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 2012  marzo 17 Sabato calendario

“SonoPiumini una zucca piena di storie” - Ha scritto favole, ballate, filastrocche, romanzi, racconti e poesie; prose poetiche, rime narrative, testi per la musica, canzoncine, canzonieri, storie di magia; poemetti epici, sonetti erotici, episodi mitologici; scherzi, leggende, apologhi, commedie teatrali, narrazioni epistolari e adesso, ma solo per gioco, un’autobiografia

“SonoPiumini una zucca piena di storie” - Ha scritto favole, ballate, filastrocche, romanzi, racconti e poesie; prose poetiche, rime narrative, testi per la musica, canzoncine, canzonieri, storie di magia; poemetti epici, sonetti erotici, episodi mitologici; scherzi, leggende, apologhi, commedie teatrali, narrazioni epistolari e adesso, ma solo per gioco, un’autobiografia. Per un fenomeno come Roberto Piumini - scrittore prolifico, prodigioso poligrafo, autore vulcanico che, cavalcando con leggerezza le scritture più diverse, scavalcando con arditezza le partizioni fra i generi, fra prosa e poesia, fra letteratura per grandi o piccini, ha pubblicato quasi cinquecento libri - scrivere di sé non poteva che essere «ancora un altro gioco da fare con le parole». Finzione forse. Di certo non bugia. Perché Piumini, l’ineffabile, incontenibile, inclassificabile, ha trovato una formula magica e sempre indovinata per definire se stesso come «un uomo di parola, in tutti i sensi possibili». Fedele alla parola data, «distribuita ai bambini come il pane», spiega. E fatto, formato, fornito delle parole attraverso cui, nel modo più felice, sfrenato - ma non incontrollato - si esprime. Vi è un che di fanciullesco in lui: la serietà, l’autenticità oltre al divertimento, la curiosità, la fantasia, le inesauribili riserve di energia. Perciò ha un sottotitolo fiabesco il libro in cui L’autore si racconta (Franco Angeli, pp. 107, 15): dice di «La zucca il lago e l’alambicco» come volesse sorprendere il nipotino Pietro, «Pito» che sta crescendo ascoltando la voce narrante di cotanto nonno. Narra tra l’altro, in poche emblematiche righe, di una zucca che, galleggiando faticosamente sul lago, urtò un tipo trasparente e arrogante, Chimicco l’alambicco, il quale, per analizzare la sua polpa, borbogliando in latinorum cacciò il beccuccio sotto il picciolo e prese a suggerla avido e ghiotto. Finì per appesantirsi ed affondare, mentre il gran frutto, svuotato, leggero, e «solo vagamente pensoso», seguitò a navigare sulle onde del lago. Morale della favola? «Non volevo essere troppo analitico in questa ipotesi di “autobiografia”. Né estrarre la vena teoretica che purtroppo possiedo. Volevo però scavare in un passato che, da smemorato quale sono, tendo a dimenticare. E sondare la memoria di una scrittura di cui, più che di me stesso, racconto la storia». L’alambicco, insomma, che con quel nome bislacco riesce perfino simpatico, troverà delle sorprese. Succhiando fino alle fonti scoprirà che vi si mescolano le acque di varie sorgenti. «Da bambino dice Piumini - ero immerso in un mondo linguistico vario e strano. Nato a Edolo, in Val Camonica, ascoltavo e capivo il camuno, un duro dialettico di ceppo gallo-italico. I miei genitori provenivano dall’Appennino bolognese, perciò dai nonni, durante le vacanze, sentivo parlare un emiliano di montagna, denso di accenti toscani. In chiesa risuonava un latino solenne e misterioso. A scuola, in famiglia, alla radio, si parlava l’italiano». Un coro polifonico di voci. «Di certo ha prevalso la dimensione orale, più che libresca, della parola. Dalla radio, un vecchio apparecchio Phonola, sgorgava puro racconto, una parola per l’immaginazione che poi al cinema, a teatro, si intrecciava alle sequenze, all’azione, a ritmo, rima, prosodia, in un gioco tutto fisico e verbale». Giocosità, fisicità e canto: sono queste le caratteristiche che un ascoltatore così attento a tutti gli echi del linguaggio ha riversato in una scrittura oltremodo attraente per i lettori più piccoli. «Il bambino, anche come lettore, è sempre disposto a giocare e a lasciarsi prendere per il corpo. Il narratore per lui è presenza fisica», racconta Piumini che quotidianamente incontra scolaresche e giovani lettori in situazioni di gioco, spettacolo e animazione. «E il testo, quando è scritto per lui, trasuda corpo». Un’idea così sensibile della parola che è voce corpo forma, fa pensare alla poesia. «Il canto - ammette Piumini, è stato per lui fin dall’inizio - una necessità vitale. Avevo 13-14 anni quando segretamente presi a scrivere versi. Pochi di più quando, alla mia “autoscuola poetica”, lessi il Cantico dei Cantici, Leopardi e Tagore, Omero, Catullo e l’antologia di Spoon River, per saziare una fame di parole intense e espressive». Con una punta di dolore ricorda come, chiamato da un editore per ragazzi a scrivere una riduzione in prosa dell’Eneide, si ritrovò a comporre inconsapevolmente strofe giambiche: «Anche in silenzio, sulla pagina, il canterellare prosodico sgorgava da sé dalla mia penna». Che poi questo impulso irresistibile sia stato in altri modi disciplinato - attraverso le lunghe, sterminate traduzioni poetiche, dei sonetti di Shakespeare, l’Aulularia di Plauto, il Paradiso perduto di Milton, o in una raffinatissima scrittura per adulti è altro discorso. All’orecchio dei bambini, la musica che canta tra le righe non sfugge.