandante del peschereccio di­cendogli che si trattava dell’ «Enri­ca Lexie », difesa dai marò. Nell’in­tervista il capitano descrive i mo­menti in cui i due marinai sono sta­ti colpiti, ma sembra quasi che i proiettili siano arrivati dal nulla. Peccato che Bosco abbia più volte cambiato versione e che punti, co­me ammette, a un risarcimento per lui e le famiglie delle vittime. Nel frattempo a Brindisi l’ammi­raglio Binelli, di fronte ai marinai del San Marco schierati dopo sei mesi di missione in Afghanistan, ha ribadito «al maresciallo Lator­re e al sergente Girone (rivolgo) l’assicurazione che non li abban­doneremo mai». Alla cerimonia di lunedì erano presenti i familiari dei marò in carcere in India con l’accusa di aver sparato ai due pe­­scatori, in missione anti pirateria. Poi il capo di stato maggiore della Marina ha ricordato: «L’India non potrà dimenticare che il nostro te­am ( di cui facevano parte Latorre e Girone, nda) proteggeva l’equi­paggio della nave, composto an­che da 19 marinai indiani, né po­trà­dimenticare che proprio uomi­ni del San Marco hanno contribui­to qualche mese fa alla liberazio­ne di alcuni tecnici indiani tenuti in ostaggio da terroristi nella zona di Herat». Lo scorso 3 novembre i talebani attaccarono il compound della Es­ko, che si trova ad un chilometro dal quartier generale italiano e for­ni­sce supporto logistico al contin­gente e alle organizzazioni inter­nazionali della zona. Un terrori­sta suicida si fece saltare in aria all’ ingresso. Cinque talebani entraro­no nel compound e presero in ostaggio 33 persone, compresi de­gli italiani e 12 lavoratori indiani. Intervennero i corpi speciali della Task force 45, di cui fanno parte i Comsubin, i commando della Ma­rina. La cornice di sicurezza era ga­rantita dal 66˚ reggimento aero­mobile Trieste. Cinque terroristi furono eliminati ed i 33 ostaggi, compresi una dozzina di indiani, liberati. Un’aliquota di sei fucilie­ri del San Marco li evacuò a bordo di fuoristrada blindati. Il console indiano fece visita a Camp Arena, il quartier generale del nostro contingente a Herat, ringraziando il generale Luciano Portolano che guidò l’operazio­ne. Binelli arringando i fucilieri di Marina appena rientrati dall’Af­ghanistan ha ribadito: «Sono cer­to che l’India, una grande demo­crazia giustamente orgogliosa del­la propria indipendenza, non po­trà non tenere conto della nostre richieste di giurisdizione (i marò devono venir processati in Italia, nda), né delle pesanti ripercussio­ni, in caso contrario, sulle relazio­ni internazionali che tutelano l’impiego dei militari all’estero». La fregata «Grecale», che solita­mente è impegnata in missione antipirateria fra le coste somale ed il Golfo di Aden, ha gettato l’an­cora sabato scorso a Colombo, ca­pitale dello Sri Lanka, l’isola-Sta­to vicino all’India. Ufficialmente si tratta di una visita programma­ta, ma in realtà la missione ha a che fare con la vicenda dei marò trattenuti nel Kerala. Se la petrolie­ra italiana bloccata da un mese a Kochi levasse le ancore sabato, co­me ci si aspetta, dirigerebbe su Galle, il porto meridionale dello Sri Lanka. I 4 marò a bordo, super­stiti dell’incidente che ha portato all’arresto di Latorre e Girone, tro­verebbero la «Grecale» ad atten­derli e un cambio dei loro commi­litoni in servizio anti pirateria. Poi tornerebbero a casa con il «Greca­le », che deve rientrare in patria, o in aereo da Colombo. Questo a patto che la magistra­tura del Kerala non abbia idee di­verse. Ieri è stata rinviata a vener­dì l’udienza definitiva per liberare la «Lexie» con il suo equipaggio. Alla Fratelli d’Amato di Napoli, la società armatrice, sono fiduciosi. Il capitano dovrà firmare un impe­gno a ripresentarsi davanti alla corte del Kerala, se necessario. Quando l’«Enrica Lexie» salperà sarà un primo successo, ma Lator­re e Girone rimarranno in galera. Nonostante il capitano del pe­schereccio colpito sostenga di non aver alcuna certezza che la pe­troliera coinvolta nell’incidente fosse quella difesa dai marò.