Stefano Montefiori, Corriere della Sera 17/03/2012, 17 marzo 2012
IL TRIBUNO DELL’ULTRASINISTRA CHE METTE PAURA A HOLLANDE —
Condurrà il popolo di sinistra alla riconquista della Bastiglia, ma potrebbe fargli perdere l’Eliseo. Jean-Luc Mélenchon, 60 anni, ex correttore di bozze, benzinaio, giornalista e ministro socialista, quattro anni fa ha lasciato un partito a suo dire senza speranze per mettersi alla testa dei movimenti anticapitalisti, ecologisti, radicali e no global che nella grande marcia di domani sfileranno per le strade di Parigi fino alla Bastiglia, nel giorno dell’anniversario della Comune: sono attese dalle 30 alle 40 mila persone. «Populisti», hanno riassunto finora gli avversari, di destra e soprattutto di sinistra. Ma Mélenchon continua a crescere nei sondaggi e sfiora ormai l’11 per cento, a cinque punti da Marine Le Pen e a tre da François Bayrou, entrambi in stallo.
Nelle settimane del duello Sarkozy-Hollande, dei faraonici meeting costati milioni di euro prima al Bourget poi a Villepinte e dell’occupazione degli spazi radio-tv da parte delle due grandi macchine di partito, Mélenchon è giudicato il candidato che sta conducendo la campagna migliore: pochi mezzi ma grande efficacia, e i risultati si vedono. Non solo dall’ascesa nei sondaggi, ma dal fatto che i suoi temi e le sue proposte vengono ormai regolarmente ripresi dai due candidati di testa.
Tassare al 75% la parte di reddito che supera il milione di euro l’anno? «La versione improvvisata e raffazzonata da François Hollande della mia proposta di stabilire 14 aliquote diverse, con l’unico scopo di fare pagare davvero i ricchi», dice Mélenchon. Sarkozy annuncia in televisione che gli esiliati fiscali dovranno pagare parte delle tasse anche in Francia? «Un trionfo — dice Mélenchon —, le mie tesi sono giuste, funzionano e pure il presidente della Repubblica sa che sono popolari, quindi me le copia. Io propongo questo: un francese che lavora all’estero, e versa le tasse nel Paese di residenza, deve dire al Fisco francese quanto paga. Se paga meno di quanto pagherebbe in Francia, verserà la differenza da noi. Vi sembra una cosa da Corea del Nord? No, è quel che succede per i cittadini degli Stati Uniti, che legano fiscalità e nazionalità».
Sarkozy, i suoi collaboratori e i media amici lasciano trapelare stima per il capopopolo in ascesa, dimenticando o fingendo di dimenticare le sue sbandate per Hugo Chávez e il comunismo cubano: Mélenchon riscuote sempre più simpatia anche a destra, dove viene trattato come l’anticapitalista puro d’animo che ha il coraggio delle proprie idee, al contrario di un François Hollande tacciato di opportunismo e incoerenza.
Un modello di relazione non nuovo (basti pensare all’ammirazione per Fausto Bertinotti sbandierata tempo fa da Silvio Berlusconi) che è un crescente, imprevisto problema per François Hollande. Oggi il candidato socialista — tuttora dato vincitore al secondo turno su Sarkozy — incontra a Parigi i leader della sinistra europea, tra i quali Pier Luigi Bersani e il socialdemocratico tedesco Sigmar Gabriel, in un convegno che vuole segnare la «rinascita» dell’ideale europeo secondo una visione opposta a quella dell’asse conservatore dei Sarkozy, Merkel e Cameron. Un’iniziativa che serve anche a bilanciare gli appoggi internazionali del «presidente uscente», come Hollande si ostina a chiamare Sarkozy. Ma intanto, all’interno della Francia, Mélenchon continua a muoversi come una spina nel fianco. La destra rispolvera e pubblicizza su Internet un vecchio video di tre anni fa, nel quale Mélenchon dice: «un accordo con Hollande o niente, è la stessa cosa, tanto non rispetta mai la parola data». Segue l’imbarazzante racconto — soprattutto per Mélenchon — di quando nel lontano 1997, al congresso di Brest, i due si misero d’accordo per truccare i risultati dello scrutinio, «ma lui alla fine mi dette solo l’8%, si divertì a umiliarmi».
Hollande chiede agli elettori di sinistra di non disperdersi, di pensare al «voto utile» già per il primo turno del 22 aprile. Mélenchon si infuria e chiede i consensi per sé, «al secondo turno ci penseremo dopo». Così Hollande si trova a lottare allo stesso tempo contro il presidente dei ricchi e il campione dei poveri.
Stefano Montefiori