Gabriele Beccaria, La Stampa 14-21/3/2012, 21 marzo 2012
14 marzo 2012 (14/3/2012) Intrufolatosi dal camino, il lupo è stato bollito vivo, ma dalle indagini emerge che i tre porcellini non siano i bravi ragazzi che qualcuno si ostina a difendere
14 marzo 2012 (14/3/2012) Intrufolatosi dal camino, il lupo è stato bollito vivo, ma dalle indagini emerge che i tre porcellini non siano i bravi ragazzi che qualcuno si ostina a difendere. Un video rivela che il lupo soffrisse d’asma e c’è chi pensa che i tre abbiano inscenato una rapina inesistente. Il processo cercherà di fare luce e gli interrogativi sui social networks dilagano come un incendio: dove finisce il diritto di difendere con armi abbiette la propria casa, già virtualmente assediata da mutui insostenibili? Mentre i porcellini, ammanettati, sono trascinati in aula, scoppiano i disordini di strada. La rabbia contro le banche degenera in violenza e gli articoli su carta e su iPad si susseguono, costruendo una storia dal finale aperto. Su Youtube questo spot pubblicitario è un evento: lo slogan con cui si chiude è «The whole picture» - la realtà intera - ed è così che il quotidiano inglese «The Guardian» si autopromuove, divertendosi a riraccontare la celebre fiaba. Immersa nel XXI secolo, eccola finire sotto i riflettori stravolta dalla molteplicità delle fonti e dalla varietà delle interpretazioni. Una sequenza cangiante - ma lo spot non lo dice - eccitata da un fenomeno noto come «Big Data» e che si può riassumere come la «neo-scienza di grandi numeri». Sebbene non abbia ancora colonizzato l’immaginazione collettiva, questa scienza emergente è così aggressiva da cambiare tutto e, infatti, lo tusnami sommerge perfino una roccaforte degli allergici ai numeri come il giornalismo. Proprio «The Guardian» è uno dei primi media a buttarsi nel labirinto del «data journalism»: un gruppo di reporters è stato incaricato di confezionare scoops esplorando la mole inarrestabile di dati elaborata da centri studi, corporations, governi, organismi finanziari ed entità internettinane, a cominciare dai social networks. Che si tratti di Wikileaks e la guerra segreta in Afghanistan o degli scenari sulla povertà in Occidente queste valanghe di saperi richiedono una mente versatile: stile da inviati, ragionamento da analisti. Altrimenti non c’è modo di maneggiare i codici con cui decifrare un universo di informazioni compresse in formule e schemi, fino a far sbocciare scoperte che, contaminandosi, generano ulteriori possibilità. Lo sanno bene gli scienziati: se le esigenze retoriche possono riposare in stand-by, la sfida intellettuale si concentra sui dati, un caos da manipolare senza sosta, seguendo singole ipotesi e progetti grandiosi. «Viviamo una rivoluzione - ha sentenziato Gary King, direttore dell’Institute for quantitative social science di Harvard -. Si comincia adesso, ma la marcia della quantificazione si diffonderà attraverso l’accademia, il business e i governi. Non c’è area che non sarà toccata». Tra gli esempi, si citano la «Global biodiversity information facility», un deposito grezzo di info sulla vita terrestre, dai batteri a interi habitat, la «ProteomeCommons», che custodisce 13 milioni di files sulle proteine, lo «Sloan Digital Sky Survey» con oltre 230 milioni di oggetti stellari e galattici e l’«International nucleotide sequence database collaboration», esteso su 250 miliardi di dati genetici. Senza dimenticare l’esperimento più ambizioso mai tentato, quello al Cern di Ginevra sull’origine dell’Universo, che si prepara a macinare 15 petabytes di conoscenza ogni 12 mesi (una gestione da 150 milioni di euro). «Big data» attinge a miniere che fino a poco tempo fa non esistevano e si organizza con il marchio di «scienza della complessità»: schizza oltre le singole parti (atomi, geni, individui, stelle) e, sfruttando i poteri dei supercomputers, si inerpica nel continente inesplorato delle proprietà emergenti, vale a dire i fenomeni che si generano dalle interazioni degli elementi-base, ma che allo stesso tempo li trascendono, con risultati non prevedibili. E’ come dire che da un Dna quasi identico si ottengono sia Obama sia Romney, ma anche un banchiere di Manhattan e un militante di «Occupy Wall Street». Oppure, a voler essere più sofisticati, significa che l’obiettivo della scienza esplode e muta di status. Ai tempi di Darwin era costruire teorie, spiegate dai fatti. Oggi, nell’epoca dei gruppi multidisciplinari, si accumulano database e si macinano simulazioni per osservare ciò che si materializza. Ma non è detto che l’epifania si manifesti e si approdi al momento della sintesi. Ciò che si intravede può essere solo una strada accanto a molte altre e quindi la rincorsa riparte subito. E’ la complessità, appunto. Così multiforme da non entrare in nessuno dei cassetti delle classificazioni tradizionali. Da oggetto solido la conoscenza, di metamorfosi in metamorfosi, è ora una dimensione liquida, in cui spostarsi lungo rotte multiple e immergersi a varie profondità. «Il problema è che questa informazione è inutile, se non si hanno i mezzi per navigarla», spiega il fisico Ciro Cattuto, vicedirettore scientifico dell’Isi Foundation di Torino, uno dei centri che hanno fatto della complessità la propria bussola. E così ha sperimentato un metodo per tuffarsi in Twitter e strappargli segreti altrimenti inespugnabili: servirà anche per i reporters di oggi e gli storici di domani. 21marzo Centotrenta milioni di messaggi su Twitter concentrati in pochi mesi: è questa la miniera in cui inoltrarsi. Obiettivo: prima di tutto non perdersi e poi capire come le emozioni si appiccicano a fatti e personaggi e altrettanto rapidamente se ne separano, dando vita ai fenomeni che sbrigativamente definiamo «popolarità». A uno scienziato sociale di qualche decennio fa un’impresa del genere sarebbe sembrata un sogno inafferrabile. Ora per gli scienziati della complessità è un’avventura possibile, sospesa tra l’abisso della potenza di calcolo e la voragine dell’imprevedibilità. Da una parte ci sono gli algoritmi da far girare sui computer e dall’altra i fuochi d’artificio delle sorprese: quali sono le leggi che governano bonacce e tempeste della psiche collettiva? Ciro Cattuto è il vicedirettore scientifico dell’Isi Foundation di Torino alla guida del gruppo che ha affrontato la mole dei 130 milioni di messaggi e li ha spremuti e trasformati: «Il bello - spiega - è osservare come si concentra l’attenzione di una folla su una storia e come si risolve. Twitter svela in tempo reale fenomeni che finora restavano nascosti». E infatti il sistema risponde istantaneamente e produce scie di impronte digitali che intersecano i fatti reali. «Abbiamo sfruttato gli “hashtags”, il meccanismo con cui gli utenti annotano i contenuti, per filtrare i messaggi e capirne le caratteristiche». E di analisi in analisi ecco la scoperta: «Sono apparse quattro categorie» - continua Cattuto - che corrispondono agli atteggiamenti individuali. Le reazioni «prima e durante» un fenomeno, quelle «durante e dopo», quelle «simmetriche», vale a dire in contemporanea, e quelle «sul singolo giorno» del picco dell’evento. Interagendo, gli atomi degli individui diventano folle rumorose. E si rivelano sotto forma di visualizzazioni grafiche elaborate dalle sequenze numeriche. Nel «trend anticipatorio» in occasione dei Masters di golf si assiste al crollo dell’attenzione quando Tiger Woods esce di scena, mentre nel «trend in tempo reale» innescato dalla sparatoria di Winnenden il processo è opposto, con un isterismo istantaneo che velocemente decresce. Il «trend simmetrico», invece, con una parabola di anticipazioni e reazioni è esemplificato dalle discussioni sul kolossal «Watchmen» e si contrappone al «trend in tempo reale» materializzatosi con il discorso sullo stato dell’Unione di Obama: un singolo flash di energia collettiva, capace di annullare il prima dell’attesa e il dopo delle riflessioni. Agli occhi dello studioso si tratta degli scenari sputati dalla dimensione parallela che intreccia l’iper-struttura tecnologica, i contenuti semantici e le dinamiche sociali. Inghiottita da Twitter, la cronaca sparisce, ma a farla riapparire è proprio la logica della complessità applicata dal team di Cattuto. Il caos originario (indecifrabile) lascia il posto ai processi epidemici (decifrabili). «Facciamo in modo che la massa di bytes diventi navigabile grazie a tecniche di analisi automatica del testo: così si evidenziano i movimenti d’opinione su eventi specifici e li si studia sotto una varietà di punti di vista». Giornalisti e storici pregustano opportunità uniche, ma non solo. La National Library di Washington archivia Twitter per future consultazioni e il dipartimento dei pompieri di New York lo monitora allo scopo di reagire a possibili emergenze. «E’ chiaro che il nostro lavoro - sottolinea Cattuto - è solo uno dei tasselli del lavoro di interpretazione di un flusso quasi infinito tra uomini e macchine». Tra gli uni e le altre si estende la «terra di mezzo» degli algoritmi. «Anche se non ce ne rendiamo conto, i comportamenti online - dice Cattuto vengono indotti o influenzati da decisioni prese dalle formule che fanno funzionare il “machine learning”, con il quale si estraggono regolarità in un oceano altrimenti indistinto». Così chi frequenta siti come Amazon è tenuto d’occhio da software che aggiornano il suo profilo: «Più frequenti sono le interazioni e più raffinato diventa il modello che i computer hanno di noi». Insomma, miliardi di identikit che contribuiscono all’esplosione delle informazioni nota come «Big data»: le bulimiche banche dati sugli utenti si affiancano a quelle della grande scienza. Neuroscienze, biologia, fisica. Sono alcune delle discipline che sbriciolano le capacità di saturazione dei cervelli biologici, inaugurando l’era dei saperi estremi. Dall’osservazione dei fenomeni sociali alle ricerche sul sé la complessità trascende l’obiettivo del riduzionismo: un ordine da trovare e idealizzare in una teoria semplice quanto elegante. Ora, invece, ci si focalizza sulle proprietà dei sistemi, con sguardi da «macroscopio». Un simbolo è la climatologia, punteggiata da misteri e sempre più gonfia di dati, raccolti da satelliti in orbita, boe nei mari, centraline nelle città. Temperature, precipitazioni, CO2 e cicli solari: continua a fuggire nel futuro il momento in cui si darà un senso al tutto (e al molto che resta ignoto) e intanto si fa interagire ciò che si raccoglie e si elaborano i risultati, in una catena che si autoalimenta. Se non è complessità questa... Ma il simbolo dei simboli è Google: il re dei motori di ricerca è il network che processa ogni tipo di conoscenza e rappresenta il candidato ideale per fondere mondi virtuali e realtà materiali attraverso computer le cui prestazioni corrono dal peta all’exa, fino allo yotta. Su questa onda molti scienziati promettono scoperte rivoluzionarie. Ciò che si sente già adesso, però, è il profumo dei dollari, come testimoniano i Brin di Google e gli Zuckerberg di Facebook. I megaricchi sono i maestri della gestione dei megadati e chi sogna il successo deve seguirne le tracce. Dice il McKinsey Global Institute che negli Usa è iniziata la caccia a 190 mila professionisti dell’«expertise analitica» e a un milione e mezzo di managers esperti (i «data-literate»). In attesa dei futuri Nobel ci si gode il business.