GIANANDREA PICCIOLI, Tuttolibri-La Stampa 17/3/2012, 17 marzo 2012
Pasolini, nostro mistero eleusino - Emanuele Trevi, QUALCOSA DI SCRITTO, Ponte alle Grazie ppp. 246, 16,80 *** Qualcosa di scritto di Emanuele Trevi è, come spesso oggi i testi letterariamente più interessanti, di difficile categorizzazione: saggio-romanzo? forse, meglio, saggio-memoriale («memoria» dice l’autore a p
Pasolini, nostro mistero eleusino - Emanuele Trevi, QUALCOSA DI SCRITTO, Ponte alle Grazie ppp. 246, 16,80 *** Qualcosa di scritto di Emanuele Trevi è, come spesso oggi i testi letterariamente più interessanti, di difficile categorizzazione: saggio-romanzo? forse, meglio, saggio-memoriale («memoria» dice l’autore a p. 188). Vi si intrecciano tre filoni: il primo è un’analisi molto originale di Petrolio di Pasolini. C’è poi un ritratto straordinario, insieme divertente e impietoso, di Laura Betti. Come tutti gli indagatori del «sacro» Trevi è ateo, anzi, in un Paese di finti credenti come l’Italia, stoicamente ateo: il suo sguardo è fermo, senza velo di lacrime, senza commiserazione: «I principali ingredienti [della pienezza dell’umano] sono la sofferenza e la comicità, talmente impastate e confuse che è impossibile, ormai, distinguerle» scrive rievocando una scena grottesca di cui è protagonista la «Pazza», epiteto costante della Betti. Che, pur opposta nell’ideologia, si rivela identica nella struttura psichica e nella sofferenza che ne deriva, negli scatti umorali e negli improperi, persino nei soffi e nei borbottii preludio di clamorose, umilianti scenate, a un’altra grande e solitaria nevrotica: Oriana Fallaci. La terza componente, che lega il tutto con eleganza discreta, è quella appunto memoriale, le peripezie biografiche e intellettuali di un «eterno apprendista perdigiorno» come en passant si definisce l’autore. Spesso vien da pensare a Garboli. Trevi è una sorta di Garboli da camera, e la definizione non vuole essere riduttiva: è una questione di prospettiva, di strumentazione. Ma come Garboli anche Trevi reinventa l’oggetto della sua attenzione e lo fa diventare, teatralmente, più vero dell’ originale. E anche a lui più dell’opera finita interessano gli incunaboli antropologici, anche fisicamente antropologici, dell’opera: per entrambi il processo conta più del risultato. Non a caso quindi si parla qui di Petrolio , testo incompiuto di un autore che della fisicità ha fatto strumento di conoscenza del mondo e che proprio in Petrolio abolisce la mediazione narrativa per testimoniare, così nell’ingegnosa interpretazione di Trevi, un percorso iniziatico che attraverso un rituale analogo a quello dei misteri eleusini conduce a una rivelazione: nel rito si raccontano storie in cui si manifesta il potere. E la triade potere mistero racconto sta al «vertice, ancora del tutto misconosciuto, del pensiero politico e filosofico di Pasolini» (p.133). E sulla morte di Pasolini Trevi respinge le tesi complottiste: i capitoli mancanti del libro non avrebbero contenuto denunce strepitose, essendo tutte di seconda mano le fonti di Petrolio . Ora è vero che Pasolini lottava contro il potere in sé e i suoi arcani e non era incline a rivelazioni scandalistiche, ma D’Elia, in un libro di cui si è troppo poco parlato, Il petrolio delle stragi , ha esibito prove di un complotto difficilmente contestabili; e Di Stefano ha scritto di aver visto, fra le carte pasoliniane al Vieusseux, appunti e trascrizioni basati su documenti originali e inediti. Manca lo spazio per dar conto come si dovrebbe dello stile di Qualcosa di scritto . Immagini illuminanti, mai gratuite; ritmo interno della frase; cadenze in sospeso di molti capitoli, in modo che il lettore esaurisca la tensione melodica all’inizio del capitolo seguente, montaggio sapiente dei vari spezzoni tematici di cui si intesse questo resoconto di un’avventura critica. Siamo in presenza di uno dei libri più maturi dello scrittore romano.