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 2012  marzo 21 Mercoledì calendario

Una battuta prof, è solo una battuta». I compagni ridacchiano, gli insegnanti tollerano e le famiglie proteggono

Una battuta prof, è solo una battuta». I compagni ridacchiano, gli insegnanti tollerano e le famiglie proteggono. Semplice bullismo o qualcosa di più? «In Francia c’è una grande banalizzazione dell’antisemitismo, un problema legato ai codici culturali che tendono a minimizzare episodi di razzismo e discriminazione, soprattutto quando hanno come protagonisti gli adolescenti». Barbara Lefebvre insegna storia e geografia alle scuole medie di Puteaux, dipartimento Hauts-de-Seine, nella banlieue nord-occidentale di Parigi. Poco più di 40 mila abitanti, cinque chiese, una sinagoga e una moschea. Tra i banchi del «Collège Marechal Leclerc», studenti cristiani, musulmani ed ebrei. Una convivenza difficile, con gli ultimi che vengono costantemente presi di mira dai compagni. «Soprattutto dai maghrebini - spiega l’insegnante, che ha raccontato la sua esperienza nel libro «Les territoires perdus de la République» («I territori perduti della Repubblica») - Nel loro lessico l’insulto ai “juifs” è una cosa normale. Qualche esempio? Se uno si rifiuta di prestare la propria penna viene subito ripreso: “fais pas ton juif” (non fare l’ebreo, ndr). Si va da espressioni come questa ad altre decisamente più inquietanti. Un collega, tempo fa, mi ha detto di aver sentito un alunno dire: “Bin Laden finirà il lavoro”, con una chiara allusione all’Olocausto. Il lessico di questi ragazzini è frutto di ciò che sentono a casa. Non lo considerano un atteggiamento razzista. “È solo una battuta”, dicono. Il problema è che anche molti insegnanti non colgono il segnale d’allarme». Dall’altra parte della cattedra, infatti, spesso si chiude un occhio, i professori tendono a sminuire certi atteggiamenti. Qualcuno addirittura sorride, ma la maggior parte ci vede una sorta di strategia di autodifesa. «I musulmani sono spesso vittime di razzismo - aggiunge Lefebvre - e per questo molti miei colleghi giustificano le loro aggressioni verbali. Quando è uscito il mio libro, mi hanno attaccata. “Tu esageri, la tua è solo una provocazione”, mi dicevano, accusandomi di teorizzare l’antisemitismo tra i banchi sulla base di pochi episodi. Vedono i ragazzi musulmani delle banlieue soltanto come delle vittime, per questo non muovono un dito davanti a certi atteggiamenti. E invece non capiscono che la strada per arrivare a una migliore convivenza, che vada quindi anche a vantaggio di questi ragazzi, è cercare di tirarli fuori dal loro guscio, rompere questa chiusura». «Les beurs» (gli arabi, nello slang delle periferie) da una parte e «les feujes» (gli ebrei) dall’altra. Ultimamente, però, c’è una maggiore presa di coscienza. «Anche i colleghi della “gauche dura e pura” - ammette l’insegnante - stanno capendo che mettere un freno all’antisemitismo permette di evitare il dilagare dell’intolleranza in generale, di frenare questo circolo vizioso». Eppure la scuola pubblica francese non sembra ancora in grado di dare risposte. «Le famiglie - dice sconsolata - fuggono dagli istituti statali per iscrivere i loro figli in scuole ebraiche. Ma non per questioni religiose, tutt’altro. Lo fanno per questioni di sicurezza: molti di loro non sono nemmeno praticanti. Anche nella scuola di Tolosa è così». La riprova di ciò sta nel fatto che, da qualche anno, la fuga dalle scuole pubbliche riguarda anche gli islamici. «Molte famiglie musulmane delle banlieue, stanche di vedere i loro figli crescere in un ambiente discriminatorio, iscrivono i figli alle private. Ma gli istituti islamici sono pochi e così li mandano in quelli cattolici». Li preferiscono lì piuttosto che a costruire muri d’intolleranza tra «feujes» e «beurs» in un’aula.