Il Fogliio 13/3/2012, 13 marzo 2012
PICCOLA POSTA
La giustizia, eh? Vedo che il direttore qui ha introdotto il libro di quel famigerato Jacques Vergès sugli “Errori giudiziari”. “Il termine ‘errore’ non figura nel Codice di procedura penale”, avverte all’inizio il saggio. Le definizioni dei dizionari tengono a stare pro reo: sono errori quelli che determinano a torto una condanna. Un’assoluzione non rientra fra gli errori giudiziariamente interessanti. Il libro è vivace, come quando ricorda una famosa sentenza penale di Cassazione per cui nella revisione di una condanna ingiustificata bisognava applicare la presunzione di innocenza ai giudici che l’avevano emessa e non al condannato. E vedo anche che nella breve postfazione sul ragionevole dubbio di L. D. Cerqua, alto magistrato milanese di cui non so niente, si cita ripetutamente il sostituto P. G. della Cassazione Iacoviello, improvvisamente pervenuto alle cronache. Gli errori giudiziari sono una categoria consolante, perché vogliono escludere l’intenzione. Giudici che sbagliano, non giudici che decidono di sbagliare. Come al solito, si possono fare battute su quale delle due evenienze sia più temibile, a meno che non capitino in combinazione. Ma l’impressione del profano è che la giustizia – intendo l’amministrazione che ne prende il nome, non la giustizia come aspirazione, cioè la tentata riduzione dell’ingiustizia – sia gravata più di ogni altro ambito civile, più della finanza pubblica, da un debito antico e immane che le impedisce di riformarsi e insieme gliene offre un alibi. Il punto più visibile e raccapricciante è naturalmente il carcere. Ma guardate il resto: è una valanga. L’autopsia segnala che sull’infelice Giuseppe Uva, ammazzato in caserma, è stata compiuta una violenza sessuale. A Caltanissetta è andata ufficialmente in pezzi l’orrenda montatura che fece passare qualche disgraziato e qualche lazzarone per gli assassini di Borsellino e della scorta, ordita da alti funzionari dello stato, sancita da innumerevoli magistrati, risultata, oltre che nella derisione del martirio di quegli uomini coraggiosi, nella lunghissima galera di uomini incolpevoli. La vicenda di Alcamo, con la liberazione di un innocente tenuto in cella per vent’anni, era di pochi giorni fa. La discussione sul concorso esterno è un paragrafo di questo spaventoso disastro (ma questo bravo Iacoviello ha detto davvero che al concorso esterno “non crede più nessuno”? Perché non suonerebbe granché bene). Al quale disastro si troverà in eterno qualche pessima ragione e qualche buonissimo pretesto per non mettere mano. Il Berlusconi tutto intero di ieri diede una ragione forte, il mezzo Berlusconi di oggi ne dà una mezza. E l’Europa non scrive lettere – cartoline sullo spazio delle celle sì, e anche sulle torture – e le agenzie di rating non danno i voti ai tribunali. Ieri, forse mi sbaglio, ma ho sentito una vera mancanza di Peppe D’Avanzo.