Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  marzo 17 Sabato calendario

COSI’ LA CASA BIANCA SPIA I SOCIAL NETWORK —

«Anche se le informazioni personali circolano molto più liberamente che in passato, dobbiamo respingere l’idea che la "privacy" sia ormai un valore fuori moda. È stata da sempre il cuore della nostra democrazia e oggi abbiamo più che mai bisogno di diritto alla riservatezza». Parola di Barack Obama, che qualche tempo fa ha pubblicato il suo «Consumer Privacy Bill of Rights»: una carta dei diritti non vincolante basata su 7 principi (dal controllo individuale dei propri dati alla trasparenza sulla raccolta e il loro uso) che il governo Usa vuole usare come traccia per le norme da proporre al Congresso e i regolamenti delle «authority» di controllo.
Solo che a un migliaio di chilometri dalla Casa Bianca, a Chicago, nel quartier generale della campagna per la rielezione di Obama, l’eco di quegli impegni del presidente arriva appena. E nessuno sembra tenerne troppo conto. Al centro della macchina di «Obama2012» c’è un team multidisciplinare di «computer scientists», statistici, matematici, sviluppatori di software, analisti e «data miners»: per loro i profili personali di milioni di elettori sono la materia prima su cui lavorare se si vuole incidere davvero su una battaglia elettorale già durissima, col leader democratico debole nei sondaggi nonostante i progressi dell’economia e la leggera ripresa dell’occupazione.
Bisogna usare tutte le tecnologie più sofisticate per recuperare i delusi, trovare finanziatori e volontari. E siccome la vera novità, rispetto al 2008, è il «boom» di Facebook e delle altre reti sociali, lo sforzo degli analisti di Obama è proprio quello di scavare nei profili personali di decine di milioni di utenti per capire su quali soggetti concentrare gli sforzi di reclutamento o la richiesta di contributi elettorali. Se sai che un elettore che nel 2008 ha sostenuto con entusiasmo Obama ora ha perso il lavoro ed è frustrato lo cerchi per rincuorarlo, non vai a chiedergli soldi. Per evitare di commettere un errore che ti può costare un voto devi, però, procurarti un enorme «database» di informazioni personali.
Chi lo fa rispetta i principi enunciati da Obama? Ottenere informazioni specifiche in materia dal quartier generale di Obama (ma anche da quelli dei candidati repubblicani) è quasi impossibile. Le informazioni sulle tecnologie digitali usate nella campagna elettorale sono considerate segreti da custodire gelosamente. Al massimo ottieni generiche rassicurazioni: Obama2012 si è data un codice etico in materia di «privacy» e comunque le direttive della Casa Bianca, relative allo sfruttamento commerciale dei dati, non si applicano a una campagna elettorale che ha finalità politiche.
Ma è evidente che tra le parole del presidente e le inevitabili forzature tecnologiche di una campagna elettorale esasperata ci sono contraddizioni stridenti. Sulle quali già battono le associazioni per la tutela dei consumatori e dei cittadini. Ad esempio Jeff Chester, direttore del «Center for Digital Democracy», per il quale «è inaccettabile l’idea che la campagna di Obama possa creare dossier politici su singoli individui a loro insaputa».
Curiosamente non arrivano grandi proteste dal fronte conservatore. Probabilmente perché anche i candidati repubblicani usano le stesse tecniche. Quella di «scavare dati» sembra ormai essere diventata un’attività centrale di tutta la politica americana: nel solo mese di gennaio il partito democratico ha speso 600 mila dollari (e quello repubblicano oltre 400 mila) per attività di questo tipo svolte da società specializzate in «data mining».
A suscitare la reazione accesa dei repubblicani è stato, invece, il documentario elettorale pro Obama girato dal regista premio Oscar David Guggenheim, con la voce narrante di Tom Hanks, diffuso da giovedì sera su un nuovo tipo di piattaforma interattiva di YouTube dove, dopo aver visto i 17 minuti di «The Road We’ve Traveled» (La strada che abbiamo percorso), chi vuole può donare, arruolarsi, discutere. Un documentario pubblicitario rivolto agli elettori delusi dalle promesse mancate di Obama che li invita a riflettere sulla realtà della crisi più grave mai vissuta dall’America: un presidente senza sorriso, assorto, che prende decisioni delicatissime. Il messaggio: «È dura, ma ci ha governato bene, poteva andare molto peggio». È solo «docu-ganda», replicano, infuriati, i repubblicani che hanno diffuso un finto manifesto del filmino con immagini di Obama che sghignazza e gioca a golf. Graffia di più il sito progressista Slate.com che, citando lo slogan del 2008 e giocando sulla rima, in inglese, tra «mope» e «hope» scrive: «Dall’audacia della speranza all’audacia della depressione».
Massimo Gaggi