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 2012  marzo 17 Sabato calendario

LA SAGA RUSSA E I CORSARI. IL TEATRO COME UN SERIAL —

LA SAGA RUSSA E I CORSARI. IL TEATRO COME UN SERIAL — Nel tempo frenetico della modernità, c’è ancora spazio per il tempo sospeso del teatro. Al Carignano di Torino, il 20 marzo debutta The Coast of Utopia di Tom Stoppard con la regia di Marco Tullio Giordana (al Teatro Argentina di Roma dal 10 aprile). Viaggio-naufragio-salvataggio: una trilogia lunga 7 ore, divisa in tre puntate, che ripercorre trentacinque anni di storia russa (1833-1868), raccontando sogni e passioni, ideali e delusioni di anarchici, filosofi e rivoluzionari dell’epoca. Ma non è un fenomeno recente. Dall’epica maratona del Mahabharata di Peter Brook, che alla metà degli anni ’80 fece scalpore con le sue 9 ore, alle 12 ore dei Demoni di Dostoevskij per la regia di Peter Stein, passando per le 7 ore de Gli ultimi giorni dell’umanità di Kraus con la regia di Luca Ronconi, le 10 ore del Lipsynch di Robert Lepage e le 15 ore del Non essere. Hamlet’s Portraits di Antonio Latella.
Nel febbraio scorso, lo Stabile di Roma ha offerto altre due proposte in tal senso: Il Corsaro Nero di Salgari, sia in 4 capitoli sia in un’unica soluzione, e L’origine del mondo di Lucia Calamaro, in 4 spettacoli e relativa maratona. Tutte produzioni imponenti, spesso economicamente impegnative, che richiedono dispendio di energie agli attori, e anche agli spettatori.
«Stein aveva distribuito molto bene le 12 ore — sottolinea Maddalena Crippa, tra i protagonisti della maratona dostoevskijana —. Innanzi tutto fra noi attori c’era alternanza: è difficile reggere più di 2 ore e mezzo in scena. E poi per il pubblico, che usufruiva di una serie di intervalli». Marco Foschi, protagonista delle 15 ore dell’Amleto di Latella, osserva che per lui, recitare tante ore di seguito «ha un effetto di trance: si lavora sulla stanchezza, si abbassano le difese razionali, il controllo viene meno e in palcoscenico possono accadere cose molto interessanti».
È l’elogio della lentezza e il pubblico partecipa numeroso e compatto. «Perché con queste operazioni — riprende la Crippa — viene messo in discussione il concetto stesso della spasmodica realtà da cui siamo travolti e dove tutto deve esaurirsi velocemente. È la qualità di come trascorri il tempo a fare la differenza. Offrire al pubblico una giornata intera in una sala teatrale, è come offrire un viaggio al di fuori della quotidianità, ma dentro la tua umanità, in massima concentrazione, senza distrazioni, senza telefonini, senza pubblicità che interrompa, ma dentro i valori di un’opera. E infatti il pubblico resta fino alla fine del viaggio: è più maturo di quanto si pensi e va nutrito».
Sala gremita anche per Il Corsaro Nero. «Non nascondo — ammette Foschi, protagonista anche di questo spettacolo — che la prima reazione di qualcuno all’idea della maratona era "oddio, sai che pa...!": non si è abituati alla dilatazione del tempo, tutto dev’essere mordi e fuggi. Quando però capita di assistere a uno spettacolo "necessario", allora può durare anche molto a lungo». Anche il regista del Corsaro, Pierpaolo Sepe era preoccupato dalla reazione degli spettatori: «È molto difficile inchiodarli alla poltrona e temevo non funzionasse. Mi sono dovuto ricredere: la gente, quando può, ama trasferirsi in un’altra dimensione».
Tutto bene, ma non per tutti. Dario Fo non è d’accordo con certe dilatazioni: «Sono un fanatico della resistenza psichica dello spettatore. Non si può approfittare della sua pazienza, bisogna rispettarne i ritmi, anche quelli biologici... magari per andare al gabinetto! Una volta la moglie di Brecht, Helene Weigel, disse che, uno dei conflitti più frequenti con il grande drammaturgo, riguardava proprio la durata delle rappresentazioni. È per questo che le nostre performance non durano mai più di un paio d’ore».
E Giorgio Albertazzi, che si è cimentato in uno spettacolo a episodi, I filosofi alle primarie, ma mai in maratone, esclama: «Io non starei fermo per ore neanche davanti a Gesù, figuriamoci in teatro! Giusto se recitassero Maometto o Napoleone potrei esserne incuriosito. Un conto è fare un serial, come ho fatto io, un conto la maratona. Di solito — conclude — queste operazioni sono esibizioni registiche e, se diventa una moda, allora è un disastro. Comincerebbero a sfidarsi, dicendo: il mio è più lungo del tuo...».
Emilia Costantini